tratto da Avvenire 5 settembre 2023
Abbiamo a
disposizione un gran numero di farmaci (nel 2021, assommavano a circa 12.000
confezioni) che includevano circa 1.300 principi attivi, da soli o associati.
Di questi farmaci sono noti ed enfatizzati i benefici, perché gli studi clinici
controllati, soprattutto quelli più importanti di fase 3, sono finalizzati alla
valutazione dei benefici. In altre parole il calcolo del campione, cioè il
numero di pazienti da reclutare, si basa sulla percentuale del beneficio atteso
rispetto ai controlli. Il beneficio è enfatizzato perché i controlli non sono
costituiti, come sarebbe logico, dal miglior trattamento disponibile per quella
determinata sintomatologia o malattia, ma dall’impiego di una sostanza inerte
nota con il nome di placebo. Ciò naturalmente gonfia i risultati perché
l’eventuale beneficio è ottimale, in quanto si riferisce al placebo, mentre in
clinica sono disponibili altri farmaci. Al medico e al paziente, invece,
interesserebbe sapere se il beneficio del nuovo farmaco è superiore o inferiore
a ciò che esiste. Inoltre quando esistono altri farmaci non è etico l’uso del
placebo, perché si sottraggono agli ammalati possibilità terapeutiche. Il
beneficio è ulteriormente enfatizzato perché si dovrebbe condurre due studi di
fase 3, ma chi li può effettuare è sempre l’industria farmaceutica che di
solito prepara i protocolli, consultando gruppi di esperti che certamente non
penalizzano l’industria. Più obbiettiva sarebbe la valutazione dei benefici, se
uno dei due studi dovesse essere realizzato da un ente indipendente.
Diversa è la
valutazione dei rischi, premettendo che tutti i farmaci esercitano effetti
avversi più o meno importanti. Tuttavia molti degli effetti avversi non
verranno raccolti negli studi clinici controllati sia perché il campione dei
pazienti è calcolato sui benefici sia perché la durata dello studio può essere
inferiore alla durata dell’impiego di farmaci utilizzati per malattie croniche,
spesso a vita. Le reazioni avverse si raccolgono, quindi, quando il farmaco è
già in commercio e in generale dipendono da rapporti spontanei effettuati da
medici, farmacisti o pazienti. Si calcola che se ne raccolgano solo il 10%,
perché non esistono strutture deputate a occuparsi della tossicità dei farmaci.
I pochi ricercatori che si occupano di questi problemi hanno poche risorse
disponibili e sono considerati ricercatori di serie B. Se si considerano le
riviste mediche più importanti, l’enfasi è sempre sui benefici, mentre sono
molto pochi gli articoli che si occupano degli effetti avversi. Anche il nostro
Servizio sanitario nazionale non sembra avere interesse a raccogliere
rapidamente gli effetti tossici, ignorando che hanno una ripercussione sulle
risorse economiche, dato che spesso richiedono ospedalizzazione e trattamenti
terapeutici.
Anche l’Aifa
(Agenzia italiana del farmaco), presso cui vengono catalogati i rapporti
spontanei, spende poche pagine dei suoi aggiornamenti annuali a descriverli e
soprattutto a renderli noti ai pazienti. Va sottolineato che gli effetti
tossici si manifestano con più frequenza nelle donne rispetto ai maschi, tanto
è vero che 8 su 10 farmaci ritirati dal commercio per tossicità hanno come base
effetti avversi riscontrati nelle donne. Cosa fare? Occorre anzitutto partire
dalla convinzione che gli effetti tossici dei farmaci non si possono attendere
nel tempo ma si devono ricercare. Nell’ambito dell’Aifa si dovrebbe realizzare
una struttura interna che utilizzi del personale, direttamente o attraverso
Irccs o grandi ospedali, che raccolga dati di tossicità dei farmaci attraverso
i pazienti che arrivano ai Pronto soccorso, a coloro che rimangono a lungo
negli ospedali, oppure agli anziani che si trovano nelle case di riposo (Rsa).
Tutti i dati raccolti dovrebbero essere valutati da un gruppo di esperti e
utilizzati per aggiornare rapidamente i foglietti illustrativi come pure per
informare tutti i medici. Nei casi più gravi il farmaco potrebbe essere
eliminato dal Prontuario terapeutico nazionale, che elenca i farmaci rimborsati
dal Ssn. La spesa per sostenere questo gruppo di ricercatori sarebbe ampiamente
compensata dai risparmi che nel tempo ne deriverebbero. Come si dice
normalmente è necessaria la volontà politica. Ma esiste realmente al di là
delle parole?
*Fondatore e Presidente Istituto di Ricerche
farmacologiche Mario Negri Irccs