tratto da Avvenire del 29 settembre 2023
In un
mondo in cui siamo spesso incoraggiati a cercare la notorietà o le
realizzazioni spettacolari, ci invita a trovare significato nei gesti semplici.
Santa Teresa di Lisieux (1873-1897) - archivio
C’è una giovane
donna francese, Marie-Françoise Thérèse Martin, che a centocinquanta anni dalla
sua nascita avvenuta nel 1873, non smette di interpellarci, eludendo qualsiasi
tentativo di catalogazione. Mentre il suo nome di battesimo potrebbe non
suonare familiare, molti la riconosceranno come suor Teresa del Bambin Gesù e
del Volto Santo, nome adottato dopo il suo ingresso a quindici anni nel
convento delle carmelitane scalze di Lisieux. Chi, infatti, non ha mai sentito
parlare di Teresa di Lisieux, la «più grande santa dei tempi moderni», secondo
Pio X?
In anni a noi
più vicini, nell’ottobre 1997, nella lettera apostolica Divini amoris
scientia, che accompagnava la sua proclamazione a Dottore della Chiesa – la
più giovane e la terza donna insieme a Caterina da Siena e Teresa d’Avila -
Giovanni Paolo II scrisse: «Teresa è stata illuminata in maniera particolare
sulla realtà del Corpo mistico di Cristo, sulla varietà dei suoi carismi, doni
dello Spirito Santo, sulla forza eminente della carità, che è come il cuore
stesso della Chiesa».
In tale
contesto, è comprensibile che eminenti studiosi cattolici - Hans Urs von
Balthasar, Jean Guitton ed Edith Stein, solo per citarne alcuni - siano stati
motivati ad esplorare il suo pensiero. Ad esempio, per la sua profonda carità
rivolta verso coloro che erano «esclusi dall’Amore», Teresa di Lisieux fu
celebrata da Dorothy Day, nota attivista sociale impegnata nei diritti dei
lavoratori negli Stati Uniti all’inizio del Novecento, come “santa dei
lavoratori”.
Ciò che
sorprende, tuttavia, è l’attrazione che Teresa ha esercitato anche su
personalità laiche. È interessante, inoltre, osservare che, con il passare
degli anni, santa Teresina sia stata occasionalmente vista come una sorta di
anticipatrice del femminismo e che alcune sfumature presenti nei suoi scritti
possono essere interpretate come segnali, seppur lievi, di una posizione
critica nei confronti del clero del suo tempo.
Di fronte a
testimonianze così diversificate, sarebbe ingiusto e riduttivo confinare la
poliedrica capacità ispiratrice di Teresa di Lisieux dentro i confini di una
singola immagine predefinita. Chiediamoci, piuttosto, che cosa questa giovane
donna ha percepito così profondamente da influenzare un’ampia varietà di
persone in tutto il mondo? O, in termini più laici, quali dimensioni dell’umano
sono rintracciabili nei suoi scritti e nella sua testimonianza? In definitiva,
chi rappresenta Teresa di Lisieux per noi, oggi?
Un punto di partenza in questo itinerario è di esplicitare il senso di quella
“universalità singolare”, percepita in lei da Giovanni Paolo II, a proposito
della “piccola via”, espressione utilizzata proprio da Teresa per indicare la
sua filosofia di vita basata sui piccoli gesti quotidiani. Questo concetto,
sebbene fortemente ancorato alla spiritualità cristiana, possiede
un’applicazione universale comprensibile praticamente da tutti.
Come indicato
nel Vangelo, vi sono verità che non si svelano ai sapienti ma agli umili di
cuore. Per questo, invece di cercare la santità attraverso atti straordinari o
sacrifici eccezionali, Teresa propone una via basata sull’amore e sulla fiducia
in Dio, concentrandosi sulle piccole virtù quotidiane: gentilezza, pazienza,
umiltà. Nella “piccola via”, la vita della coscienza è un continuum discreto di
attimi illuminati dalla lucidità e dalla profondità dell’amore. Ciascun atto,
per quanto minuto, è investito di significato e intenzionalità. Non è il gesto
in sé, ma la coscienza con cui viene compiuto, che trasforma l’ordinario in
straordinario, il quotidiano in sacro. La coscienza, in questa prospettiva, non
si disperde nell’infinito spettro delle possibilità esistenziali, ma si
concentra, si affina e si illumina in ogni piccola azione quotidiana. La vita
della coscienza in questo cammino diventa non solo un atto di percezione
sensibile, ma anche di intuizione profonda, di apertura radicale all’Altro che
si manifesta nella trama della vita quotidiana.
La “piccola
via”, delineata da Teresa, non è allora un ritratto di un sé narcisisticamente
isolato o auto-referenziale, ma piuttosto di un sé che è profondamente intrecciato
e coinvolto nel tessuto intricato della vita quotidiana. Ciascun gesto, anche
il più minimo, è concepito come un’espressione consapevole e intenzionale di
una coscienza che si offre generosamente, che si apre in maniera vulnerabile, e
che si spinge oltre i propri confini per incontrare, accogliere, e rispondere
all’Altro nella sua totalità. In questo continuo atto di donazione e apertura,
la vita della coscienza non è passivamente ricevuta o superficialmente
percepita, ma è, invece, attivamente vissuta, intensamente amata e pienamente
investita di significato e valore. Questo vivere consapevole e intenzionale
trasforma ogni momento, ogni incontro, ogni esperienza in un’opportunità di
crescita, di apprendimento e di santificazione, rendendo la vita, in tutte le
sue dimensioni, una celebrazione profonda e autentica dell’amore e della grazia
divina. È proprio in questa «convergenza tra dottrina ed esperienza concreta,
tra verità e vita, tra insegnamento e prassi», che Giovanni Paolo II vedrà un
modello «per quanti sono alla ricerca del senso autentico da dare
all’esistenza».
In un mondo in cui siamo spesso incoraggiati a cercare la notorietà o le realizzazioni spettacolari, la “piccola via” ci invita a trovare significato e santità nelle azioni quotidiane, nei gesti semplici e nei momenti ordinari della vita, suggerendo un ritorno all’essenzialità e all’interiorità. Ieri come oggi, l’esempio di Teresa di Lisieux, che valorizza la sacralità e l’amore anche nei gesti più semplici, serve come esempio di come vivere con autenticità e determinazione e ricorda che la santità, lungi dall’essere un’aspirazione irraggiungibile o riservata a pochi eletti, è un cammino accessibile a tutti.