Maura Delpero ci ha vissuto e studiato, e qui ha conosciuto Francesca Andreoli, che assieme a lei ha scommesso tutto su questo film. Proprio con Andreoli abbiamo parlato della difficilissima produzione e del sorprendente successo di Vermiglio.
«Il film è ambientato nel corso di quattro stagioni, tra la guerra e la
pace, un momento cerniera che mi ha permesso di raccontare il passaggio tra
l’antico e il moderno, il paese e la città, il comunitario e l’individuale. I
personaggi sono in bilico tra questi due mondi, in particolare le ragazze: sono
completamente dentro il loro tempo, con le leggi del patriarcato, e allo stesso
tempo fremono, hanno già un’ansia di autodeterminazione». A spiegarlo è
Maura Delpero alla proiezione bolognese di Vermiglio, il film
premiato a Venezia con il Leone d’argento – Gran Premio della Giuria.
A Bologna la regista, originaria di Bolzano, ha studiato, cibandosi dei
film della Cineteca, mentre bolognese doc è Francesca Andreoli, produttrice e
socia fondatrice – insieme e Leonardo Guerra Seràgnoli, a Delpero stessa e a
Santiago Fondevila Sancet – dell’esordiente Cinedora, che sul film ha
scommesso. Nella sala è palpabile il calore di amici e parenti venuti a dare il
proprio sostegno. Sarà di pochi giorni dopo la notizia che Vermiglio è
stato scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar.
«Sono tutti personaggi in bilico. Le donne del resto lo sono sempre – mi
chiedo se in futuro le nostre nipoti potranno dire di non esserlo. Noi lo
siamo, le protagoniste di Vermiglio lo erano ancora di più»,
continua Delpero, anche lei, come tutte, in bilico tra lavoro e famiglia (non è
passato inosservato, nel discorso della regista a Venezia, l’augurio per una
società meno discriminatoria nei confronti delle donne), tra talento e giusto
riconoscimento. E se è vero, come è vero, che le registe sono ancora poche, e
l’Italia si colloca persino sotto la media europea per numero di film diretti
da donne, ecco allora che il risultato ottenuto da Vermiglio ha
qualcosa di eccezionale.
Un’ eccezionalità a cui non è del tutto nuova Francesca Andreoli che con
Tempesta, casa di produzione bolognese, si è occupata di altri esordi al
femminile, tra cui Le meraviglie (2014) e Lazzaro
felice (2018) della oggi celebratissima Alice Rohrwacher. A Tempesta,
fondata nel 2009 da Carlo Cresto-Dina con un focus particolare su esordi e
nuovi talenti, Andreoli era approdata dopo undici anni alla Cineteca, tra i più
importanti centri di conservazione e restauro cinematografico cui fanno capo
quattro sale: la biblioteca di cinema Renzo Renzi, il Fondo Pier Paolo
Pasolini, la Film Commission del capoluogo emiliano, oltre a festival e
manifestazioni che attirano in città i nomi più importanti del cinema
internazionale (basti pensare che Wes Anderson l’ha paragonata al Louvre e al
Prado per la ricchezza di offerta).
«Ho conosciuto Maura da spettatrice», mi racconta Andreoli, che raggiungo
al telefono mentre è in partenza per la Corea dove Vermiglio verrà
presentato al Busan International Film Festival. «Lavoravo alla selezione per
Visioni Italiane [concorso nazionale per corto, mediometraggi e documentari
della Cineteca, ndr] quando ho visto i suoi primi documentari.
Erano bellissimi. Già si potevano intuire uno sguardo poetico e una costruzione
narrativa raffinata, capace di trasmettere emozioni. Ci siamo conosciute, e nel
corso degli anni siamo rimaste in contatto, ci sentivamo, ci aggiornavamo sui
rispettivi percorsi e, quando riuscivamo, ci incontravamo. Con Vermiglio ci
è venuta l’idea un po’ folle di aprire una società insieme, coinvolgendo anche
Leonardo e il marito di Maura, Santiago. La nascita di Cinedora è strettamente
legata a questo film e al progetto della sua realizzazione».
