di Pietro Minto
tratto da Lucy sulla Cultura del 14 Febbraio 2025
tratto da Lucy sulla Cultura del 14 Febbraio 2025
Se un tempo a
far paura era l'uso dei cellulari in classe o di Wikipedia per fare i compiti a
casa, ora la situazione è diventata molto più complessa. È inevitabile oggi che
gli studenti usino le AI per studiare, vietarle pare infruttuoso e l'unica
strada, probabilmente, è quella della sua integrazione nei programmi scolastici.
Secondo una recente indagine, il 65% degli studenti italiani tra i 16 e i 18 anni utilizza ChatGPT o altri servizi di intelligenza artificiale generativa per studiare e fare i compiti. Il dato proviene da una ricerca promossa da NoPlagio.it, una startup italiana che si occupa di identificare sia plagi “all’antica”, cioè testi copiati da libri o articoli esistenti, sia, più recentemente, l’utilizzo di AI generative nei documenti. Secondo uno studio condotto dall’autorevole centro studi statunitense Pew, invece, la percentuale di studenti che negli Stati Uniti usano questi servizi sarebbe più bassa di quella italiana (26%), per quanto raddoppiata rispetto al 2023.
Statistiche a
parte, la diffusione nelle scuole e università di questa tecnologia, e in
particolare dei modelli linguistici come GPT-4 o Google Gemini, è un fatto
misurabile empiricamente, parlando con studenti, docenti e genitori. Negli
ultimi giorni ha fatto molto discutere quanto successo all’Università di
Ferrara, dove un esame di Scienze Motorie è stato annullato perché “numerosi partecipanti hanno fatto uso di strumenti esterni,
come ChatGPT e altre applicazioni online, per rispondere alle domande”,
hanno riferito i docenti.
Dal lancio di
ChatGPT, avvenuto nel novembre del 2022 e considerato l’inizio della corsa nel
settore, questo tipo di strumenti è stato al centro di molte polemiche che
hanno riguardato anche la scuola. Negli anni Zero, per quanto con proporzioni
differenti, successe qualcosa di simile con la diffusione di Wikipedia, da cui
era possibile copiare informazioni per ricerche o tesine. Nel 2007 un distretto
scolastico del New Jersey decise addirittura di bloccare l’accesso all’enciclopedia online da tutti i suoi
computer, in una campagna che si ispirava a quella contro le droghe dell’ex
first lady Nancy Reagan (“Just say no to Wikipedia”).
A inizio 2023 i
distretti scolastici della città di New York e Los Angeles hanno fatto qualcosa
di analogo, bloccando l’accesso al sito di OpenAI, azienda sviluppatrice
di ChatGPT. In questi e altri casi, nel giro di pochi mesi, la decisione è
stata revocata e il sito è tornato a essere accessibile da scuola. In
particolare il distretto di New York ha pubblicato una lettera con cui si scusa e giustifica il
dietrofront: “La paura istintiva e una valutazione superficiale dei rischi
hanno trascurato il potenziale dell’AI generativa nel dare supporto a studenti
e insegnanti, oltre alla realtà di cui i nostri studenti fanno parte e nella
quale lavoreranno, ovvero un mondo in cui comprendere l’AI generativa è
cruciale”.
Anche in Italia,
dopo un iniziale scetticismo, molti insegnanti hanno adottato un atteggiamento
più aperto nei confronti di questa tecnologia, accettando il suo eventuale
utilizzo da parte degli studenti e incorporandola nell’insegnamento. A tal
proposito, lo scorso settembre il Ministro dell’Istruzione e del Merito
Giuseppe Valditara ha presentato una fase di prova dell’uso dell’intelligenza
artificiale che durerà due anni scolastici (e riguarderà quindici scuole in
Calabria, Lazio, Toscana e Lombardia). Al termine del biennio si confronteranno
i risultati delle prove Invalsi degli studenti interessati con quelli delle
classi che non hanno partecipato all’esperimento.
Per chi ha lasciato la scuola da oltre dieci anni e non lavora in ambito educativo, può essere utile partire dalle basi: la scuola è cambiata moltissimo in questi anni, e ben prima dell’avvento di ChatGPT e simili. Alcune innovazioni, come l’introduzione del registro elettronico per docenti e del libretto personale elettronico per gli studenti, erano già diffuse da tempo, ma è stata la pandemia da Covid-19 a renderle onnipresenti. Nel corso degli ultimi cinque anni si è anche imposto l’utilizzo di piattaforme digitali come Google Classroom o Microsoft Teams, usate sia per insegnare che per i compiti a casa.
