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Keir Starmer, schivo e vincente

Di Paola Peduzzi
Tratto da Lucy sulla Cultura del 12 luglio 2024


A quasi vent’anni dall’ultima volta, i laburisti hanno stravinto le elezioni britanniche. Un ritratto del loro sfuggente e impenetrabile leader, Keir Starmer, uomo serio, concreto ma ancora poco emozionante.

La notte in cui la sua vita è cambiata per sempre, è saltato il wifi. Erano le dieci di sera del 4 luglio, a Londra, in una casa su due piani, presa in prestito da un amico. Keir Starmer, leader del Labour, era sul divano davanti al televisore assieme a sua moglie Victoria e ai suoi due figli: aspettavano i primi exit polls a urne chiuse, erano sintonizzati sulla Bbc, si tenevano stretti. Il Big Ben ha fatto il suo rintocco, la grafica dei primi dati è comparsa sullo schermo e sì, Starmer aveva vinto le elezioni con una grande maggioranza, era il nuovo premier del Regno Unito. Il tempo dei baci e degli abbracci, delle urla di gioia dei consiglieri schiacciati in fondo al salotto e finalmente sollevati, in grado di uscire dal mutismo dell’ultima mezz’ora e persino di prendere qualcosa dal buffet – e poi salta tutto. Schermo nero, telefoni senza segnale, la famiglia e la squadra che da mesi – da anni – avevano lavorato per quel momento si sono ritrovati scollegati dal resto del mondo.

Qualcuno rideva nervoso, qualcun altro riprendeva a mangiare, non c’era alcol da bere. Starmer è andato al piano di sopra per risolvere il guaio tecnico in effetti “fastidioso”, ha detto al giornalista e suo biografo Tom Baldwin che lo segue ovunque da due anni, salendo le scale. Il segnale è tornato, il nuovo premier britannico ha controllato gli altri exit polls: era tutto vero. Andrai a dormire dopo il discorso della vittoria previsto alla Tate alle luci dell’alba?, gli ha chiesto Baldwin. No, ancora no.

“Riservato e schivo, sono pochi quelli che sanno decifrare il nuovo premier britannico. Non si conoscono nemmeno i nomi dei figli, che sono due, un maschio e una femmina, quest’ultima la più recalcitrante al trasloco nella nuova casa”.

Keir Starmer, che oggi ha 61 anni, è adulto da quando è ragazzo. La malattia immunitaria di sua madre Jo lo ha costretto a prendersi cura di lei e della sua famiglia (ha tre fratelli) ed è in quegli anni duri – già dall’adolescenza, perché sua madre era malata ancora prima che Keir nascesse: i medici le avevano detto a diciott’anni che non avrebbe potuto fare figli e che sarebbe rimasta su una sedia a rotelle entro breve – che ha sviluppato la sua difficoltà di mostrare emozioni e la sua determinazione a vincere. Riservato e schivo, sono pochi quelli che sanno decifrare il nuovo premier britannico.

I giornalisti sono andati a caccia di informazioni e aneddoti, nel quartiere della working class a Oxted, nel Surray, in cui è cresciuto con gli asini in cortile, nei campetti da calcio che frequentava fin da bambino, nell’Università di Leeds, tra gli amici, tra i colleghi della sua lunga carriera da avvocato, ma non hanno trovato molto: Starmer si è costruito una corazza di serietà, preparazione e professionalità quasi inscalfibile. Si è pure trovato una moglie, Victoria, che è persino più sfuggente di lui: Vic non ha dato nessuna intervista, si è presentata soltanto alle occasioni ufficiali e naturalmente – sottile, emozionata e vestita di rosso – la mattina in cui, tenendosi per mano, sono entrati per la prima volta nella residenza del premier, al numero 10 della minuscola Downing Street. Per dire: non si conoscono nemmeno i nomi dei figli, che sono due, un maschio e una femmina, quest’ultima la più recalcitrante al trasloco nella nuova casa. 


