tratto da
“DeA donne ed altri” del 18 Gennaio 2007
di Letizia Paolozzi
Lucia
Mastrodomenico fu femminista. Napoletana, mai reticente, diffidente però
rispetto ai partiti politici tradizionali della sinistra. Proprio perché insofferente
rispetto all’esclusione storica della cittadinanza femminile.
Provò, questa
esclusione, a contrastarla. A modo suo. Senza mai chiedere tutela, inclusione. Troppo fiera per piegarsi a combattere per l’ambizione politica, considerata
come una disposizione maschile?
Ma no. Perché fu
bellissima e questo le servì probabilmente come una corazza per guardare alle
cose in modo appassionato ma standone alla superficie.
Alta, regale,
pelle chiarissima, una cascata di capelli rossi, un corpo attraente coperto da
abiti grandiosi, creatrice lei stessa di abiti che d’estate portava e Ponza,
quando l’isola non era ancora un riferimento delle guide turistiche, Lucia
Mastrodomenico accumulò curiosità diverse. Non impattò mai, credo per
disinteresse, contro i bastioni maschili della politica. E del potere.
Si mosse tranquilla, con le sue qualità di donna e di profana della politica.
Almeno, non preoccupandosi che altri – maschi – detenessero il monopolio della
presa di parola e delle varie cucine elettorali della rappresentanza.
Fece molto, per
Napoli e per il suo mondo. Come si diceva allora, si impegnò per gli altri.
Nella Mensa dei Bambini proletari di Montesanto, insieme a quei ragazzi di
Lotta Continua – a partire da Goffredo Fofi – che nel ’72, raggruppando cattolici,
piccolo-borghesi, qualche nobile, diede vita a un rapporto straordinario con i
bambini ma anche con le donne del quartiere. Un marito, un figlio, una sorella,
Cinzia, che continuò il lavoro di sperimentazione pedagogica della Mensa, nata
nel ’72, con un asilo ancora oggi funzionante. Tra le sue relazioni, la più
importanti, mai messa in questione, mai interrotta, mai ferita, quella con
Luisa Cavaliere. Ambedue femministe, ambedue animatrici del pensiero che anche
a Napoli legò con la pratica della differenza molti gruppi femminili, partecipò
(con donne come Mariuccia Masala, Giovanna Borrello, Sandra Macci, Luciana
Siddivò, Angela Putino) a esperienze di riviste (Madrigale per esempio) senza
mai preoccuparsi delle difficoltà materiali, dei percorsi sussultori, aleatori,
che le imprese femministiche hanno sempre seguito a Napoli, ma non soltanto.
Insieme a Luisa
veniva a Roma alla Casa internazionale delle Donne. A Milano, alla Libreria
delle donne. Non volle mai
abbandonare, nonostante i trenta anni passati a sfiorarci, discutere, provare a
ripensare pratiche politiche, quelle sue radici, quei lacci fortissimi.
Qualcosa che era per sempre, un patto mai tradito. Leale, fedele, interessata
alla rivoluzione nel campo del simbolico, del linguaggio e di organizzazione
della società napoletana. La bellezza che portò con tanta leggiadria le permise
di non provare mai un senso di impotenza di fronte ai pochi decisori. Alla loro
arroganza. Non cadde negli eccessi, nelle seduzioni ma neppure nelle
rivendicazioni. Probabilmente, non sentì il morso del potere dimostrando che
c’è un modo lieve di stare nel mondo. Dal mondo scomparve, per un infarto,
all’alba del 2007, accompagnata dal nostro stupore per il suo sorriso
indimenticabile che non incontreremo più.