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Il Lunedì Sale: Persone

Una donna sola al pianoforte dal timbro fanciullesco.
(NdR)


"Blossom Dearie, inimitabile e imitatissima",
di Daniele Cassandro,
tratto da “Internazionale” del 11.9.2024


La musicista jazz Blossom Dearie (1924-2009) era stata definita la Rose Murphy bianca (perché come lei si accompagnava da sola al pianoforte), la Chet Baker donna (per lo stile vocale rilassato e confidenziale) e la Betty Boop del bebop (per il timbro acuto e fanciullesco della sua voce). Forse finché è stata in vita era difficile ammettere che Blossom Dearie fosse solo Blossom Dearie: una cantante, musicista, autrice, arrangiatrice e pianista dallo stile unico e difficilmente imitabile anche se molto imitato. Il suo nome, che in italiano suonerebbe qualcosa come “fiorellino caro”, forse non l’ha aiutata a essere considerata la protagonista del jazz che è, ma era il suo vero nome. Blossom Margrethe Dearie fu chiamata così quando i suoi fratelli decorarono la casa con dei fiori di pero per festeggiare la sua nascita.

Quello di Dearie era un talento precoce: a due anni già suonava il pianoforte a orecchio e a cinque era in grado di suonare il tema del Prélude à l’après-midi d’un faune di Claude Debussy. Quando sembrava che tutto fosse pronto per farla entrare in conservatorio, Blossom Dearie decise di darsi al jazz e lasciò gli studi classici. Già questa scelta parla del suo carattere e della sua indipendenza: cresciuta come una bambina prodigio, appena ventenne andò a New York per cantare e suonare in locali ritenuti malfamati e in un mondo quasi esclusivamente maschile. Grazie al suo talento e al suo carattere Blossom fu subito accettata come musicista: diventò amica di Gil Evans e nel suo appartamento incontrò Gerry Mulligan, Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Miles Davis. Il “fiorellino caro”, nonostante quella voce così piccola e il repertorio allegro, era una musicista ambiziosa e sicura delle sue doti e lo spazio che non le fu dato se lo prese da sola. Come spesso accade alle donne di grande talento e ambizione, si guadagnò la fama di artista troppo perfezionista e difficile. È stato così per moltissime altre grandi, da Nina Simone a Dusty Springfield.

Negli anni cinquanta, dopo un passaggio a Parigi, Blossom Dearie era diventata una star del jazz vocale registrando sei album memorabili per l’etichetta Verve. Negli anni sessanta suonò con Miles Davis al Village Vanguard. Davis in quell’occasione si stupì di come lei chiedesse la massima attenzione al pubblico: era capace d’interrompere tutto per avere il silenzio che la sua performance meritava. Nella seconda metà degli anni sessanta si spostò a Londra dove incise diversi album per l’etichetta Fontana. Lì conobbe John Lennon, che stravedeva per lei, e diventò qualcosa di simile a una pop star mescolandosi alla bella gente della swinging London: nel Regno Unito il suo repertorio si allargò al pop, alla bossa nova e al folk. Soprattutto Blossom cominciò a comporre. Quando il suo ultimo album per la Fontana andò male lei si ritrovò senza contratto e dovette tornare negli Stati Uniti.

Ed è lì, all’inizio degli anni settanta, che decise che Blossom Dearie, ormai cinquantenne, non sarebbe stata più una cantante da club ma sarebbe diventata un’artista da sala da concerti, sale come la Carnegie Hall di New York in cui si esibì nel 1973. È una scelta importante: per lei significava riposizionarsi completamente rispetto alla scena jazz in cui il suo talento si era rivelato e sviluppato. Soprattutto significava una nuova indipendenza artistica.

Dearie cominciò a sperimentare e a lavorare su nuovo materiale, soprattutto su musiche scritte da lei stessa, cominciò a suonare anche il piano elettrico e a rendere il suo suono più contemporaneo. Peccato che i nuovi demo rimasero lì: Blossom Dearie aveva il suo pubblico affezionato ma non interessava a chi pubblicava dischi, che la considerava passata di moda. Se con Tony Bennett o Carmen McRae in quegli anni furono tentati dei crossover con il pop, a Blossom Dearie, che sarebbe stata perfetta per quel tipo di operazione, non fu data neanche quella possibilità. È a quel punto che la musicista decise di prendere in mano la situazione: se nessuno la voleva avrebbe fondato la sua etichetta e si sarebbe appoggiata ad altri per la distribuzione: nacque così la Daffodil records e Blossom Dearie diventò la prima artista donna a possedere la propria etichetta discografica.

