I dimenticati dell’arte. Giovanna Bemporad, la
poetessa amica di Pasolini.
Lei a 13 anni traduceva in maniera impeccabile Omero
dal greco antico.
Poi si fingeva lesbica per motivi politici.
Con Pasolini insegnavano insieme a Casarsa.
di Ludovico
Pratesi, curatore e critico d’arte,
Poi si fingeva lesbica per motivi politici.
Con Pasolini insegnavano insieme a Casarsa.
tratto dalla
Rivista Artribune.
Il suo
amico Pier Paolo Pasolini l’aveva
soprannominata “Giovannona”, quando insegnavano insieme alla Scuola Popolare di
Casarsa, nel Friuli profondo, dove si era rifugiata a causa della sua religione
ebraica, durante i bui anni della Seconda Guerra Mondiale. Ma la loro amicizia
era più antica, quando la giovanissima Giovanna Bemporad (Ferrara,
1928 – Roma, 2013) pubblicava le sue prime poesie sulla rivista Il
setaccio, firmandole con lo pseudonimo di Giovanna Bembo. In quegli anni Pier
Paolo e Giovanna si frequentavano spesso, passavano intere nottate a leggere le
loro poesie. Bemporad aveva già capito di essere al cospetto di un gigante: “Capii subito che sarebbe diventato un
gigante…. mi sentivo sopraffatta. Se esisteva lui come poeta, non potevo più
esistere io.”
La storia di
Giovanna Bemporad
Lei era nata a Ferrara da una ricca famiglia ebrea di liberi professionisti, e fin da bambina si era appassionata di lingue morte come il latino e il greco, ma anche l’ebraico e il sanscrito. Mentre studiava al liceo classico Galvani di Bologna si era avvicinata a intellettuali come Leone Traverso, Carlo Izzo e Mario Praz. Vera e propria enfant prodige, Giovanna aveva tradotto a 13 anni l’Eneide in sole 36 notti, e due anni dopo le sue traduzioni dei versi di Omero erano state pubblicate sull’Antologia dell’Epica, al posto di quelle di Salvatore Quasimodo. Poco tempo dopo decise di lasciare gli studi e dedicarsi interamente alla poesia, senza più occuparsi dell’esteriorità: smise di lavarsi, cominciò a vestirsi male e a usare un linguaggio volgare. Enzo Siciliano la descrisse in “abiti bislacchi, laceri; svagato disordine”.
Contestatrice ante litteram, Giovanna si sentiva una vestale della poesia, una creatura controcorrente e anticonformista: si era finta lesbica per motivi politici, era vissuta a lungo a Venezia in uno scantinato, sfamata dalla carità delle vicine. Si nutriva esclusivamente di poesia, tanto da cominciare, subito dopo la guerra, a scrivere gli Esercizi, pubblicati nel 1948. Si tratta di una sorta di work in progress che riunisce i suoi versi accanto alle traduzioni di testi da diverse lingue: Omero e Saffo, Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Valery, Rilke e Hölderlin fino al Cantico dei cantici, tradotto dall’ebraico nel 2006.
Giovanna
Bemporad e la poesia
Disinteressata a ogni forma di impegno civile o politico, Giovanna si impegnava soltanto nell’affinare ogni verso, cesellando le sue traduzioni, in cerca di una perfezione irraggiungibile. Nel frattempo aveva avviato alcune collaborazioni con Il Mattino del Popolo, che la fecero uscire dalla condizione di indigenza. Dopo essersi trasferita da Roma a Firenze, aveva sposato il futuro ministro Giulio Orlando nel 1957, in presenza di Giuseppe Ungaretti come testimone di nozze. “I gilet scuri, le camicie bianche classicissime che indossava, i pantaloni attillatissimi, erano la divisa di una donna che aveva scelto la letteratura come missione, abdicando a tutto il resto, compresi gli agi di una esistenza borghese che non l’ha mai interessata”: così la descrive sul Manifesto Angelo Ferracuti. “Aveva tutte le stranezze del mondo, le fobie più tenere, e le paure dei poeti veri, inermi sulla soglia del mondo, fragili per bisogno di profondità, la letteratura era l’unico suo centro nevralgico, l’unico esercizio, tanto per citare quello che è stato il suo fare versi così fatalmente rispettoso e il sentimento estremo di una grande educazione umanistica”.