Alessandro Cocilova, docente di informatica e matematica a Francoforte, sottolinea l’impatto che questa digitalizzazione ha avuto nella scuola: “Le risorse e gli esercizi prima passavano per via analogica ed orale, ora vengono trasmessi su piattaforme digitali, arricchendo le possibilità di interazione. Sembra banale, ma quando ero uno studente del liceo scientifico Piano Nazionale Informatico non avevamo altro che le chiavette usb per portarci il codice che scrivevamo a casa”. Adesso, racconta, è prassi comune per molti insegnanti caricare sulla piattaforma di riferimento le slide e gli appunti usati a lezione, oltre che assegnare compiti per casa, anche al di fuori degli orari scolastici.
Lo scorso anno cinquantacinque istituzioni scolastiche del Friuli-Venezia Giulia, coordinate dal liceo classico “Jacopo Stellini” di Udine, hanno stretto un accordo di collaborazione per la formazione del personale e la creazione di linee guida sull’utilizzo della tecnologia. Nel documento che presenta queste linee guida si nota come “l’attivazione di una comunicazione artificiale sta già alterando gli equilibri del setting formativo entro cui si svolge l’azione didattica e all’insegnante viene chiesto di diventare un facilitatore dei processi di apprendimento e di scambio delle conoscenze”.
“Secondo una
recente indagine, il 65% degli studenti italiani tra i 16 e i 18 anni utilizza
ChatGPT o altri servizi di intelligenza artificiale generativa per studiare e
fare i compiti”.
Prima di rovesciare il tavolo e riscrivere i ruoli di docente e alunni, occorre però partire dal quotidiano. Pietro Stori è professore di Filosofia e Storia in un liceo di Milano, dove ha fondato una “commissione per le AI” per sperimentare nuove soluzioni didattiche. Il gruppo è composto da nove docenti che si incontrano una volta al mese per condividere esperienze e misurare gli umori del corpo docente nei confronti di questa tecnologia: “Nella nostra scuola ormai tutti i docenti hanno sentito parlare di AI. Ma molti non ne capiscono le implicazioni, sono timorosi dello strumento o lo trattano come qualcosa da vietare a prescindere”, spiega.
Oltre a utilizzare ChatGPT per formulare verifiche in classe o velocizzare gli aspetti più burocratici del suo lavoro, Stori lo usa in classe, ad esempio per spiegare il Mito di Theuth, dal Fedro di Platone: “Il mito contiene una critica al dono della scrittura vista come apparenza di sapere: lavorando proprio su quello con ChatGPT e un altro software per la generazione di immagini, abbiamo approfondito quel tema. Il risultato è stato soddisfacente e i ragazzi si sono divertiti.”
Gianluca Nativo, scrittore e professore di Italiano, Storia e Geografia in una scuola media di Milano, utilizza l’intelligenza artificiale per semplificare i testi e adattarli all’età dei suoi studenti. “Una volta cercavo un articolo sulle architetture promosse dal presidente Mitterrand durante la sua presidenza per un’attività di geografia sulla città di Parigi, ma l’unica fonte disponibile era un articolo lungo e complesso. Grazie all’intelligenza artificiale sono riuscito a semplificarlo rapidamente, ottenendo un testo adatto ai miei studenti di dodici anni”.
Un tasto particolarmente dolente è quello dei compiti a casa. Anche se Wikipedia esiste da più di vent’anni – e con essa la possibilità di fare copia-e-incolla dal sito –, le AI generative aggiungono un ulteriore livello di passività, perché non serve nemmeno cercare online: basta chiedere al chatbot, che nel giro di pochi secondi genera una risposta.
Per evitare abusi di tali sistemi, Stori si basa su Google Docs, software di scrittura online incluso nel pacchetto Google, e chiede che il lavoro venga scritto lì per intero, in modo che sia possibile ricostruirne la “storia” consultando la cronologia delle modifiche sul documento. Lo scopo è verificare che il testo sia stato scritto organicamente, con un ritmo umano: “Se il testo è stato scritto dallo studente, l’attività di scrittura dura molto e riesce a produrre una decina di parole al minuto con ripensamenti e cancellature evidenti nella cronologia”.
Oltre ai servizi digitali in grado di riconoscere i testi generati dalle AI (anche se con una percentuale di errore e falsi positivi), si può fare attenzione ad alcuni vizi di forma per cui ChatGPT è nota. Ad esempio, l’utilizzo degli elenchi puntati o di calchi dall’inglese, come l’uso frequente del gerundio e delle lettere maiuscole dopo i due punti.
