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Una piccola guida per l’Argentina, condotta dalle lotte delle donne

di Iaia Pedemonte
(ripreso da “La Libreria delle donne”)
 
L’esecutivo Milei ha tagliato fondi a ricerca, scuola, pensioni, prevenzione e politiche per le disuguaglianze di genere, colpendo soprattutto la popolazione femminile, che è la più povera. Ma la resistenza nel Paese c’è, come dimostrano le esperienze incontrate da Iaia Pedemonte, coautrice della nostra guida per “libere viaggiatrici”. Dai tour femministi di Buenos Aires a progetti di conservazione della biodiversità.
In Argentina è un autunno molto caldo. Il 3 giugno, nono anniversario del movimento femminista “Ni una menos” (“Non una di meno”), al rullo dei tamburi, migliaia di persone – lavoratrici dei trasporti pubblici, casalinghe, persone trans, donne indigene, afrodiscendenti, migranti, prostitute – hanno sfidato il governo contro i “discorsi e crimini di odio”, la violenza di genere, l’oppressione dei popoli originari e il depredamento della terra. Nella stessa settimana, la Confederazione Generale del Lavoro è scesa in piazza contro la legge sulla “deregulation” e le politiche ultraliberiste dell’esecutivo di Javier Milei, che ha tolto fondi a ricerca, scuola, pensioni, prevenzione e politiche per le disuguaglianze di genere, colpendo soprattutto la popolazione femminile, che è la più povera.
Quel giorno María-Noel Vaeza, direttrice di Un Women per le Americhe e i Caraibi, ha ricordato che «qui dove c’è un femminicidio ogni 18 ore, servono una politica pubblica condivisa tra i ministeri, prevenzione, rispetto dei trattati internazionali». La risposta del governo è stata lo scioglimento del Sottosegretariato per la protezione contro la violenza di genere, ultimo baluardo rimasto dell’ex ministero delle Donne. In effetti, Milei è stato di parola, dato che il giorno dopo la sua elezione, otto mesi fa, come prima cosa aveva annunciato la chiusura di quel ministero, «degradante perché discriminatorio» e un nuovo referendum per cancellare la legge sull’interruzione di gravidanza. Da allora la “ministra delle donne”, Ayelén Mazzina, ha dovuto sospendere decine di progetti, dai congedi parentali ai nidi per le donne sole, al numero per le emergenze in cinque idiomi indigeni, alle metodologie ambientali legate al genere.
Le donne argentine restano comunque in prima fila. Ce lo ha raccontato Inés, facendo l’uncinetto nell’accampamento del Pueblo Jujuy nei giardini di Plaza de Mayo, a Buenos Aires: «Siamo in lotta contro le misure fasciste contro le popolazioni indigene e i diritti umani». Da qui al falò acceso lungo la strada centrale di fronte all’Oceano gelato di Ushuaia, abbiamo incontrato molte altre donne resistenti. Seguiteci e segnatevi gli indirizzi per un prossimo viaggio.
Prima tappa, le strade da visitare con i “tour femministi”. Basta scegliere tra le varie associazioni e in due ore si scopre che a Buenos Aires c’erano solo tre monumenti o strade che rappresentassero le donne, finché a Puerto Madero, intorno al nuovo Puente de la Mujer di Calatrava, fontane, giardini, statue e vie sono stati dedicati alle donne. Da Juana Azurduy e Micaela Bastidas che imbracciarono le armi contro gli spagnoli, alla medica e suffragetta Julieta Lanteri, che con Eva Perón ottenne nel 1947 il voto alle donne prima di essere uccisa, fino alle Madri di Plaza de Mayo, che finalmente hanno avuto una strada intitolata all’ultima donna scomparsa. «Non proponiamo solo la storia delle donne, ma quella del nostro continente, per far riflettere sulle disuguaglianze – racconta Leticia Garziglia, tra le ideatrici dei Femitour @femitour.bsas. – Se ora ci sono diritti riconosciuti a livello giuridico è perché c’è stata una lotta: in Argentina c’è un grande movimento che non lascerà passare questo nuovo patriarcato cieco davanti alla violenza».
Dai due imperdibili quartieri di Boca e di Puerto Madero, è un passo per il Barrio Rodrigo Bueno: una terra di nessuno in cui fino a pochi anni fa i migranti da Uruguay, Paraguay, Ecuador e campagne vivevano su palafitte e pescavano in canoa sul fiume, ora diventato il centro riconosciuto dei progetti sociali condivisi. Ci ha portato qui Bettina Gonzalez, instancabile curatrice di progetti ambientali contro la povertà. «Se prima le forme urbane di “villas” e insediamenti informali venivano risolte senza mai ottenere una vera integrazione, come nel difficilissimo vicino quartiere di Villa 31, qui invece c’è stata un’evoluzione sanitaria, economica, culturale, gli affitti dipendono da posizione sociale, età, possibilità».