La riservatezza di Starmer è forza e debolezza assieme. Forza perché per un leader che ha messo la serietà al centro della sua proposta per il paese che vuole governare, la totale assenza di fronzoli e distrazioni è molto efficace. Il Regno Unito esce da quattordici anni di governo conservatore e da una stagione scandita dalla fantasia della Brexit, dagli scandali, dall’avvicendarsi turbolento di premier, da toni alti e spesso volgari. Non è certo una specialità soltanto britannica, questa, ci siamo abituati a conoscere dettagli sui leader mondiali e le loro famiglie: sappiamo com’è a letto Donald Trump (non eccelso); sappiamo di quanto crack si è fatto il figlio del presidente Biden, Hunter; sappiamo che l’ex premier britannico Boris Johnson non è sicuro del numero di figli che ha sparsi nel mondo, e via così, di storie e storie che forse preferivamo ignorare. Non perché il pettegolezzo politico non sia divertente, lo è, ma perché apre la strada a giudizi (spesso moralistici) che poco hanno a che fare con la priorità di un leader politico: far funzionare il paese che governa. Così accade che arriva uno come Starmer per il quale ideologia, frivolezze ed estetica stanno a zero, e tutti dicono: che noia. Se non sai nulla di un politico, vuol dire che questo politico è noioso e non ha niente da raccontare, che è al limite il babysitter di un paese che ha certamente bisogno di cure, ma che non vuole delineare un futuro ambizioso. Non è digeribile un leader che s’incaponisce su concretezza e serietà e per tutto il resto si fa i fatti suoi. 

Andrew Sullivan, giornalista e scrittore britannico in America da decenni, era compagno di scuola di Starmer negli anni Settanta e ha conosciuto Boris Johnson negli anni Ottanta a Oxford. Dice che era più in confidenza con Starmer, “prendevamo entrambi ogni mattina il 428 e il 410, i bus per andare alla Reigate, io ero un minuto tatcheriano con gli occhiali, molto nervoso, Keir era quasi un picchiatore bolscevico, i capelli come i Bay City Rollers, il nodo grosso della cravatta e il primo bottone della divisa slacciato: aveva proprio un’aria ruvida. Le nostre discussioni iniziavano sull’autobus e divennero molto più accese quando, nel 1975, la Thatcher divenne leader dei Tory: quando fu eletta premier, ci urlavamo dietro praticamente ogni giorno”. Non litigavamo soltanto sulla politica, dice Sullivan che è ancora in contatto con Starmer, ma su tutto, anche sulle frasi più memorabili dei Monty Python: “Ci siamo entrambi ammorbiditi, e Keir si è trasformato in un uomo lucido e professionale, ma ama come allora stare con gli amici di sempre”. La grande differenza tra Starmer e Johnson? Sullivan è sicuro: uno è cresciuto, l’altro no.

“Alla convention del Labour nell’autunno dello scorso anno, la Bbc gli mostrò le risposte date dagli elettori alla domanda: per cosa si batte Keir Starmer? La più popolare era ‘nothing’, seguita da: ‘non lo so’, ‘sé stesso’, ‘gli inglesi’ e un generico ‘Labour'”.

Alla convention del Labour nell’autunno dello scorso anno, quando il partito era già dato per probabile vincitore con un ampio vantaggio rispetto ai conservatori al governo, Starmer fu intervistato dalla Bbc. Gli mostrarono le risposte date dagli elettori alla domanda: per cosa si batte Keir Starmer? La risposta più popolare era “nothing”, seguita da: “non lo so”, “sé stesso”, “gli inglesi” e un generico “Labour”. All’inevitabile richiesta di commento, Starmer rispose: “Mi è stato gettato addosso di peggio nella vita”. Anche i commentatori e gli insider del mondo laburista hanno fatto fatica a decifrare Starmer. Alastair Campbell, l’architetto del New Labour di Tony Blair oggi autore e conduttore di un podcast di grande successo, “The Rest is Politics”, dice di aver compreso col tempo “l’istinto per la vittoria” del nuovo premier. Oggi lo definisce “coriaceo, resiliente, serio, calmo quand’è sotto pressione”, ma ammette di non avere la pretesa di “capirlo fino in fondo”. La giornalista Helena Lewis dice che bisogna osservare Starmer come se fosse un prestigiatore: “Non badate alle chiacchiere, guardategli le mani”. Starmer ha cercato di spiegare che si può essere seri e implacabili allo stesso tempo: “Non è una o l’altra cosa – ha detto al suo biografo – solo sono approcci utili in contesti differenti. Cerco di essere decent, rispettoso, nei confronti delle persone che dovremo aiutare una volta che saremo al governo. E voglio concentrarmi su quel che potrebbe accadere se non dovessimo essere in grado di fare quel che è necessario per questo paese”. E’ per questo che Starmer ha ricostruito da capo il Labour. 

