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Mariangela Gualtieri: «La poesia? Più musica che letteratura»

di Lara Ricci
vicecaposervizio curatrice delle pagine di letteratura e poesia de “Il Sole 24 ore”
 
tratto da Cultura – Il Sole 24 ore
6 settembre 2024


La poeta ha fatto della lettura poetica un’arte. Le abbiamo chiesto di rivelarci qualche segreto.
Gualtieri, fondatrice, insieme a Cesare Ronconi, del Teatro Valdoca, nel 1983.
La abbiamo incontrata a Festivaletteratura, a Mantova, dove ha messo in scena la sua ultima raccolta: Ruvido umano (Einaudi)
 
Nicola Gardini ha scritto che lei è una scrittrice che compone non con la penna ma con la voce.

In realtà compongo sempre con la penna, però sicuramente la voce - e questo tentativo di dare vita orale ai versi - è proprio al centro del mio fare poetico, perché penso che la poesia attua pienamente tutti i suoi poteri nell’oralità. Anche, ovviamente, se non disdegno la lettura silenziosa, amo farla io stessa, e la comprendo. Però nell’oralità, e in quel rito davanti a un pubblico, che è una piccola comunità provvisoria d’ascolto, la poesia diventa davvero un fatto energetico. La poesia è un’alleata, una grande alleata.
 
Infatti lei ha fatto della lettura poetica un’arte - ha anche scritto il libro L’incanto fonico. l’arte di dire la poesia (Einaudi, 2022). Perché è così importante anche il come si legge una poesia?

Semplicemente perché - come già diceva Leopardi e tanti altri poeti del passato - la poesia è musica. Io la sento più vicina alla musica che alla letteratura. La musica nella poesia è importante tanto quanto la parola e il silenzio. Quella tessitura di suono e silenzio si compie perfettamente nell’oralità, proprio come se la voce fosse uno strumento musicale e la scrittura una partitura. Come ho detto tante volte, noi comprendiamo benissimo che razza di sacrificio sarebbe tenere i pezzi musicali scritti e non suonarli mai, non trasformarli mai in onde sonore, in energia sonora. Non appena il suono si accende, tutto il corpo viene immerso in quel bagno acustico: la poesia non è più solo un fatto mentale: tutto il corpo partecipa a quella musica, a quel suono. Il corpo è grande esperto di gioia e godimento. Insomma c’è una maggiore pienezza e felicità, a me sembra, nel dare vita orale ai versi.
 
Infatti nell’Incanto fonico lei scrive “da mente ad atletico corpo”… La vocalizzazione della poesia andrebbe insegnata a scuola?

Eh, povera scuola, non ce la fa a fare tutto. Penso che sarebbe importante già fare imparare a memoria le poesie - cosa che i ragazzi detestano abbastanza - ma è un atto fondamentale perché in questo modo le poesie diventano compagne perenni. Io ho imparato Davanti a San Guido di Carducci quando ancora non sapevo leggere e scrivere, me l’aveva insegnata una zia, e me la sono ricordata tutta la vita. È veramente un’arte quella di dire la poesia, e un insegnante che volesse trasmetterla alle ragazze e ai ragazzi dovrebbe in qualche modo esercitarsi. È molto importante anche la strumentazione tecnologica. Forse attivando dei laboratori, approntando la strumentazione che serve, amplificazione, microfono ecc., forse questo già sarebbe di stimolo.
 
Immaginando un poeta che vuole leggere la sua poesia a qualcuno, ma senza avere una strumentazione particolare, come la deve leggere?

È un po’ complesso rispondere… Innanzitutto la poesia va imparata a memoria, va liberato l’occhio dall’ancoraggio al foglio. E già questo atto semplice espone, apre, il corpo a quello che sta davanti a me. Quando si va a memoria, sembra quasi che si attivi un altro tipo di memoria, una memoria più musicale, e si prova quel piacere, quella gioia, del canto. Bisogna liberare l’occhio, non essere vincolate al foglio. Anche l’attenzione al presente in cui si dà la poesia oralmente si attiva moltissimo quando si va memoria: si è liberi di pausare in ascolto col presente. Ogni pubblico, ogni presente, ha il proprio silenzio di fondo. La poesia dialoga con quel silenzio, e col silenzio degli astanti. Non è mai un dire predeterminato, è sempre un dire che viene in parte modificato dal presente in cui accade.
 
Nell’Incanto fonico lei raccomanda infatti di “liberare nell’aria il verso”…

Sì è questo. L’occhio è proprio un guinzaglio, anche perché chi legge in pubblico ha il terrore di perdere il rigo, e si è fortemente ancorati a quel foglio. Quando si va memoria sei libero e puoi “liberare nell’aria del verso”
 
Se lei guarda alle sue spalle il suo percorso poetico - recente è la sua autoantologia Bello mondo (Einaudi, 2024) - che cosa vede?

In nessun campo ho una visione storica ordinata, è come se il passato fosse ammucchiato alle mie spalle in un grande disordine, mi sento sempre all’esordio. Sicuramente la mia lingua si è semplificata, si è dovuta semplificare perché quarant’anni di teatro con un regista che mi chiamava ad una parola frontale, diretta, mi hanno costretto a semplificarmi o, come dice Borges, non si tratta di semplicità ma di una “modesta e segreta complessità”. Ecco spero di aver imparato quella complessità segreta e modesta. Il mio passato è un passato molto fortunato: sono cresciuta in teatro, con Cesare Ronconi come regista e altre compagne e compagni che in qualche modo ho scelto e che sono anche capitati, certamente, e poi sono stati accolti, sono cresciuta in un ambiente così ispirante, se mi passa la parola. Ho sempre scritto per attori e attrici che erano lì presenti, ho scritto per dei corpi, per delle facce precise. È stato un passato, un percorso, che ritengo molto generoso, molto fortunato, molto ricco.
 
Come colloca questa ultima raccolta, Ruvido umano, nel suo percorso?

Con Ruvido umano sto facendo un lavoro con Lemmo, che compone musica elettronica. Ho scoperto che la musica elettronica è molto accogliente se si libera della sua volontà di potenza, spesso così ingombrante e irritante, e si acutizza l’udito. È un mondo che mi sembra molto adatto alla poesia. Ci sono dentro le voci degli animali, della natura, tutti i suoni della terra.
 
 
“Ogni giorno tenere” di Mariangela Gualtieri
 
Ogni giorno tenere
un po’ di fame.
Stare seduti a non far niente
almeno una manciata di minuti.
Dare alla terra un sorso d’acqua
un ossicino una foglia
– lei prende e centuplica e scatena –
guardare bene una faccia
nutrire un animale, almeno uno.
Guardare spesso il cielo.
Leggere una poesia sola.
Dire grazie.
Abitare un silenzio
con il corpo pregare – coi passi con le braccia.
A questo aggiungere la tua legge grande.
E può bastare.
 
(poesia segnalata da Virginia Varriale)