Lo studioso
canadese Marshall McLuhan è scomparso nel 1980. Dunque, i suoi principali
concetti esistono da più di cinquant’anni. Eppure devono essere considerati
ancora estremamente attuali. Sono in grado cioè di spiegarci con grande
efficacia anche quei meccanismi di funzionamento che caratterizzano il mondo
digitale nel quale siamo sempre più immersi. Insomma, l’“era elettronica” che
McLuhan aveva in mente dev’essere considerata come estremamente simile alla
nostra. Ben venga dunque il libro che è stato recentemente curato da Simone di
Biasio, ricercatore di Storia della pedagogia all’Università Roma Tre: L’educazione
nell’era elettronica (Edizioni ETS). Contiene infatti un testo
pubblicato per la prima volta in italiano, e tradotto dallo stesso Di Biasio,
che è in grado anche di riassumere in maniera esemplare molte degli innovativi
concetti teorici elaborati da McLuhan.
Questo autore
aveva una concezione particolarmente ampia della natura del medium. A suo
avviso, infatti, i media possono essere tutti quegli strumenti che consentono
agli esseri umani di mettersi in relazione con l’ambiente. Consentono cioè
d’interagire con l’esterno e di stabilire un miglior rapporto con esso. Ma non
si tratta di strumenti puramente neutrali. Nel caso dei media comunicativi, ad
esempio, non siamo semplicemente di fronte a degli strumenti di trasmissione di
contenuti (informazioni, suoni, immagini, ecc.). Al contrario, questi e tutti
gli altri media agiscono nell’ambiente nel quale si trovano a operare e
producono dei significativi effetti. Perché hanno la capacità di esercitare un
impatto sui sensi degli esseri umani, ma soprattutto di cambiare il modo di
vedere la realtà, di modificare cioè la struttura delle mentalità e le capacità
cognitive delle persone. Ciò dunque che viene sinteticamente espresso dalla
celebre frase mcluhaniana “Il medium è il messaggio”. Ne deriva che per McLuhan
tutte le tecnologie devono essere considerate delle estensioni del corpo umano
o di una sua particolare facoltà, psichica o fisica (la parola è un’estensione
del pensiero, la ruota del piede, il libro dell’occhio, gli indumenti della
pelle, ecc.). E ciò vale naturalmente anche per le tecnologie relative ai
media, le quali non sono dei neutri canali di comunicazione, ma protesi del
corpo umano e in particolare estensioni dei sensi e dei nervi.
Se vengono
considerate tutte insieme, le tecnologie dei media rappresentano secondo
McLuhan un’estensione del sistema nervoso centrale. Un’estensione che
l’elettricità, attraverso la sua rete di distribuzione, ha reso talmente ampia
da farla tendere verso la dimensione della globalità e del superamento del
tempo e dello spazio. È la nuova condizione del “villaggio globale”, resa
possibile appunto dall’operare del circuito elettrico come un’estensione del
sistema nervoso centrale degli individui.
L’educazione può
probabilmente essere considerata una disciplina capace di formare degli
individui che siano in grado di rapportarsi in maniera efficace a questo
processo, capace cioè di dare vita a un processo per certi versi uguale ma
contrapposto. Pertanto, allora, anch’essa può essere considerata un
medium.
Nell’attuale epoca
digitale, tutto ciò è ancora valido. Il mondo digitale infatti, esattamente
come diceva McLuhan, richiede agli individui un elevato senso di
partecipazione, un coinvolgimento totale ed esclusivo. Non esistono al suo
interno dei mondi separati, un dentro e un fuori, delle specializzazioni, ma
soltanto il piacere della diversità. Pertanto, l’educazione non può dare ai
bambini qualcosa che è già noto, trasmettere semplicemente delle nozioni. Una
tale concezione dell’educazione viene rifiutata dai bambini stessi, perché essi
tendono a esplorare e a scoprire. Vogliono sempre più indagare l’ambiente
digitale, come se fossero dei cacciatori alla continua ricerca di nuove prede.
E hanno ben compreso che il nuovo mondo digitale è un ambiente simultaneo, dove
non esistono più una struttura lineare, delle narrazioni o dei particolari
punti di vista da cui guardare il mondo, ma soltanto una forma espressiva
collettiva e condivisa.
Non è un caso
perciò che McLuhan dedicasse una particolare attenzione alla televisione.
Questa infatti
rappresentava all’epoca la più avanzata forma linguistica dell’era elettronica.
Le sue immagini elettroniche, diceva McLuhan, possiedono una struttura “a
mosaico” e sono estremamente coinvolgenti. Così, di fronte a queste immagini,
secondo lo studioso canadese, lo spettatore deve farsi completamente assorbire.
Dunque, la televisione chiede alle persone di essere profondamente coinvolte,
di partecipare cioè con tutto il corpo al completamento di quelle immagini
incomplete che vengono da essa proposte.
Ma la
televisione e i media, in un certo senso, possono anche essere visti come delle
vere e proprie “aule didattiche”. Cioè come delle aule dove sia possibile
“allenare” gli spettatori più giovani. Per poterlo fare, secondo McLuhan, è
necessario sostituire il vecchio modello di apprendimento basato sul linguaggio
lineare e alfabetico della stampa con il nuovo modello “a mosaico”
dell’immagine televisiva. Dunque, con un modello che tenga conto delle modalità
di funzionamento dei media elettronici e le utilizzi per produrre dei risultati
differenti. Soltanto in questo modo sarà possibile per McLuhan produrre degli
esseri umani audio-tattili completamente nuovi, degli esseri umani cioè
adeguati al nuovo ambiente dell’era elettronica.
Ciò non significa che sia necessario mettere gli studenti in aula a lavorare direttamente sugli schermi dei televisori o dei computer. McLuhan ha sostenuto invece che le tecnologie mediatiche dovrebbero rimanere al di fuori della scuola. Quello che conta è stimolare gli studenti e dialogare liberamente con loro affinché sviluppino un metodo e un approccio di lavoro che potranno poi applicare all’esterno su tutti i media esistenti. Per diventare cittadini pienamente consapevoli del proprio ruolo.