tratto da “Avvenire” del 23 maggio 2024
Trema la terra
ai Campi Flegrei e fa paura, risveglia vecchie ansie e alimenta il senso di
precarietà che accompagna questo nostro tempo. Con Pozzuoli e i suoi dintorni
trema in effetti l’Italia intera, Paese dalle molte fragilità, strutturali e
sociali. Oggi è il bradisismo a far sussultare le case e i cuori. Ma appena
ieri erano i campi e i comuni invasi dal fango in Emilia Romagna. È la siccità
in Sicilia. Sono le frane sulle Alpi, i boschi in cenere d’estate, il crollo
del Ponte Morandi di Genova, Milano che va sott’acqua quando piove tanto, Roma
che sembra non sapere risolvere il problema dei rifiuti.
Si potrebbe
continuare e ci scusiamo per aver dimenticato (non c’è dubbio che lo abbiamo
fatto) alcune delle urgenze strutturali, presenti o passate. Diciamo urgenze,
non emergenze, perché da decenni andiamo avanti con la logica dell’emergenza e
i risultati sono sconfortanti. Sappiamo anche, purtroppo, che cambiare un
termine non cambia le cose. A meno che non cambi l’approccio. Quello che manca,
sembra, è la piena consapevolezza che il problema degli altri è anche il mio.
Lo diceva tanti anni fa don Lorenzo Milani, con una frase che conserva intatta
la sua forza: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio.
Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l’avarizia».
La politica,
qui, è da intendersi nel senso più ampio e, soprattutto, alto: la cura del bene
comune. L’avarizia, oggi, è facilmente traducibile con «l’individualismo» che
il presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, ha indicato all’Assemblea
generale dei vescovi italiani come uno dei principali mali del nostro tempo.
«Un’Italia da ricucire», ha titolato Avvenire ieri in prima pagina. Un verbo
che - insieme ad altri due: «ricostruire» e «pacificare» - era stato usato già
sei anni fa dall’allora presidente della Conferenza episcopale italiana, il
cardinale Gualtiero Bassetti, in apertura dei lavori del Consiglio permanente
dei vescovi e in vista delle elezioni politiche. A testimonianza e conferma, se
ce ne fosse bisogno, che le urgenze non sono né recenti né di piccolo impatto.
Insieme alla sua
terra che soffre, che si secca, che brucia e che si sbriciola, l’Italia trema
per l’allargarsi delle fasce di popolazione in povertà (anche tra coloro che
hanno un contratto di lavoro), per la precarietà degli impieghi, per la
disuguaglianza tra chi ha tantissimo e chi praticamente niente, per la
difficoltà dei giovani anche di pagare l’affitto o il mutuo di una casa e di
costruire una famiglia (eppure la voglia di farlo non manca, come certifica
l’Istat), per la tendenza a escludere quasi preventivamente chi arriva da altri
Paesi in cerca di un’esistenza migliore.
Ancora il cardinale
Zuppi, nell’omelia della Messa celebrata ieri in San Pietro, ha invitato a
«ricostruire il tessuto lacerato dalle divisioni». Parlava del mondo intero,
una Babele afflitta da guerre, odio e ingiustizie, sempre bisognosa dello
Spirito. Ma la nostra Italia non è cosa altra da questo mondo, né rappresenta
un’eccezione. È un Paese ferito, appunto lacerato, un po’ disorientato e che
diventa più litigioso: dopo il Covid, le cause civili nei tribunali sono
addirittura aumentate. Allora la domanda che dovremmo porci tutti, ma
principalmente i vertici delle istituzioni e i protagonisti della politica, è
se davvero un Paese così abbia bisogno di riforme come l’autonomia regionale
differenziata (sulla quale gli italiani sono già ora divisi, come ha rivelato l’indagine
diffusa due giorni fa dalla Fondazione “Con il Sud”) e un premierato che
potrebbe privilegiare la stabilità dell’esecutivo a scapito della centralità
del Parlamento e del ruolo di garanzia del presidente della Repubblica. Se
abbia bisogno di nuovi condoni fiscali e/o edilizi (questi ultimi non di rado
all’origine delle fragilità territoriali) o di altre trovate di piccolo
cabotaggio che spuntano quasi sempre in prossimità di scadenze elettorali.
O, piuttosto, se questo Paese non abbia una grande necessità di concordia (quando e fin dove si può, ovviamente), di onestà anche intellettuale e di un po’ di sano pragmatismo per trattare i problemi di tutti: sanità, scuola, burocrazia... L’unità, di territorio e di popolo, è la cura di base per ogni fragilità. Un patrimonio da non dilapidare.