Tra i docenti
più aperti all’utilizzo delle AI si discute anche dei prompt, cioè
gli input testuali con cui l’utente descrive all’AI cosa generare, e la
possibilità di includerli nella valutazione degli studenti. C’è chi li ha già
incorporati nel proprio metodo di giudizio: Stori, ad esempio, si fa consegnare
il link alla chat tra lo studente e il chatbot per capire che tipo di prompt ha
utilizzato. Non tutti sono d’accordo, ovviamente: secondo Alessandra Maglie,
docente di sostegno delle superiori a Torino, le AI hanno molte applicazioni
utili ma fermarsi al prompt engineering (cioè le varie
tecniche con cui si formula una richiesta a un’AI) sarebbe un approccio troppo
passivo.
Uno studio pubblicato recentemente dal «British Journal of Educational Technology» ha misurato i risultati ottenuti da diversi gruppi di studenti (alcuni di questi potevano usare ChatGPT, altri si avvalevano di “esperti umani”) e confermato l’effetto benefico delle AI nelle performance di chi lo usava. Al tempo stesso, però, secondo i ricercatori, “ChatGPT potrebbe incentivare l’affidamento degli studenti alla tecnologia” e potenzialmente innescare una “pigrizia metacognitiva”, riducendo le loro capacità critiche e analitiche. Anche per questo, conclude lo studio, è necessario assumere un approccio critico ai prompt e ai risultati ottenuti dai modelli linguistici, assistendo gli studenti nell’apprendimento attivo.
Oltre alla
scrittura del giusto prompt, quindi, andrebbe presa in considerazione la
capacità degli studenti di valutare l’output, il contenuto generato
dall’AI, anche perché questi sistemi sono noti per avere pregiudizi cognitivi e
commettere errori fattuali imprevedibili (detti allucinazioni). A rendere
queste allucinazioni particolarmente insidiose per gli utenti è il fatto che le
risposte rimangono grammaticalmente corrette anche quando contengono
informazioni inventate. Per questo il matematico australiano Rodney Brooks,
docente presso il MIT, ha definito ChatGPT uno strumento che “inventa cose che sembrano
giuste”.
Secondo
Francesco Contel, dottorando in Matematica presso l’Università La Sapienza di
Roma, è importante “capire se questo tipo di strumenti è in grado di stimolare
processi di auto-valutazione negli studenti”, cosa che un insegnante farebbe
attraverso il dialogo in classe. “I fattori fondamentali in gioco sono due: da
una parte la capacità dell’utente di interpretare e valutare criticamente le
risposte della macchina, dall’altra la capacità della macchina di interpretare
processi complessi come quelli legati all’interpretazione e all’argomentazione
nel contesto matematico”. Per quanto riguarda il secondo punto, secondo Contel,
sta tutto nelle capacità critiche degli studenti, che devono essere allenate
anche dagli insegnanti.
Ogni docente fa da sé, quindi. Il rischio, in una fase simile, è che solo una minoranza degli insegnanti rimanga al passo con i cambiamenti nel campo delle AI e gli altri continuino a lavorare come niente fosse. Secondo Andrea Garavaglia, professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna AI in Education e Metodologie e Tecnologie didattiche, si tratta di “una situazione classica per l’Italia quando arriva una nuova tecnologia: è già successo con gli smartphone, internet o la posta elettronica”.
“Ogni docente fa da sé, quindi. Il rischio, in una fase simile, è che solo una minoranza degli insegnanti rimanga al passo con i cambiamenti nel campo delle AI e gli altri continuino a lavorare come niente fosse”.
Eppure il cambiamento è appena iniziato. Garavaglia racconta di essere da poco tornato dal BETT di Londra, annuale fiera dedicata al connubio tra tecnologia ed educazione, dove gran parte dei produttori avevano integrato le AI nei loro dispositivi e servizi. In alcuni paesi – soprattutto quelli nordici, precisa, sottolineando il loro livello avanzato in questo ambito –, si usano registri digitali dotati di AI, in grado “personalizzare i percorsi, analizzare le risposte degli studenti, fornire proposte didattiche più mirate”.
