tratto da “Avvenire” del 26 giugno 2024
Pubblichiamo un ricordo di Daniele Novara di uno dei padri del
pacifismo europeo, al centro questa sera della conferenza online "Danilo
Dolci. Cent’anni del Gandhi italiano", in diretta sui canali social del CPP - Centro Psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei
conflitti.
Per chi vuole
dissociarsi dal ritorno del mito diabolico della guerra come risolutrice dei
conflitti e dei contrasti. Per chi vuole dissentire dalla retorica del nemico e
dall'enfasi di supremazie nazionali.
Per tutti noi,
il centenario della nascita di Danilo Dolci – nato a Sesana (nell’attuale
Slovenia) il 28 giugno 1924 - è come una boccata d'ossigeno in un ambiente inquinato
e pieno di veleni.
Danilo Dolci fu
il primo in Italia a praticare i metodi della nonviolenza mutuati dal Mahatma
Gandhi. Lo fece con sistematicità e un gran seguito nell'opinione pubblica e
nella cultura italiana.
Dopo essersi
messo in salvo dal fascismo durante la Seconda guerra mondiale e dopo
l'esperienza con don Zeno Saltini nella Comunità utopistica di Nomadelfia per
la protezione dei bambini salvati dalla guerra, Dolci decise, ancora
giovanissimo, di trasferirsi in Sicilia. Per la precisione a Trappeto, nella
parte occidentale dell’isola, colpita dalle condizioni di degrado, di miseria e
di oppressione che caratterizzavano quella zona d’Italia vessata dalla mafia e
dalle miserie del dopoguerra.
Alto e
massiccio, anche grazie alla sua forte presenza carismatica, riuscì subito a
creare un feeling con la popolazione locale di contadini, braccianti,
pescatori, lavoratori e disperati di ogni tipo. Iniziò con loro una lunga
campagna di resistenza nonviolenta che nel 1952 lo vide realizzare il primo digiuno
gandhiano in Italia. Lo mise in atto sul letto di un bambino morto di fame e di
stenti, richiamando così la solidarietà dei grandi intellettuali degli anni
‘50. Fra i tanti, si mobilitarono Norberto Bobbio, Ignazio Silone, Carlo Levi,
Italo Calvino e ovviamente Aldo Capitini, il teorico della nonviolenza e della
filosofia gandhiana. Oltre a loro, tantissimi maestri della cultura
internazionale come l’Abbé Pierre, Johan Galtung, Erich Fromm, Bertrand Russell
e Aldous Huxley solo per citarne qualcuno.
Diventò così il
punto di riferimento per una sensibilità nuova, che nei successivi anni
condurrà ai temi della protesta giovanile e alla lotta contro il soffocamento
mafioso passando dall’educazione liberante, in linea con quella del suo amico
Paulo Freire.
Il digiuno
nonviolento fu solo l'inizio. Fece seguito lo sciopero alla rovescia che,
all’alba del 30 gennaio 1956, portò centinaia di braccianti a sistemare una
stazzera, una vecchia strada abbandonata. Un gesto che lo mise nuovamente al
centro dell'attenzione dell'opinione pubblica nazionale e internazionale, ma
che lo condusse anche all’arresto.
Durante il
processo venne difeso dai grandi giuristi dell’epoca, in primis Piero
Calamandrei, il giurista ispiratore della nostra Costituzione. La giusta
assoluzione lo portò a intensificare le lotte con il metodo della nonviolenza,
fino a ottenere la famosa diga sullo Jato per liberare il territorio dallo
spreco dell'acqua lasciata defluire inutilizzata dalla mafia nonostante la
carenza idrica nei campi.
Sono gli anni
delle grandi marce pacifiste, come la famosissima marcia del 1967 contro la
guerra in Vietnam che attraversò letteralmente tutta l'Italia.
Quello di Danilo
Dolci è un coraggio sconfinato.
Tra i tanti suoi
primati vi è anche quello di essere stato il primo a denunciare il livello
politico della mafia. Un agire che porterà addirittura Aldo Moro a dover
allontanare un ministro e un sottosegretario grazie alle sue denunce
circostanziate. Un gesto coraggioso che gli causerà una condanna per querela
comminata senza un vero procedimento giudiziario adeguato.
Nel 1970
l’ultima presenza pubblica. A Partinico aprì la prima radio libera italiana, la
Radio dei Poveri Cristi, per denunciare il dramma di una popolazione costretta
a vivere nelle baracche e abbandonata dalle istituzioni a due anni dal
terremoto del Belice. Dopo 36 ore di trasmissioni, la radio venne assaltata
dalle forze dell'ordine, fatta sgombrare e demolita.
Ci vuole
coraggio per resistere con i mezzi della nonviolenza. Danilo Dolci come Gandhi,
come Martin Luther King, come Mandela, ha storicamente dimostrato che è
possibile. Un messaggio che oggi viene dimenticato in tutti i teatri di guerre,
dalla Palestina all’Ucraina, dal Sudan a tutto il resto del mondo.
Dove
l'oppressione la fa da padrona, restano strade alternative a quella della
violenza. Danilo Dolci è il grande testimone italiano di questa possibilità.
Dedicò gli
ultimi anni della sua vita ai temi educativi.
“Qual è il tuo
sogno?”, chiedeva ai ragazzi e ragazze durante i tanti incontri nelle scuole
italiane. Lo incontrai giovanissimo nel 1982. La nostra conoscenza si
intensificò nei successivi dieci anni durante i quali collaborammo ai suoi
ultimi progetti, mentre l'Italia cambiava e non necessariamente secondo i sogni
e le utopie che aveva coltivato.
Ma si sa, i cicli e i ricicli della storia sono imprevedibili e sono sicuro che in Italia, come nel resto del mondo, nuovi leader della nonviolenza staranno nascendo e si staranno preparando per offrire un'alternativa alla morte e alla catastrofe della guerra e della violenza.