tratto da “Il Post – Cultura” del 8 ottobre 2024
Il personaggio più stravagante e curioso che la protagonista di Alice nel Paese delle Meraviglie incontra nel suo viaggio pieno di bizzarrie è probabilmente il Cappellaio, celebre per il suo aspetto eccentrico e per le battute nonsense. Anche se nel famosissimo libro del 1865 di Lewis Carroll è semplicemente il Cappellaio, c’è una ragione precisa per cui è più noto come il “Cappellaio matto”: nell’Inghilterra dell’Ottocento infatti “essere matto come un cappellaio” era un’espressione diffusa per indicare i disturbi che poteva sviluppare proprio chi faceva quel mestiere. Sul significato che voleva attribuire l’autore al personaggio, così come sull’origine del detto, ci sono però più interpretazioni.
Alice nel paese delle meraviglie è uno dei romanzi fantastici più famosi di sempre. Nel sesto capitolo del libro il personaggio del Gatto rivela ad Alice che nel luogo in cui è finita «siamo tutti matti»: l’incontro con il Cappellaio, poco dopo, contribuisce ancora di più alla sua confusione. La prima cosa che le dice, senza apparente motivo, è che dovrebbe farsi tagliare i capelli, e poi le chiede «perché un corvo assomiglia a uno scrittoio?», un quesito senza una vera risposta e che la lascia comprensibilmente perplessa. Il Cappellaio le spiega inoltre che lì «è sempre l’ora del tè», visto che ha litigato con il tempo e il tempo non fa più quello che vuole lui.
Nella cosiddetta
epoca vittoriana, che prende il nome dal lungo regno della regina Vittoria del
Regno Unito (1837-1901), i cappelli erano un accessorio popolare sia tra la
nobiltà che tra le fasce più basse della popolazione, e perciò il cappellaio
era un mestiere molto diffuso. All’epoca tuttavia per lavorare la pelliccia di
piccoli animali come i conigli e trasformarla in feltro si impiegava il nitrato
di mercurio, una sostanza tossica di cui allora non si conoscevano i rischi.
Il fatto è che
l’esposizione prolungata al mercurio aveva effetti nocivi sul sistema
nervoso e poteva provocare disturbi di varia natura, tra cui tremori, problemi
nell’eloquio e persino allucinazioni o eretismo, una condizione di ipereccitabilità legata all’intossicazione da questa
sostanza. Così tra Settecento e Ottocento essere matti come un cappellaio, in
inglese “mad as a hatter”, era una frase comune per indicare una persona che
aveva comportamenti bizzarri.
I tremori sviluppati dai cappellai in seguito all’intossicazione da mercurio venivano chiamati “i brividi del cappellaio” (in inglese “hatter’s shakes”), mentre negli Stati Uniti, e in particolare nel Connecticut, erano conosciuti come “Danbury shakes”, dal nome della città che al tempo era nota per la manifattura di cappelli.
C’è anche un caso piuttosto noto di presunta intossicazione da mercurio: quello di Boston Corbett, un uomo inglese emigrato negli Stati Uniti noto per aver ucciso John Wilkes Booth, che nel 1865 aveva assassinato il presidente statunitense Abraham Lincoln. Da giovane Corbett aveva lavorato proprio come cappellaio: in base alle testimonianze arrivate fin qui diventò un fanatico religioso, si castrò usando delle forbici per cercare di controllare il suo desiderio sessuale e anni dopo aver ucciso Booth fu ricoverato in un ospedale psichiatrico per aver minacciato un gruppo di persone nel Kansas con una pistola. Nel 1888 fuggì e non fu più trovato.
Nel 1865 i
lettori inglesi avrebbero associato facilmente il personaggio del Cappellaio di
Carroll e le sue stranezze al modo di dire: nonostante nel libro non venisse
mai chiamato “Cappellaio matto”, tutti cominciarono a conoscerlo e indicarlo
con quell’appellativo in particolare da inizio Novecento.
Il personaggio di Carroll contribuì insomma a rendere famosa un’espressione che era già di uso comune, ma che non veniva da lì. La sua prima testimonianza scritta è attestata in un articolo pubblicato sul periodico Blackwood’s Edinburgh Magazine nel 1829: dopodiché fu usata nel romanzo del 1837 The Clockmaker di Thomas Chandler Haliburton e in Pendennis di William Makepeace Thackeray (1850), più noto per aver scritto Vanity Fair. Il Cappellaio divenne poi matto nel celebre adattamento cinematografico del 1951 della Disney, e più di recente nei due film che hanno per protagonista Johnny Depp: Alice in Wonderland di Tim Burton, del 2010, e Alice attraverso lo specchio, basato sul seguito del libro di Carroll, uscito nel 2016.
Come ha notato il noto sito di fact-checking Snopes, è comunque possibile che Carroll non fosse a conoscenza che il detto “matto come un cappellaio” avesse a che fare con l’intossicazione da mercurio, e non è nemmeno certo che quella fosse la vera origine dell’espressione.
Una delle teorie
diffuse già al momento della pubblicazione del libro è che il Cappellaio
fosse basato su una
persona realmente esistita: Theophilus Carter, che non
era un cappellaio e non era mai stato esposto al mercurio, ma era un
commerciante di mobili noto per essere piuttosto eccentrico. Carter aveva un
naso importante, un mento poco pronunciato e portava il cappello calcato sulla
parte posteriore della testa, motivi per cui a Oxford, la sua città, era
effettivamente conosciuto come “il cappellaio matto”.
C’è così chi sostiene che Carroll avrebbe chiesto al disegnatore John Tenniel di ispirarsi a Carter per le illustrazioni del Cappellaio, che contribuirono poi a rendere l’immaginario di un personaggio assurdo. Secondo questa interpretazione, Carroll avrebbe usato una caricatura di Carter come forma di critica alla società del tempo, dove le persone considerate bizzarre erano relegate ai margini della società e trattate con disprezzo.
Ma nell’interpretazione del Cappellaio e del suo ruolo c’entrano anche questioni linguistiche. Carroll amava molto i giochi di parole, le associazioni di significati e i doppi sensi, pertanto potrebbe non essere un caso che nel libro il personaggio compaia in compagnia della Lepre di Marzo, un altro dei personaggi curiosi che Alice incontra. Prima ancora di “mad as a hatter”, infatti, per indicare qualcuno un po’ matto in Inghilterra era diffusa l’espressione “mad as a March hare”, “matto come una lepre di marzo”: un riferimento all’eccitazione degli animali nella stagione dell’accoppiamento. Sia i due personaggi sia le allusioni ai due modi di dire ricorderebbero insomma che, come aveva detto il Gatto, «siamo tutti matti qui».
Al tempo inoltre la parola “mad” voleva anche dire “violento”, “velenoso”, e già nel 1842 era stata attestata l’espressione “mad as an adder”, cioè “velenoso come una vipera”, che in anglosassone si diceva “atter”. Secondo A Dictionary of Common Fallacies, un dizionario che cerca di spiegare l’origine di alcune false credenze o espressioni di uso comune, una delle possibili ricostruzioni è pertanto che l’espressione “mad as a hatter” non fosse stata inventata per l’intossicazione da mercurio, bensì fosse una storpiatura di “mad as an atter”.