Per questo è necessario che gli insegnanti rimangano aggiornati ma soprattutto vengano alfabetizzati in tempo, per non replicare quanto già visto agli albori della rete e dei social network, quando il corpo docente ci mise del tempo ad aggiornarsi. Ma l’allargamento del divario di competenze tra docenti e studenti è un fenomeno inevitabile: anzi, Garavaglia ritiene sia già in corso. Il motivo è soprattutto la velocità con cui si sta muovendo il settore delle AI: “Una crescita così veloce non l’avevo mai vista in trent’anni di carriera e mi sta un po’ preoccupando, perché quando faccio formazione a un insegnante o a uno studente, nel momento in cui si arriva alla fase applicativa, la conoscenza appresa a lezione è già stata superata”.
Secondo una recente indagine, il 65% degli studenti italiani tra i 16 e i 18 anni utilizza ChatGPT o altri servizi di intelligenza artificiale generativa per studiare e fare i compiti. Il dato proviene da una ricerca promossa da NoPlagio.it, una startup italiana che si occupa di identificare sia plagi “all’antica”, cioè testi copiati da libri o articoli esistenti, sia, più recentemente, l’utilizzo di AI generative nei documenti. Secondo uno studio condotto dall’autorevole centro studi statunitense Pew, invece, la percentuale di studenti che negli Stati Uniti usano questi servizi sarebbe più bassa di quella italiana (26%), per quanto raddoppiata rispetto al 2023.
Per chi ha lasciato la scuola da oltre dieci anni e non lavora in ambito educativo, può essere utile partire dalle basi: la scuola è cambiata moltissimo in questi anni, e ben prima dell’avvento di ChatGPT e simili. Alcune innovazioni, come l’introduzione del registro elettronico per docenti e del libretto personale elettronico per gli studenti, erano già diffuse da tempo, ma è stata la pandemia da Covid-19 a renderle onnipresenti. Nel corso degli ultimi cinque anni si è anche imposto l’utilizzo di piattaforme digitali come Google Classroom o Microsoft Teams, usate sia per insegnare che per i compiti a casa.
Alessandro Cocilova, docente di informatica e matematica a Francoforte, sottolinea l’impatto che questa digitalizzazione ha avuto nella scuola: “Le risorse e gli esercizi prima passavano per via analogica ed orale, ora vengono trasmessi su piattaforme digitali, arricchendo le possibilità di interazione. Sembra banale, ma quando ero uno studente del liceo scientifico Piano Nazionale Informatico non avevamo altro che le chiavette usb per portarci il codice che scrivevamo a casa”. Adesso, racconta, è prassi comune per molti insegnanti caricare sulla piattaforma di riferimento le slide e gli appunti usati a lezione, oltre che assegnare compiti per casa, anche al di fuori degli orari scolastici.
Lo scorso anno cinquantacinque istituzioni scolastiche del Friuli-Venezia Giulia, coordinate dal liceo classico “Jacopo Stellini” di Udine, hanno stretto un accordo di collaborazione per la formazione del personale e la creazione di linee guida sull’utilizzo della tecnologia. Nel documento che presenta queste linee guida si nota come “l’attivazione di una comunicazione artificiale sta già alterando gli equilibri del setting formativo entro cui si svolge l’azione didattica e all’insegnante viene chiesto di diventare un facilitatore dei processi di apprendimento e di scambio delle conoscenze”.
Prima di rovesciare il tavolo e riscrivere i ruoli di docente e alunni, occorre però partire dal quotidiano. Pietro Stori è professore di Filosofia e Storia in un liceo di Milano, dove ha fondato una “commissione per le AI” per sperimentare nuove soluzioni didattiche. Il gruppo è composto da nove docenti che si incontrano una volta al mese per condividere esperienze e misurare gli umori del corpo docente nei confronti di questa tecnologia: “Nella nostra scuola ormai tutti i docenti hanno sentito parlare di AI. Ma molti non ne capiscono le implicazioni, sono timorosi dello strumento o lo trattano come qualcosa da vietare a prescindere”, spiega.
Oltre a utilizzare ChatGPT per formulare verifiche in classe o velocizzare gli aspetti più burocratici del suo lavoro, Stori lo usa in classe, ad esempio per spiegare il Mito di Theuth, dal Fedro di Platone: “Il mito contiene una critica al dono della scrittura vista come apparenza di sapere: lavorando proprio su quello con ChatGPT e un altro software per la generazione di immagini, abbiamo approfondito quel tema. Il risultato è stato soddisfacente e i ragazzi si sono divertiti.”
Gianluca Nativo, scrittore e professore di Italiano, Storia e Geografia in una scuola media di Milano, utilizza l’intelligenza artificiale per semplificare i testi e adattarli all’età dei suoi studenti. “Una volta cercavo un articolo sulle architetture promosse dal presidente Mitterrand durante la sua presidenza per un’attività di geografia sulla città di Parigi, ma l’unica fonte disponibile era un articolo lungo e complesso. Grazie all’intelligenza artificiale sono riuscito a semplificarlo rapidamente, ottenendo un testo adatto ai miei studenti di dodici anni”.