I leader laburisti di solito non vincono. Nei 125 anni di storia del partito, ci sono stati soltanto sei premier laburisti prima di Starmer e l’ultima vittoria risale al 2005, con Tony Blair. L’ascesa del Labour oggi è ancora più straordinaria se si pensa che soltanto quattro anni e mezzo fa, nel dicembre del 2019, Johnson vinse una solida maggioranza e inflisse al Labour la sconfitta più pesante dal 1935. Quella batosta è stata il trampolino di Starmer che ha sostituito il leader sconfitto Jeremy Corbyn: la transizione era inevitabile, ma Starmer faceva parte del governo-ombra di Corbyn (si occupava di Brexit) e sembrava un traghettatore malleabile verso un futuro rimasto senza connotati. Di lì a poco sarebbe pure scoppiata la pandemia: immaginate cosa vuol dire essere il leader poco conosciuto e poco esperto – Starmer è entrato ai Comuni nel 2015, cinquantenne – di un partito a pezzi e il massimo che puoi fare è una diretta dal salotto di casa tua.

Mentre tutti pensavano agli astri nascenti del Labour (senza trovarli), Starmer ha rifatto il partito, e se c’è un ambito in cui si capisce quanto sappia essere implacabile è proprio la ricostruzione del Labour. Il corbynismo è stato estirpato, la classe dirigente è stata rivoluzionata, le idee massimaliste sono state cancellate: un paio di anni dopo l’arrivo di Starmer, il Labour era tornato a essere un partito di centrosinistra che aveva fatto i conti con il suo passato, persino con il blairismo, con cui molte altre sinistre europee litigano ancora. Il resto lo hanno fatto i Tory votati al cannibalismo interno – si sono messi a mangiarsi tra di loro rigurgitando premier inadatti, una tra tutti: Liz Truss – e incapaci di mantenere le promesse. Starmer ha vinto grazie a una strategia elettorale efficientissima, che gli ha permesso di conquistare una supermaggioranza parlamentare, e grazie al fatto che i Tory hanno sbagliato tutto. 

“Ora che ci sarà da soffrire ancora, perché davvero il Regno Unito è un paese stremato, gli inglesi chiederanno al loro premier di fare quello che ancora non ha fatto, e chissà se ne è capace: mostrare il suo cuore, far battere il loro”.

Starmer ha passato buona parte della sua vita a non mostrare le sue emozioni. Lo ha fatto da piccolo con la malattia di sua madre e nel rapporto solido ma freddo con suo padre; lo ha fatto dopo nella sua carriera da avvocato, perché davanti ai giudici devi imparare a essere il più neutrale e fattuale possibile, i sentimenti e il coinvolgimento rischiano di far deragliare i tuoi testi e le tue parole. Dice che le sue emozioni non sono importanti, conta essere autentici, coerenti, pratici. Gli inglesi gli hanno creduto: aspettavano un acquazzone di sobrietà per ripulire il circo conservatore. Ma ora che ci sarà da soffrire ancora, perché davvero il Regno Unito è un paese stremato, chiederanno al loro premier di fare quello che ancora non ha fatto, e chissà se ne è capace: mostrare il suo cuore, far battere il loro.

Paola Peduzzi è vice direttrice del Foglio.