Il fiore all’occhiello e cuore del quartiere è diventato la “Vivera Orgánica”, vivaio di piante ormai celebre come esempio di cultura circolare ambientale, sociale, economica, una cooperativa autosostenuta di quattordici donne, con lo scopo di integrare l’identità urbana dei migranti e diffondere la cultura della biodiversità. Tra serre e aula, fiori e farfalle sconosciuti, insegnano ad altre donne come aprire più orti e alle scuole pratiche ecologiche, disegnano spazi urbani, vendono l’insalata agli hotel, cucinano e fanno eventi. «E pensare che prima l’indirizzo era uno solo per mille abitanti: Avenida España 1800. Ci siamo riuniti per le strade a disegnare gli spazi, molti sono stati formati come muratori, alcuni sono rimasti a lavorare qui». Come Elisabeth Cuenca, l’unica che ha concluso il corso di guida e ora accompagna urbanisti da tutto il mondo. E non può che essere qui Peruvian Nikkei, uno dei migliori ristoranti peruviani della città.
La Vivera è diventata celebre anche grazie al marketing sociale di Jessica Oyarbide, che ha applicato qui i modelli studiati in India e Bangladesh, dove incubatori etici e imprese sociali sono radicati. Jessica ha inventato due iniziative – “Marcas que Marcan” ed “Echos” – con cui accompagna le imprese e incoraggia la trasformazione sociale, con corsi, consulenza, viaggi studio, personalizzazione del marchio, propagando un impatto positivo sulla società, la prospettiva di genere, l’inclusione economica di persone fuggite da situazioni di disagio. Così ha fatto conoscere anche le iniziative delle donne delle campagne, che oggi per le strade della città raccolgono firme contro le coltivazioni di soja e vendono piante autoctone.
Tra le più attive la Red de Mujeres Rurales: «Sono più di 500 donne in più di 100 organizzazioni – come ci ha raccontato Yamila Niclis di Agrocultura – intenzionate a fare conoscere le diverse professioni delle campagne, dalle veterinarie alle sociologhe, con progetti su pratiche ambientali, biotecnologie, clima, connettività, responsabilità sociale». Dove andare? Ci sono decine di iniziative da cercare durante un viaggio nelle pampas. Yamila e Jessica invitano tutti nelle comunità indigene del Grand Chaco, le cui artigiane vendono nel mercato solidale i loro prodotti tessuti a mano, oppure dalla catena solidale delle “regine del miele”, le cooperative da incontrare nella provincia di Buenos Aires e in diciotto Paesi nel mondo.
Ma poiché qui si viene per scoprire spazi infiniti, allora con lo zaino in spalla si va dalle “Imprenditrici per la natura” di Rewilding Argentina, Fondazione che protegge territori e specie, in uno dei progetti di conservazione più ambiziosi del Pianeta. Sofía Heinonen, studiosa degli ecosistemi a rischio, riconosciuta dalla Bbc come una delle cento donne più influenti del pianeta, dirige qui quattro parchi, che coprono più di un milione di ettari, con un team multidisciplinare di oltre duecento persone. «Siamo 50% di donne e 50% di uomini, ma le donne occupano più posizioni di responsabilità e comando: una piccola differenza a favore dell’emancipazione – ci ha detto Sofia. – Per quanto riguarda il turismo e l’imprenditorialità, inseriamo le donne nei progetti legati al turismo naturalistico o come guide, valorizzano il loro savoir-faire, come l’artigianato, la tessitura, la maglieria, la cucina tradizionale, e questo aiuta le famiglie perché le donne distribuiscono meglio il reddito».
Nei parchi protetti alle estremità del Paese abbiamo incontrato le “Imprenditrici per la natura”, decine di luoghi per altrettanti prodotti naturali ed attività con i turisti, tutti da scoprire da Nord a Sud: da Margarita Ibañez si va per i tessuti, ma poi si seguono i sentieri fino al fiume alla ricerca di uccelli rari. Carola Pucchiaro e Marisa Palomeque invece hanno partecipato ad un training di acquacultura, diventando esperte di diete a base di alghe, ma poi hanno anche aperto un affitto di biciclette, mentre alcuni istruttori offrono immersioni e giri in barca ai viaggiatori che si fermano nelle casette di legno colorate. Mentre Veda Palavecino e altre venti donne tingono e lavorano le lane, Alina Ruiz ha studiato nuove ricette e organizzato una scuola di cucina con i prodotti locali.
 
 (tratto da Altraeconomia, 24 giugno 2024)