Blossom Dearie sings, uscito nel 1973, è il suo primo long playing interamente autoprodotto in cui Dearie non solo canta ma scrive, arrangia, suona e produce. Si chiama Blossom Dearie sings (“Blossm Dearie canta”) ma dovrebbe chiamarsi Blossoms Dearie sings, writes, plays, arranges and produces. Troppo lungo. Le canzoni sono tutte scritte da Dearie che si appoggia a vari parolieri tra cui Johnny Mercer, autore per esempio delle parole per Moon River, cantata da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany, e che qui firma I’m shadowing you, il pezzo di apertura del disco. È un pezzo in equilibrio delicatissimo tra bossa nova e easy listening.

Come in tutte le cose che suonano facili la tecnica viene accuratamente nascosta: Dearie è una maestra del fraseggio e ogni sillaba che canta si appoggia sulle note che suona al piano elettrico Fender Rhodes. La sua voce acuta e intonatissima vola come volano le sue piccole dita sulla tastiera. Il miracolo della voce di Blossom Dearie è in quante cose riesca a fare con un timbro molto particolare e una gamma di note piuttosto limitata. Sentirla cantare è come seguire il tratto dell’illustratore americano Saul Steinberg che con pochissimi segni decisi faceva vivere sulla carta volti, animali e paesaggi. Proprio come Chet Baker, a cui era così spesso paragonata, faceva dei suoi limiti vocali dei punti di forza grazie a una musicalità assoluta e a un gusto sopraffino.

In I like you, you’re nice (“Mi piaci, sei simpatico”) la seduzione diventa un gioco d’arguzia e intelligenza. La narratrice della canzone parla con un uomo che ha appena conosciuto e scopre subito le carte: “Vieni a casa e stai un po’ con me”, e poi l’offerta di una tazza di caffè del Costa Rica che viene decritta come “meravigliosa e molto molto chiacchierata” diventa un’avance esplicita. Solo una cantante come Dearie può danzare su un filo così sottile senza cadere nella farsa un po’ grossolana: con l’inflessione della voce riesce a sembrare la bruttina ingenua di una commedia sofisticata degli anni cinquanta che quando si leva gli occhiali si rivela bellissima e molto seducente. Hey John (dedicata all’amico John Lennon) è un altro momento di scherzosa seduzione: parte con un accordo di piano Fender Rhodes e un paio di battute di scat-singing in cui Blossom gioca a fare Betty Boop: “Musicalmente è stato il nostro primo incontro…”, bamboleggia Dearie: “Rimani un po’ con me, John; figo il tuo stile, John; mi piace il tuo sorriso John, mi piace piacerti, John”. La cinquantenne Blossom Dearie usa volontariamente un gergo giovanile già un po’ fané negli anni settanta (“Dig your style, John”) e recita, con grande autoironia, la parte della signora un po’ svampita invaghita della rockstar di cui tutti parlano.

Blossom Dearie sings è un album brillante che, dietro alla sua apparente leggerezza, nasconde un’artista piena di sfumature e di contraddizioni, in bilico tra jazz e pop, tra cabaret sofisticato e easy listening. La forza della Blossom Dearie matura è tutta in quella voce infantile sostenuta da una tecnica vocale e da una capacità interpretativa da artista navigata. Quello stile, soprattutto negli ultimi decenni, è stato abbondantemente imitato sia nel jazz (un nome tra tutti: Stacey Kent) sia nel pop con cantanti come Feist e nell’hip hop e nell’rnb con gruppi come i De La Soul e i Fugees, che l’hanno campionata spesso e volentieri. L’artista pop che però ha più volte espresso la sua ammirazione e il suo debito con Blossom Dearie è Kylie Minogue, che nel 2007 la contattò per programmare un duetto. Le due s’incontrarono ma Dearie era troppo anziana e debole per lavorare con lei. Sarebbe morta due anni dopo, nel 2009.