Follia è una parola che ricorre spesso anche nelle interviste di Delpero
che, nel discorso di ringraziamento a Venezia, non ha dimenticato Cinedora,
«nuova casa di produzione italiana che ha avuto la matta idea di iniziare con
un film difficilissimo, con i bebé, i bambini, gli animali, la neve, il
dialetto e chi più ne ha più ne metta». Se a questo si aggiunge una regista
donna (in un mondo, quello del cinema, ancora dominato dagli uomini), un’opera
seconda, un cast di esordienti e attori non professionisti – con l’eccezione
del superbo Tommaso Ragno nei panni del padre della numerosa famiglia Graziadei
– si comprende ancora meglio la scelta della parola follia. «Questo è forse il
film a cui ho lavorato più intensamente, per via della costruzione produttiva
complessa e ambiziosa», ammette Andreoli, «Io la definisco una lucida follia»,
una scommessa, certo, ma fatta su una valida sceneggiatura («bellissima già
alla sua prima stesura, quasi un romanzo»), e su un’autrice che, con l’opera
prima Maternal, aveva già ottenuto importanti riconoscimenti a
Locarno e a Cannes.
«Maura Delpero era un talento che andava solo coltivato. Le servivano gli
strumenti per esprimersi al meglio. Come tutti gli autori, aveva bisogno di un
impianto produttivo che la sostenesse e la guidasse, di un budget che le
permettesse di avere tutto ciò che le occorreva per la realizzazione del film
in fase di riprese. E soprattutto bisognava darle tempo: per pensare, per
scrivere, per costruire quel mondo che adesso vediamo sullo schermo. Questo
tempo noi glielo abbiamo concesso».
Il tempo, quasi infinito, necessario alla ricerca delle location e degli
attori, alla loro preparazione – un anno di prove con la coach Alessia Barela –
«perché quei ragazzi incarnavano perfettamente i volti, i movimenti, la
presenza che Maura ricercava, ma non erano preparati. Dovevano superare la
timidezza ed entrare in confidenza tra di loro per interpretare con naturalezza
una famiglia». E poi il tempo meteorologico, che ha rappresentato una sfida
ulteriore: «Il film è stato girato in due momenti: per avere tutte e quattro le
stagioni della sceneggiatura abbiamo dovuto filmare la primavera e l’estate,
fermarci, aspettare l’inverno, e riprendere. Volevamo la neve, per non dover
ricorrere a costosissimi effetti speciali, e la neve è arrivata, talmente tanta
che, a quel punto, abbiamo dovuto affrontare problemi logistici e
organizzativi».
Follia, dunque. Sogno che si avvera. Andreoli parla anche di «miracolo»
quando ripensa al Leone d’argento e alla possibile candidatura agli Oscar. Ma
se il miracolo ha in sé la casualità e la fortuna, quest’opera collettiva che
è Vermiglio è invece frutto della determinazione e
dell’impegno di tanti. Lavorando sodo, insomma, si ottengono i risultati. «Non
è sempre così, purtroppo», commenta. «Con il cinema d’autore non è scontato
intercettare il gusto e l’attenzione del pubblico», attenzione che al momento
il pubblico sembra disposto a concedere: distribuito da Lucky Red in 100 sale
italiane, Vermiglio è in cima al box office.
Dopo Venezia il film parteciperà, accompagnato dai suoi produttori, ad altri festival in giro per il mondo (dal già citato Busan Film Festival in Corea del Sud a Valladolid, da Montpellier a New York) dove testerà la risposta internazionale, e comincerà la road map verso gli Oscar: l’annuncio della shortlist da parte dell’Academy è previsto per il 17 dicembre 2024, mentre le nomination saranno comunicate il 17 gennaio 2025. Infine il 2 marzo 2025 avrà luogo la cerimonia degli Academy Awards a Los Angeles. «La strada è ancora lunga. Abbiamo fatto un primo passo importante, e ora andiamo avanti. Come ha detto Maura in conferenza stampa, dobbiamo fare come gli alpinisti che, mentre scalano le montagne, guardano soltanto il chiodo che hanno piantato, non guardano né su né giù, per evitare lo shock dell’abisso. Quindi piantiamo il chiodo e concentriamo lo sguardo su quello, piantiamo il successivo e vediamo se ci porta un po’ più su».