Un tasto particolarmente dolente è quello dei compiti a casa. Anche se Wikipedia esiste da più di vent’anni – e con essa la possibilità di fare copia-e-incolla dal sito –, le AI generative aggiungono un ulteriore livello di passività, perché non serve nemmeno cercare online: basta chiedere al chatbot, che nel giro di pochi secondi genera una risposta.
Per evitare abusi di tali sistemi, Stori si basa su Google Docs, software di scrittura online incluso nel pacchetto Google, e chiede che il lavoro venga scritto lì per intero, in modo che sia possibile ricostruirne la “storia” consultando la cronologia delle modifiche sul documento. Lo scopo è verificare che il testo sia stato scritto organicamente, con un ritmo umano: “Se il testo è stato scritto dallo studente, l’attività di scrittura dura molto e riesce a produrre una decina di parole al minuto con ripensamenti e cancellature evidenti nella cronologia”.
Oltre ai servizi digitali in grado di riconoscere i testi generati dalle AI (anche se con una percentuale di errore e falsi positivi), si può fare attenzione ad alcuni vizi di forma per cui ChatGPT è nota. Ad esempio, l’utilizzo degli elenchi puntati o di calchi dall’inglese, come l’uso frequente del gerundio e delle lettere maiuscole dopo i due punti.
Uno studio pubblicato recentemente dal «British Journal of Educational Technology» ha misurato i risultati ottenuti da diversi gruppi di studenti (alcuni di questi potevano usare ChatGPT, altri si avvalevano di “esperti umani”) e confermato l’effetto benefico delle AI nelle performance di chi lo usava. Al tempo stesso, però, secondo i ricercatori, “ChatGPT potrebbe incentivare l’affidamento degli studenti alla tecnologia” e potenzialmente innescare una “pigrizia metacognitiva”, riducendo le loro capacità critiche e analitiche. Anche per questo, conclude lo studio, è necessario assumere un approccio critico ai prompt e ai risultati ottenuti dai modelli linguistici, assistendo gli studenti nell’apprendimento attivo.
Ogni docente fa da sé, quindi. Il rischio, in una fase simile, è che solo una minoranza degli insegnanti rimanga al passo con i cambiamenti nel campo delle AI e gli altri continuino a lavorare come niente fosse. Secondo Andrea Garavaglia, professore ordinario dell’Università degli Studi di Milano, dove insegna AI in Education e Metodologie e Tecnologie didattiche, si tratta di “una situazione classica per l’Italia quando arriva una nuova tecnologia: è già successo con gli smartphone, internet o la posta elettronica”.
“Ogni docente fa da sé, quindi. Il rischio, in una fase simile, è che solo una minoranza degli insegnanti rimanga al passo con i cambiamenti nel campo delle AI e gli altri continuino a lavorare come niente fosse”.
Eppure il cambiamento è appena iniziato. Garavaglia racconta di essere da poco tornato dal BETT di Londra, annuale fiera dedicata al connubio tra tecnologia ed educazione, dove gran parte dei produttori avevano integrato le AI nei loro dispositivi e servizi. In alcuni paesi – soprattutto quelli nordici, precisa, sottolineando il loro livello avanzato in questo ambito –, si usano registri digitali dotati di AI, in grado “personalizzare i percorsi, analizzare le risposte degli studenti, fornire proposte didattiche più mirate”.
Per questo è necessario che gli insegnanti rimangano aggiornati ma soprattutto vengano alfabetizzati in tempo, per non replicare quanto già visto agli albori della rete e dei social network, quando il corpo docente ci mise del tempo ad aggiornarsi. Ma l’allargamento del divario di competenze tra docenti e studenti è un fenomeno inevitabile: anzi, Garavaglia ritiene sia già in corso. Il motivo è soprattutto la velocità con cui si sta muovendo il settore delle AI: “Una crescita così veloce non l’avevo mai vista in trent’anni di carriera e mi sta un po’ preoccupando, perché quando faccio formazione a un insegnante o a uno studente, nel momento in cui si arriva alla fase applicativa, la conoscenza appresa a lezione è già stata superata”.
Pietro Minto è scrittore e giornalista. Dal 2014 cura una delle più diffuse newsletter italiane, «Link Molto Belli». Il suo ultimo libro è Cosa sognano le IA (UTET, 2024).