Fin da giovane aveva l’abitudine di scrivere di notte, di leggere le sue poesie ad alta voce.
“Mentre leggeva”, aggiunge Ferracuti, “sembrava un direttore d’orchestra, muoveva le braccia impartendo il ritmo, le scansioni, e le sue mani ossute rivoltandosi contro se stesse sembravano seguire i movimenti della bocca, le pause del respiro, da cui uscivano quelle parole nel metro che più amava e che sentiva intimo, l’endecasillabo”.
Una poetessa autentica, della quale Pier Paolo Pasolini, grande e sincero amico di Giovanna, apprezzava l’integrità e il carattere fiero e rigoroso.
(segnalato da Virginia Varriale)
Lei era nata a Ferrara da una ricca famiglia ebrea di liberi professionisti, e fin da bambina si era appassionata di lingue morte come il latino e il greco, ma anche l’ebraico e il sanscrito. Mentre studiava al liceo classico Galvani di Bologna si era avvicinata a intellettuali come Leone Traverso, Carlo Izzo e Mario Praz. Vera e propria enfant prodige, Giovanna aveva tradotto a 13 anni l’Eneide in sole 36 notti, e due anni dopo le sue traduzioni dei versi di Omero erano state pubblicate sull’Antologia dell’Epica, al posto di quelle di Salvatore Quasimodo. Poco tempo dopo decise di lasciare gli studi e dedicarsi interamente alla poesia, senza più occuparsi dell’esteriorità: smise di lavarsi, cominciò a vestirsi male e a usare un linguaggio volgare. Enzo Siciliano la descrisse in “abiti bislacchi, laceri; svagato disordine”.
Contestatrice ante litteram, Giovanna si sentiva una vestale della poesia, una creatura controcorrente e anticonformista: si era finta lesbica per motivi politici, era vissuta a lungo a Venezia in uno scantinato, sfamata dalla carità delle vicine. Si nutriva esclusivamente di poesia, tanto da cominciare, subito dopo la guerra, a scrivere gli Esercizi, pubblicati nel 1948. Si tratta di una sorta di work in progress che riunisce i suoi versi accanto alle traduzioni di testi da diverse lingue: Omero e Saffo, Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Valery, Rilke e Hölderlin fino al Cantico dei cantici, tradotto dall’ebraico nel 2006.
Disinteressata a ogni forma di impegno civile o politico, Giovanna si impegnava soltanto nell’affinare ogni verso, cesellando le sue traduzioni, in cerca di una perfezione irraggiungibile. Nel frattempo aveva avviato alcune collaborazioni con Il Mattino del Popolo, che la fecero uscire dalla condizione di indigenza. Dopo essersi trasferita da Roma a Firenze, aveva sposato il futuro ministro Giulio Orlando nel 1957, in presenza di Giuseppe Ungaretti come testimone di nozze. “I gilet scuri, le camicie bianche classicissime che indossava, i pantaloni attillatissimi, erano la divisa di una donna che aveva scelto la letteratura come missione, abdicando a tutto il resto, compresi gli agi di una esistenza borghese che non l’ha mai interessata”: così la descrive sul Manifesto Angelo Ferracuti. “Aveva tutte le stranezze del mondo, le fobie più tenere, e le paure dei poeti veri, inermi sulla soglia del mondo, fragili per bisogno di profondità, la letteratura era l’unico suo centro nevralgico, l’unico esercizio, tanto per citare quello che è stato il suo fare versi così fatalmente rispettoso e il sentimento estremo di una grande educazione umanistica”.
Fin da giovane aveva l’abitudine di scrivere di notte, di leggere le sue poesie ad alta voce.
“Mentre leggeva”, aggiunge Ferracuti, “sembrava un direttore d’orchestra, muoveva le braccia impartendo il ritmo, le scansioni, e le sue mani ossute rivoltandosi contro se stesse sembravano seguire i movimenti della bocca, le pause del respiro, da cui uscivano quelle parole nel metro che più amava e che sentiva intimo, l’endecasillabo”.
Una poetessa autentica, della quale Pier Paolo Pasolini, grande e sincero amico di Giovanna, apprezzava l’integrità e il carattere fiero e rigoroso.