tratto da “Avvenire” del 7 febbraio 2024
Nessuna inversione di tendenza. Persistono due livelli di qualità sanitaria tra Nord e Sud del Paese, con il Mezzogiorno che è un paziente cronico: nel Sud la povertà sanitaria riguarda l’8% dei nuclei familiari, una misura doppia rispetto al 4% del Nordest (e al 5,9% del Nordovest, e al 5% del Centro). Si tratta di famiglie – 1,6 milioni in totale, di cui 700 mila al Sud – che spesso rinunciano a farsi curare, strette come sono tra liste di attese lunghissime da una parte e l’alternativa delle prestazioni a pagamento dall’altra. Gli indicatori Bes (Benessere equo e sostenibile) sono senza appello perché si allarga il divario anche nella speranza di vita: 81,7 anni al Sud, ovvero 1,3 anni in meno del Centro e del Nordovest, 1,5 in meno del Nordest. E la mortalità per tumore è di 9,6 per 10 mila abitanti per gli uomini nel Mezzogiorno; la soglia scende all’8 nel Nord. Per le donne il divario dice 8,2 al Sud e meno del 7 al Nord.
Sono alcuni dei dati contenuti nel Report Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute, promosso dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) con Save the Children, e che denuncia un Sud con servizi di prevenzione e cura più carenti, una minore spesa pubblica sanitaria, una accentuata distanza da percorrere per ricevere assistenza soprattutto per le patologie più gravi. Proprio quest’ultimo punto offre una lettura di ulteriore, grande preoccupazione. Non a caso il Report parla di «fuga dal Sud», specie per le patologie più gravi. Un dato su tutti: il 22% dei malati oncologici meridionali si fa curare al Nord. E, nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari, il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. La Calabria registra l’incidenza più elevata, con il 43% dei pazienti che si rivolge a strutture sanitarie di regioni non confinanti; seguono la Basilicata (25%) e la Sicilia (16,5). Una tendenza, quella dei lunghi viaggi, che, secondo Save the Children, si riscontra anche per i pazienti pediatrici e che raggiunge punte del 43% in Molise, del 30 in Basilicata, del 26 in Umbria e del 23 in Calabria. Un terzo dei bambini e degli adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali o neurologici, della nutrizione o del metabolismo, convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pediatrici.
Del resto, è la motivazione del Report, i divari territoriali sono aumentati in «un contesto di generalizzata debolezza del Sistema sanitario nazionale che, nel confronto europeo, risulta sottodimensionato per stanziamenti di risorse - in media 6,6% del Pil contro il 9,4% di Germania e l’8,9% di Francia -, a fronte di un contributo privato elevato (24% della spesa sanitaria complessiva, quasi il doppio di Francia e Germania)». Dai dati regionalizzati di spesa sanitaria (di fonte Conti Pubblici territoriali) risultano livelli di spesa per abitante, corrente e per investimenti, più contenuti nelle regioni meridionali. Se la media nazionale è di 2.140 euro, la spesa corrente più bassa è quella della Calabria (1.748 euro). Poco distanti la Campania (1.818), la Basilicata (1.941) e la Puglia (1.978). Inoltre, il monitoraggio Lea (Livelli essenziali di assistenza), che offre un quadro delle differenze nell’efficacia e qualità delle prestazioni fornite dai diversi Servizi sanitari regionali (Ssr), fa emergere i deludenti risultati del Sud, dove ben 5 Regioni risultano inadempienti.
Sud bocciato anche nella prevenzione oncologica. Secondo l’Istituto superiore di sanità (Iss), nel biennio 2021-2022, circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: due su tre lo hanno fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solo il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli e dove le donne che hanno effettuato screening promossi dal Servizio sanitario sono appena l’11,8%, il dato più basso in Italia.
Come se non bastasse, scrivono gli autori del Report, questo quadro rischia di aggravarsi anche a causa dell’autonomia differenziata. Che potrebbe determinare ulteriori capacità di spesa nelle aree ad autonomia rafforzata, «finanziate dalle compartecipazioni legate al trasferimento di funzioni e, soprattutto, dall’eventuale extra-gettito derivante dalla maggiore crescita economica». Tutto ciò, in un contesto in cui «i Lea non hanno copertura finanziaria integrale a livello nazionale». Insomma, si va incontro ad una più estesa «differenziazione territoriale delle politiche pubbliche in ambito sanitario». Con il conseguente aumento «della sperequazione finanziaria tra Ssr e delle disuguaglianze interregionali nell’accesso al diritto alla salute». Cosa fare nell'immediato per invertire la rotta? «Aumentare la spesa sanitaria che è la priorità nazionale - indica il Report - e correggere il metodo di riparto regionale del Fondo sanitario nazionale, tenendo conto dei maggiori bisogni di cura nei territori a più elevato disagio socio-economico».
I dati del report, sottolinea il direttore generale della Svimez Luca Bianchi, «offrono la fotografia preoccupante di un divario di cura che si traduce in minori aspettative di vita e più alti tassi di mortalità per le patologie più gravi nelle regioni del Mezzogiorno. Rafforzare la dimensione universale del Sistema sanitario nazionale è la strada per rendere effettivo il diritto costituzionale alla salute». La condizione di povertà familiare, afferma da parte sua Raffaela Milano, responsabile dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, «incide fortemente sui percorsi di prevenzione e sull'accesso alle cure da parte dei bambini. È necessario un impegno delle istituzioni a tutti i livelli per assicurare una rete di servizi di prevenzione e cura per l'infanzia e l'adolescenza all'altezza delle necessità, con un investimento mirato nelle aree più deprivate».