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Governare la Sanità è anche narrare

l compito principale di chi si occupa di gestione in sanità e “tentare di colmare la distanza che esiste tra l’organizzazione dei servizi (dell’ospedale) e la sofferenza delle persone” (Franco Rotelli “Pensa alla Salute” Ed. l’Ancora del Mediterraneo 2013).
NdR

Molti sono gli esempi in letteratura ed anche nella filmografia di come la narrazione diventi spesso inconsapevolmente il fulcro non solo de lla relazione medico paziente ma anche delle relazioni tra gli operatori e tra gli operatori ed il management. Basti pensare ad esempio alla Montagna incantata di T.Mann in cui vengono considerati e sistematizzati tutti gli aspetti della presa incarico del paziente pur nella consapevolezza della disparità ed asimmetria delle competenze; nel sanatorio di Berghof non si somministrano solo terapie mediche ma si da spazio al dialogo, alle emozioni, alle storie appunto. I luoghi di cura diventano, anche senza riuscire a dare senso alla propria sofferenza, autentiche possibilità, come accade al protagonista di ritrovare infine se stessi.
La narrazione diviene così un potente strumento di cura ma anche un importante strumento di gestione organizzativa; non raccontare storie ma “saper comunicare attraverso una costruzione narrativa, ovvero una storia (Fontana, 2016)”
 
Ormai il management dispone di molte frecce all’arco del governo, gli strumenti gestionali sono ormai numerosi e collaudati. Nella mia esperienza posso rappresentarecome, per la gestione sia di realtà chiuse quale può essere considerato un ospedale o di realtà aperte quale può essere considerata una asl con tutta l’assistenza territoriale e domiciliare, l’ascolto delle storie degli operatori intesi ovviamente complessivamente (medici, infermieri, tecnici etc.) sia una delle condizioni necessarie anche se non sufficienti, per tentare di dare una forma di assistenza  più vicina possibile ai bisogni dei pazienti che esistono seentrano in relazione con coloro che incontrano nel percorso di malattia.
 
Il rischio di perdere il contatto con la realtà degli operatori è un rischio molto più concreto di quello che si possa pensare: presi dalle nostre scartoffie, accomodati nelle nostre poltrone, se non utilizziamo come metodo l’ascolto sistematico degli operatori, difficilmente resteremo immanenti alla realtà del nostro ospedale o del nostro territorio. Non a caso la narrazione ha dimostrato di essere “implacabilmente utilitaristica” (Moroni 2017).
È un ambito a mio avviso poco esplorato. Infatti, molto del lavoro è stato approfondito nella relazione con il paziente; meno, anche se ne parla ormai da qualche tempo, nelle relazioni del contesto, ciò che spesso viene indicato come benessere organizzativo. Purtroppo spesso noi pensiamo che i pazienti non ci osservino, non osservino i nostri comportamenti non solo nei loro riguardi ma anche nelle relazioni tra operatori, e soprattutto osservano la relazione che gli operatori hanno con l’amministrazione, rispetto alla quale si esprimono in termini di lontananza quando non di disprezzo per la stessa.
Se poi aggiungiamo non ultima la presenza di pazienti stranieri con culture spesso radicalmente diverse dalla nostra, per i quali l’esperienza della malattia e la sacralità dei corpi assumono un valore sostanziale nel percorso di cura, ecco che la situazione si complica non poco.
 
Ma la narrazione come strumento del management ha valore solo se il management investe sulla qualità dell’assistenza intesa non già come una sorta di procedure e operatività di natura certificativa, ma piuttosto come una reale opportunità di miglioramento della qualità della stessa.
Ovviamente nella quotidianità delle nostre attività dove permangono situazioni difficili legati a carenze di personale, dove i contesti sono ancora fortemente gerarchizzati, dove spesso l’autorità viene confusa con l’autorevolezza, queste azioni di integrazione e scambio di vissuti divengono più complicati. Senza sapere che una gestione davvero integrata, ciascuno nella sua competenza, consente al management un diverso punto di avvistamento dei problemi, ma soprattutto delle risoluzioni.
D’altro canto abbondano le testimonianze di operatori sanitari che hanno fatto un’esperienza di malattia e si sono trovati dall’altra parte; per la maggior parte di loro non si è mai più persa la consapevolezza di cosa si provi a stare dall’altra parte.
 
Premesso questo, la cosa che va sempre tenuta presente è che tra il management ed i pazienti ci sono gli operatori, che potremmo definire il nostro gruppo di intermediazione. Se agli operatori sanitari viene richiesta dai pazienti una buona capacità di cura, al management viene richiesta la Leadership. La promozione della narrazione alimenta appartenenza e partecipazione degli operatori, diventando una possibile leva di sviluppo ed opportunità di crescita dell’identità dell’intera comunità.
Orbene come è possibile, nella complessità crescente dell’organizzazione, essere in grado di riconoscere prima, e successivamente rispettarne le differenze e le potenzialità, il carattere e la personalità degli operatori se non conoscendoli attraverso la loro narrazione di sé, se non attraverso la narrazione della loro esperienza?

Maria Vittoria Montemurro