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Oggi parliamo di vecchiaia

 A seguire due scritti: il primo tratto dalle “Epistulae morales ad Lucilium” di Seneca, introdotto da Maria Vittoria Montemurro; il secondo di Erri De Luca, tratto dal quotidiano “Avvenire”, introdotto da Roberto Landolfi.

Buona Lettura.


Da Seneca
 
Si propone una  riflessione sulla vecchiaia e sulla relazione a partire dalle “Epistulae morales ad Lucilium” di Lucio Anneo Seneca, XVII-XVIII, 104. In particolare, si fa riferimento alla lettera,di cui si riportano alcuni brani, nella quale Seneca, nonostante il disappunto di sua moglie Paolina, decide di lasciare Roma per recarsi in campagna. Spiegherà a Lucilio il valore del cambiamento del luogo solo se questo si incarna nella relazione con l’altro o con gli altri. La sua continua ricerca di rinnovamento passa per la necessità che la pratica individuale si orienti alla relazione con gli altri, costituendo il presupposto di una vera e propria pratica sociale.
Maria Vittoria Montemurro
 
(...)Agli affetti onesti si deve indulgere e talora, anche in presenza di motivi forti per morire, il respiro deve essere richiamato indietro anche con grande sofferenza, e trattenuto coi denti per amore delle persone care: un uomo onesto deve vivere non quanto vuole ma quanto deve. (...)
 
(...)Ma gesto di grande umanità considero anche quello di custodire più attentamente la propria vecchiaia – il cui massimo vantaggio è proprio quello di badare meno a sé stessi e di fare un uso più ardito della vita – se sai che questo è dolce, gradito, desiderato da qualcuno dei tuoi.C’è in questo una gioia e un compenso grandissimo: che cosa, infatti, dà più piacere che essere caro a tua moglie al punto tale da diventare per questo più caro a te stesso? E così la mia Paolina mi può addebitare non soltanto le sue paure, ma anche le mie.(...)
 
(...)In questo il luogo non c’entra molto, se l’animo non è padrone di sé stesso; in questo caso, è capace di trovare solitudine anche in mezzo agli affari; ma chi sceglie i luoghi per trovare pace, troverà vincoli dappertutto. A un tale che si lamentava che le passeggiate non gli erano giovate per niente, Socrate rispose: “Ti sta bene, perché passeggiavi in compagnia di te stesso”.  Quanto bene farebbero alcuni ad andare lontani da sé stessi! Si vessano, si angosciano, si corrompono, si spaventano da soli. A che serve passare il mare e cambiare città? Se vuoi sfuggire a quello che ti tormenta, non devi essere da un’altra parte; devi essere un altro tu. Pensa di essere andato ad Atene, a Rodi; scegli a tuo piacimento la città: che importa quali sono i suoi costumi? Ci porterai i tuoi.


