Lo ribadiamo da tempo e continueremo a farlo anche in futuro occorre investire sui due assi fondamentali del Servizio sanitario nazionale: personale e territorio. Pagare di più e meglio il personale del Servizio Sanitario Nazionale; mettere in condizione, tutto il personale medico ed infermieristico che lavora negli ospedali, di occuparsi anche di medicina d’emergenza, come avviene in altri paesi europei; potenziare la sanità territoriale coinvolgendo i medici di medicina generale e puntando sugli infermieri di famiglia, utilizzare presto e bene i fondi del PNRR destinati al potenziamento della sanità territoriale (NdR)
Cure solo per i ricchi e bilanci famiglie in rosso. Per un ricovero si spenderebbero fino a 1.800 euro al giorno mentre un intervento di tumore a mammella può costarne 48mila. Lo studio Uil.
tratto da Quotidiano Sanità del 30 luglio 2024
Il sindacato ha quantificato quanto costerebbero ricoveri e interventi se la sanità fosse solo privata calcolando i costi medi di alcune prestazioni sanitarie più comuni, sulla base dei tariffari di alcune strutture sanitarie private in 3 Regioni prese come riferimento: Lombardia, Lazio e Calabria. “Il Ssn italiano è vicino al punto di non ritorno e il progressivo arretramento della sanità pubblica è, con evidenza, un colpo mortale per i bilanci delle famiglie e un ridimensionamento del diritto alla salute”
Quanto
dovrebbero sborsare i cittadini di tasca propria se il Ssn non esistesse? Per
un ricovero a bassa complessità assistenziale la spesa da sostenere varierebbe
da un minimo di 422 euro al giorno fino a un massimo di 1.178 euro in
Lombardia, da un minimo di 435 a un massimo di 1.278 euro nel Lazio e da un
minimo di 552 a un massimo di 1.480 euro in Calabria. E le cifre chiaramente
salirebbero vertiginosamente se il ricovero fosse ad alta complessità
assistenziale.
Non va meglio per un intervento chirurgico come l’asportazione del tumore alla
mammella, il più delle volte seguita dalla radioterapia, la spesa potrebbe
arrivare sino a un massimo di 29.400 euro in Lombardia, di 32.400 euro nel
Lazio e di 48.400 euro in Calabria.
A snocciolare le
cifre uno studio
della Uil, che ha provato, appunto, a quantificare quanto
costerebbe il bisogno di salute se la sanità fosse solo privata calcolando i
costi medi di alcune prestazioni sanitarie più comuni, sulla base dei tariffari
di alcune strutture sanitarie private in 3 Regioni prese come riferimento:
Lombardia, Lazio e Calabria.
“Il Ssn italiano è vicino al punto di non ritorno - spiega il sindacato in una nota - e il progressivo arretramento della sanità pubblica è, con evidenza, un colpo mortale per i bilanci delle famiglie e un ridimensionamento del diritto alla salute. Il Governo, per strizzare l’occhio alla sanità privata, volta le spalle alla sanità pubblica. Tutti i provvedimenti dell’Esecutivo Meloni in materia di sanità, a partire dalle leggi di bilancio per finire al recente decreto ‘abbatti liste’, vanno nella direzione di un rafforzamento della sanità privata a discapito di quella pubblica - denuncia il sindacato - Direzione che aggrava sempre più il malessere economico di molte famiglie italiane, costrette a modulare il proprio bisogno di cura, in funzione delle proprie disponibilità reddituali”. Perciò “la battaglia per una sanità pubblica e universale continua e adesso si deve rafforzare anche con la raccolta delle firme per il referendum abrogativo della legge Calderoli, impropriamente definita regionalismo differenziato”.
Cosa succederebbe, dunque, se si fosse costretti a rivolgersi alla sola
sanità privata pura?
In sintesi, dall’approfondimento condotto dalla Uil emerge che una persona che necessitasse di un ricovero per bassa complessità assistenziale, in assenza del Ssn, dovrebbe sostenere una spesa giornaliera che varia da un minimo di 422 euro fino a un massimo di 1.178 euro in Lombardia, da un minimo di 435 a un massimo di 1.278 euro nel Lazio e da un minimo di 552 a un massimo di 1.480 euro in Calabria.
Se il ricovero fosse ad alta complessità assistenziale, la somma aumenterebbe e, al giorno, si andrebbe da un minimo di 630 fino a 1.470 euro in Lombardia, da 530 a 1.800 euro nel Lazio e da 570 a 1.800 euro in Calabria.
E ancora, per un intervento chirurgico come l’asportazione del tumore alla mammella, il più delle volte seguita dalla radioterapia, secondo l’approfondimento della Uil si dovrebbe sostenere una spesa che può arrivare sino a un massimo di 29.400 euro in Lombardia, di 32.400 euro nel Lazio e di 48.400 euro in Calabria.
Nel caso di un check up cardiologico, invece, tenendo conto che le tariffe sono
variabili a seconda di età, sesso ed esami previsti, il costo in regime privato
varia da un minimo di 220 euro a un massimo di 295 per donna e uomo in
Lombardia, da un minimo di 234 euro a un massimo di 275 per una donna e da 235
a 275 euro per un uomo nel Lazio, da un minimo di 373 a 400 euro per una donna
e da un minimo di 343 a un massimo di 397 per un uomo in Calabria.
Infine, per risolvere un’occlusione
intestinale del neonato o per affrontare casi più gravi come quelli correlati a una spina bifida, il
costo, oltre la parcella dovuto al chirurgo, varierebbe da 4.300 a 9.000 euro
in Lombardia, da 6.100 a 9.000 euro nel Lazio e da 6.400 a 11.000 euro in
Calabria.
Il sindacato evidenzia quindi come “al diminuire dell’offerta sanitaria privata, rispetto alla domanda di cura, crescano le tariffe. Il che potrebbe configurare un regime di monopolio con poche cliniche private che definiscono condizioni di ‘cartello’, con effetti ricadono sui cittadini in termini di prestazioni più salate. Questo spiega perché i costi di alcune prestazioni in Calabria risultano più alte delle stesse in Lombardia e nel Lazio”.
Al Sud infatti,
osserva il sindacato, con la scarsa presenza sul territorio di cliniche private
e in assenza di dotazione di personale sanitario, si verifica quello che viene
definito un aumento di “payment for performance”, ossia una crescita del costo
della prestazione.
La Uil non si è fermata ai meri calcoli, per tutelare e rilanciare il
Servizio sanitario nazionale ha indicato la sua ricetta: fermare la legge Calderoli, impropriamente definitivo regionalismo
differenziato; attestare il rapporto Pil/spesa sanitaria sui livelli della
media europea; combattere gli sprechi delle Regioni evidenziati, ormai da
diversi anni, dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.