Il professore: «Certi i benefici e la ricaduta sulla salute, secondo la statistica. Causa ed effetto vanno ancora esplorati, ma spiritualità e meditazione fanno comunque bene»
Da sempre la dimensione spirituale fa parte della vita dell’uomo, ma solo recentemente il mondo medico ha iniziato a occuparsi seriamente dei suoi effetti sulla salute. La spiritualità mette in sospetto gli accademici positivisti, e l’accademia della medicina insegna a essere positivisti, meccanicisti e riduzionisti. Da anni vari piccoli studi avevano suggerito che chi ha una vita religiosa, chi prega e va in chiesa, muore meno, ma era difficile stabilire una relazione di causa-effetto, perché chi va in chiesa è diverso da chi non ci va per numerosi fattori di rischio (tabacco, alcol, promiscuità sessuale, vita sedentaria, alimentazione smodata). In occidente, inoltre, partecipare a funzioni religiose implica maggiori contatti sociali, opportunità di crearsi una rete di relazioni, maggiore supporto sociale, tutti fattori che influenzano la mortalità. Recentemente sono stati pubblicati alcuni studi che hanno ben controllato per questi fattori confondenti.
Spiritualità e
aspettative di vita
Uno studio molto significativo è quello dell’Università di Harvard sulle infermiere americane. Interrogate sulla frequenza con cui andavano al tempio (il «tempio», perché erano cattoliche, protestanti, ebree e di altre religioni) 15.148 infermiere avevano risposto di recarvisi più di una volta a settimana, 30.410 circa una volta, 12.103 meno di una volta a settimana e 17.872 mai o quasi mai. Nel corso di 16 anni sono stati registrati 13.533 decessi. Dopo aver tenuto conto di una lunga serie di fattori potenzialmente confondenti (età, indice di massa corporea, esercizio fisico, stato menopausale, trattamenti ormonali, reddito della famiglia, stato civile, scolarità del marito, tabacco, alcol, abitudini alimentari, indicatori di supporto sociale) si è constatato che le grandi frequentatrici del tempio avevano un rischio di morte del 33 per cento inferiore rispetto alle infermiere che non mettevano mai piede in un luogo di culto. Poiché molti vanno in chiesa solo per consuetudine e non per devozione è possibile che la protezione sia ancora maggiore. Gli autori dello studio non danno alcuna interpretazione dei risultati, ma segnalano che la protezione era maggiore per le infermiere afroamericane che per le donne bianche. Viene da pensare che ciò dipenda dal fatto che le donne nere, quando vanno al tempio, cantano i gospel (i vangeli) e i salmi, e cantare libera la mente, produce endorfine, aumenta l’ossitocina (l’ormone dell’amore) e le immunoglobuline A, diminuisce il cortisolo (l’ormone dello stress), diminuisce la depressione, l’ansia, la rabbia, e migliora la memoria delle persone anziane e la qualità di vita dei pazienti oncologici.
Oriente e
Occidente
In Oriente la pratica religiosa implica molto meno la frequentazione di luoghi di culto e la creazione di reti di supporto sociale, mentre è più rivolta alla meditazione e a pratiche religiose più personali. Uno studio condotto a Taiwan, dove la popolazione è buddista o taoista, due religioni che non riconoscono l’esistenza di un dio creatore, ha seguito per 18 anni circa 4.000 ultrasessantenni che hanno risposto alle domande sulla frequenza con cui pregano, leggono testi religiosi o praticano riti o altre forme devozionali per le divinità, gli antenati, i santi. Anche in questo caso l’analisi statistica ha controllato per un gran numero di fattori potenzialmente confondenti e ha riscontrato una mortalità significativamente ridotta in chi aveva dichiarato di avere una vita spirituale. È probabile che la preghiera, il canto, la recitazione dei mantra e le pratiche meditative riducano la mortalità perché spengono i geni dell’infiammazione (Vedi Capitolo 52, Il cibo dello spirito) e riequilibrano il sistema nervoso autonomo.
Gli effetti
della meditazione
Magari un giorno tutto sarà spiegato da meccanismi che nulla hanno a che fare con la trascendenza e si troverà un farmaco che ha lo stesso effetto della frequentazione del tempio, ma intanto è saggio dedicare ogni giorno un po’ di tempo alla meditazione e cercare di trascorrere le nostre giornate con attenta consapevolezza. Aiuterà a dare un senso alla esistenza, ridurre l’ansia legata al fine vita, facilitare il perdono, la pazienza, la gratitudine. Più studi su persone con gravi patologie croniche hanno mostrato che la serena accettazione della malattia, accompagnata o meno da fede religiosa, comporta una prognosi migliore e una riduzione della mortalità. Chi reagisce con rabbia (perché proprio a me?) o con disperazione ha invece prognosi peggiore.