“La giusta mediazione è, per Lucia, quella che tiene conto della relazione, quella che non sfugge al conflitto, all’imprevisto che questo mette in gioco. A Lucia interessa la relazione contro l’astrazione dell’in quanto donna, <la relazione prende il posto dell’astrazione della rappresentanza>”.
«Prima c’era fusionalità, identificazione, innamoramento … la differenza oggi mi sembra enorme, penso si possa dire tra me e una donna c’è il mondo, rispetto al prima tra me e il mondo c’è una donna», dice Lucia.
A distanza di 10 anni ripubblichiamo un pezzo di Tristana Dini del giugno 2013, ancora di grande attualità. Tristana Dini rende un grande servizio a noi tutti. Provate a sostituire “all’in quanto donna”, in quanto medico, in quanto insegnante, in quanto assessore etc., e traetene le necessarie conseguenze: “la relazione al posto dell’astrazione della rappresentanza” è una risposta etica alla gestione del potere. (RL)
«Tra me e una donna c’è il mondo»
La seconda
presentazione del libro di Lucia Mastrodomenico Solo l’amore salva organizzata
dall’associazione “Madrigale per Lucia” in collaborazione con Stefania
Tarantino, si è svolta a gennaio presso la fondazione Premio Napoli ed ha avuto
a tema la “mediazione femminile nella pratica politica”.
La questione
della mediazione femminile, della politica delle donne risulta decisiva – ha
sottolineato il presidente della Fondazione Gabriele Frasca - in un momento di
crisi economica e simbolica profondissima che vede le donne in una posizione
difficile, strette tra la difficoltà a restare attive nel mondo del lavoro e
l’aumento della violenza maschile contro di loro.
A introdurre il
tema del rapporto di Lucia con la mediazione femminile è stata Anna Nappo,
curatrice insieme a Cinzia Mastrodomenico e a Patrizia Melluso del volume,
sottolineando come Lucia non abbia mai pensato ad un luogo per pensare solo per
sé, ma sempre per sé e per le altre. Quello di Lucia era un pensiero connesso
alla vita concreta che si realizzava in progetti nella sua città, in tutto
Lucia «metteva il due», provocava conflitti che sapeva attraversare senza
paura, nella consapevolezza che attraverso il conflitto si può arrivare ad
altro, ad un inesplorato.
Questo
inesplorato era al centro della sperimentazione della rivista “Madrigale” che
Lucia definiva in un editoriale del 1989 come «un luogo in cui, incessantemente
la pratica che ci lega si mostra e nel quale si indaga la possibilità (…) di
una teoria politica e di un sistema normativo che disciplini anche
l’inevitabile insorgenza di conflitti senza che essi si trasformino
inesorabilmente in occasioni di distruzione e di negazione» (Solo l’amore
salva, p. 9).
La parola è
passata poi a me e Stefania Tarantino, donne di un’altra generazione, a
testimonianza di come il pensiero di Lucia sia vivo ancora oggi, non da ultimo
nella pratica e nella teoria del collettivo di “adateoriafemminista” – rivista
fondata da Lucia insieme ad Angela Putino - di cui io e Stefania facciamo
parte.
Sulla mediazione
femminile Stefania ha aperto con me un dialogo, una conversazione improvvisata
sulla base di un canovaccio comune, per provare a far emergere da un pensiero
in relazione (inteso à la Weil, come partita di tennis)
l’impensato e l’imprevisto della differenza sessuale.
Se anche per la
filosofia nella sua tradizione socratica il pensiero non è mai uno - siamo
sempre in relazione con noi stessi - la differenza fa fare un passaggio
ulteriore, in direzione di una «duplicità di coscienza» (Carla Lonzi),
l’altro/a mi pone qui in una dimensione di estraneità rispetto a me. E’ questa
duplicità di coscienza che fa «rivoltare il mondo come un guanto» - dice
Stefania citando Anna Santoro, La nave delle cicale operose -
e permette di attivare e avverare desideri.
In questo senso
il pensiero della differenza non è in pace con il pensiero strutturato
(filosofico, scientifico, politico) ma è un pensiero guerriero, non di parte,
ma universale, per tutti e tutte.
Il conflitto
femminile rappresenta la condizione indispensabile della mediazione, non si
tratta del conflitto inteso in senso tradizionale, ma di un conflitto sempre
unito alla danza (qui Stefania ha in mente la tradizione orientale mediata da
Weil e Putino), non come forma di prevaricazione, ma come circoscrizione di uno
spazio vuoto, né mio né tuo, il luogo dell’incontro, privo di appartenenze.
Si tratta di
opporre alla concezione proprietaria della persona in Occidente, allo spirito
di prevaricazione legato all’essere proprietari (Esposito), l’impersonale della
politica. Io sono intervenuta sul tema di un conflitto che non porti alla
distruzione ma apra ad una mediazione ricordando la «funzione guerriera» di
Angela Putino (tema su cui aveva lavorato inizialmente insieme a Lina
Mangiacapre), la sua «arte del polemizzare tra donne» come possibilità stessa
della relazione, grado di estraneità che permette a entrambe di esistere dentro
la relazione. Vicine al proprio desiderio, ma anche alla propria ferita si
trova il coraggio di stare dentro al combattimento, senza nascondimenti,
aprendo ad un puro e libero «riconoscimento».
Ma cosa ne è
oggi della mediazione femminile e delle altre pratiche del femminismo? Cosa ne
è della libertà femminile in epoca neoliberista? Come si insegna la politica
della relazione? Come si «insegna l’ininsegnabile»? Per Stefania la questione è
il rischio di diventare superflue nell’apparente presenza, come si fa ad
esserci senza rinunciare alla differenza, come si fa a dare al pensiero il
ritmo della bellezza, del pathos, a collegare corporeità e bisogno di
trascendenza?
Da tempo ormai
il problema sembra non essere più l’esclusione delle donne ma la loro
inclusione in un sistema maschile. Lucia affronta in modo frontale la
questione, organizzando a Napoli nel 2003 un incontro tra femminismo della
parità e femminismo della differenza.
Nello scritto
introduttivo “Libertà nell’emancipazione”, ricorda che «le donne non devono
esserci sempre e comunque, e non devono pensare che esserci cambi le sorti
degli esseri umani, non è automatico, non sempre le circostanze lo consentono,
non sempre quelle donne, in quel luogo, sono in grado di usare la giusta
mediazione» (Solo l’amore salva, p. 40-41).
La giusta
mediazione è, per Lucia, quella che tiene conto della relazione, quella che non
sfugge al conflitto, all’imprevisto che questo mette in gioco. A Lucia
interessa la relazione contro l’astrazione dell’in quanto donna, «la
relazione prende il posto dell’astrazione della rappresentanza».
La corporeità -
alla base della relazione non solo con l’altra, ma con il mondo – può
costituire ancora oggi una vera e propria bussola per non smarrirsi in un’epoca
di smaterializzazione dei rapporti e per rimettere al centro la vita nella sua
materialità.
La mediazione femminile, la politica delle relazioni e dei corpi offre oggi a tutte e tutti punti di avvistamento imprescindibili sul reale e deve misurarsi con la sua efficacia nel mondo. «Prima c’era fusionalità, identificazione, innamoramento … la differenza oggi mi sembra enorme, penso si possa dire tra me e una donna c’è il mondo, rispetto al prima tra me e il mondo c’è una donna», dice Lucia in un’intervista a Conni Capobianco (Interpreti e protagoniste del movimento femminista napoletano 1970-1990, Napoli 1994, p. 97).
giugno 28, 2013