La vecchiaia e Papa Francesco
 
Due impressioni più che riflessioni, leggendo “L’avamposto della vecchiaia” di Erri de Lauca.
La vecchiaia è un’età che non spreca il tempo, preferisce perderlo. È bello perdere il tempo, saperselo godere o, quanto meno, non confonderlo con lo spreco. Ci vuole equilibrio, ci vuole buona salute.
In vecchiaia, quando ti guardi intorno, pensi a chi non c’è più e non sono pochi; pensi a quelli che, in vecchiaia ci sono, ma con più acciacchi che equilibri. È l’equilibrio, di corpo e mente, che ti permette di perder tempo, in armonia, senza mai sprecarlo.
Si pensa poi anche  al tempo pieno dell’età in cui si è lavorato. Se a  tempo pieno si è lavorato, con  passione, come accade  in alcuni mestieri, in alcune   professioni, non si è mai sprecato il tempo, anche quando si è  sbagliato. Chi è che non sbaglia mai? Solo chi non lavora! Quanti errori commessi,guardati  dall’alto della vecchiaia,  si sarebbero potuti evitare. Ma la “macchina del tempo” per tornare indietro non è mai stata inventata e, chi sa, se mai lo sarà.  
Nel perder tempo si inanellano i progetti, per render la vecchiaia migliore.
L’occasione della degenza di Papa Francesco che, in ospedale, affronta le conseguenze della vecchiaia. Con coerenza, lungimiranza e un sorriso che riempie di gioia i tantissimi che vedono in lui fonte di speranza. Parlo dell’uomo, non del Santo, che certamente diverrà. Si dice dei bambini, ma si può dire anche  di un Papa:” ce lo stiamo godendo”. Anche quando sta in ospedale, anche se  la “prognosi è riservata” ma lui decide di rendere pubblico il suo bollettino medico. Raggiungendo così un duplice risultato: tiene al loro posto i medici che, quando non sanno che fare, si trincerano dietro al silenzio ed al segreto professionale; tiene a bada i suoi detrattori (immaginiamo tanti, nelle stanze vaticane,  come il premio oscar Sorrentino  ha ben illustrato). Da grande comunicatore qual è, ispirandosi al Cristo, fa svelare tutto del suo stato di salute, sparigliando le carte. Risarcisce anche il popolo dei credenti: dal Grande Inquisitore al Grande Comunicatore, mostrandosi  sempre, anche quando gli manca il respiro, capace di contrastare versioni di comodo e contraffazione di notizie.
Roberto Landolfi
 
 
L'avamposto della vecchiaia
di Erri De Luca
Tratto da “Avvenire” del 27 febbraio 2025
 
Ci si inoltra nella vecchiaia da viandanti. Ogni giorno è una tappa che impegna le forze. È bene esaurirle, anziché risparmiarle. A quest’età non giova fare economie, scorte da tenere in magazzino.
La dote quotidiana di risorse va consumata intera senza residui, come prescritto per la manna: se fatta avanzare per il giorno dopo, andava a male.
Ogni risveglio è un appello delle varie parti del corpo. Dal gomito che inizia il sollevamento dalla posizione distesa, ai piedi che toccano terra come due naufraghi che approdano alla riva. La notte ha ricostituito le forze residue, il sonno ha svuotato il cestino dei rifiuti. Chi al risveglio percepisce la sorpresa di essere ribadito dentro un nuovo giorno, pronuncia una sua formula di gratitudine.
È un’età che non spreca il tempo. Preferisce perderlo nella maniera migliore. Nel film “Maccheroni” di Ettore Scola, Marcello Mastroianni a passeggio per Napoli dice a Jack Lemmon: «Com’è bello perdere tempo». Perderlo in quel modo è saperselo godere. Da principiante della mia vecchiaia imparo che è bello perdere tempo e che è il contrario di sprecarlo. Questi pensieri sono impressioni più che riflessioni.
Occasione è la degenza in ospedale del Papa che affronta le conseguenze della vecchiaia. Tra queste non ha posto il rammarico di essersi risparmiato. Immagino che non ne abbia. Il suo sorriso anche da dolente lo conferma.
Sì è speso per la sua comunità pure da infermo, la sua sedia a rotelle lo ha portato ovunque. Trattenuto in reparto, trasmette il suo esempio di premura e affetto per le persone in preghiera per lui. La sua prognosi è riservata, ma il suo bollettino medico è pubblico, in modo che tutti siano informati correttamente. Non c’è spazio per versioni di comodo, per contraffazione di notizie. La degenza è un esilio ma pure un tempo per l’ascolto. È un’oppressione che comporta un silenzio interiore.
Nel libro di Giobbe (Iiòv in Ebraico) la divinità “soccorre l’afflitto nella sua afflizione e libera l’udito nella sua sventura” (35,15). La vecchiaia è un avamposto. Si sta da sentinelle cui spetta vigilanza. Nelle insonnie, nei dormiveglia si affacciano voci. La loro acustica è quella perfetta del deserto.