Il giovane Vattimo "Operaio del Getsemani": pregava e andava (quasi) ogni giorno a messa.
La poco conosciuta versione cattolica del filosofo: tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, a Torino, il futuro alfiere del "pensiero debole" militava nella Gioventù italiana di Azione Cattolica con Furio Colombo e Umberto Eco. Poi, la crisi. E la rottura con il mondo cattolico organizzato. Proponiamo la testimonianza raccolta nel 2010 per la stesura del libro edito dalle Paoline "Carlo Carretto, l’impegno, il silenzio, la speranza"
Era la bandiera riconosciuta del "pensiero debole". Il filosofo Gianni Vattimo è morto all'ospedale di Rivoli, dov'era stato ricoverato in gravi condizioni. Aveva 87 anni. Nato a Torino il 4 gennaio del 1936, era figlio di un poliziotto originario della Calabria, morto quando aveva solo un anno e mezzo. E' stato attivo membro della Gioventù Studentesca di Azione Cattolica. Con Furio Colombo e Umberto Eco.
Gianteresio
(noto, però, a tutti come Gianni) Vattimo nasce a Torino il 4 gennaio
1936. «Carlo Carretto è per me più un’ispirazione che una
frequentazione personale o un’amicizia; lo vedo un paio di volte, ma tifo
sempre per lui», ricorda nel salotto della sua abitazione, non lontano dal Po e
dall’Università dove ha insegnato una vita . «Conosco meglio, molto meglio,
Luigi Gedda, ma non aderisco mai alle sue posizioni».
Parte da questo
paradosso e ritorna lesto ai giorni duri della Seconda guerra mondiale, il
racconto di Vattimo. «Finisco sfollato in Calabria e più precisamente in
provincia di Cosenza, a Cetraro, il paese natale di mio papà», afferma.
«Terminato il conflitto, eccomi di nuovo a Torino. Abito in centro, in via
Carlo Alberto. Due sorelle che gestiscono una drogheria vicino a casa, molto
pie e democristiane – non a caso le chiamiamo le “sorelle De Gasperi” – cingono
d’assedio mia madre: “Perché non mandi Gianni all’oratorio?”. Io passo i
pomeriggi in camera a studiare e a leggere, mangiando a merenda pane, burro e
cacao. Mia madre accetta il suggerimento e così mi trovo a frequentare la
parrocchia di San Filippo. Lì gioco a pallone e vado a Messa, se posso
anche tutti i giorni, facendo la Comunione. Il resto fa capo alla
Federazione, ovvero alla sede diocesana torinese della Gioventù cattolica di
Azione cattolica: gli incontri formativi si svolgono nei locali di via
Arcivescovado 12, dove si mette a punto l’agenda pastorale della Giac, finendo
inevitabilmente di discutere di linee ecclesiali, di impegno sociale. E di
politica».
S’impegna molto,
Gianni Vattimo. «Divento un “operaio del Getsemani”», rammenta. «Entro a far
parte di un gruppo d’elite voluto da Luigi Gedda all’interno della Giac. Tanta
preghiera e tanta azione. Una volta partecipo pure agli esercizi organizzati a
Casale Corte Cerro, un comune a circa 15 chilometri da Verbania, nell’imponente
complesso del Getsemani fatto costruire da Luigi Gedda e disegnato
dall’architetto Ildo Avetta. Un vero Santuario, con tanto di parco dove sono
collocate le 14 “stazioni” della Via Crucis, rappresentate da altrettante
ceramiche, completamente immerse nel verde dei boschi. All'interno della
chiesa, un mosaico dedicato alla Vergine ricorda la proclamazione del dogma
dell’assunzione, fatta da Pio XII il 1° novembre 1950: il Papa appare
attorniato da vescovi, mentre santi antichi e recenti fanno variopinta corona
alla Vergine portata dagli angeli. L’edificio che ci ospita è moderno,
confortevole e funzionale. Ogni camera ha il suo bagno. Tante le accortezze,
innovative per l’epoca. Alla mattina, ad esempio, ci sveglia una musica il cui
volume è alzato gradualmente. Al di là delle riflessioni, del raccoglimento,
delle Messe e della Confessione, Gedda ci incontra con calma, uno a uno. È
una sorta di mobilitazione consapevole e permanente, quella a cui punta».
Il 1953 e il
1954 sono anni fondamentali anche per Gianni Vattimo. «In quel
biennio mi diplomo, sostenendo la maturità classica al Liceo Vincenzo
Gioberti, divento delegato diocesano studenti, frequento campi scuola, conosco
Umberto Eco, approfondisco l’amicizia con Furio Colombo, vivo appieno le
tensioni interne all’Azione cattolica con le dimissioni a raffica di Carlo
Carretto, di Mario Vittorio Rossi e di tanti altri dirigenti nazionali e
locali. Schierandomi con loro, contro Gedda».
Nel 1953, Vattimo
frequenta il campo scuola nazionale della Giac, al Passo della Mendola, in
provincia di Trento. «Un giorno, in vista del rosario meditato che si prega
ogni giorno, mi chiedono di commentare il terzo mistero glorioso: la
Pentecoste. Al termine, Umberto Eco si avvicina, e mi fa i complimenti.
Finalmente lo conosco di persona, dopo tanto sentir parlare di lui».
Nel 1954, altro
campo scuola nazionale della Giac. «Questa volta si va al Passo di
Falzarego, in provincia di Belluno. Via Carretto e via Mario Vittorio Rossi, il
nuovo presidente della Giac è Enrico Vinci. Da Torino, se non ricordo male, ci
muoviamo in 17. Affidano a me e ad altri il compito di preparare una sorta
di “giornale radio” quotidiano. Noi ricorriamo all’ironia. La pubblicità
reclamizza Chlorodont anticarie? Noi facciamo spot su “clerodent anticurie, il
dentifricio della gerarchia”. Più cattiva l’altra: “andiamo in onda oggi,
XXXII° anno dell’era fascista e primo anno dell’era Vinci”. Impossibile
ignorare a quel punto da che parte stiamo e cosa pensiamo in merito alle
spinose vicende della Giac, finite per altro puntualmente su tutti i giornali.
Morale: siamo cacciati in blocco, noi di Torino, due giorni e mezzo dopo il
nostro arrivo».
«Di quel periodo conservo nella mia memoria un’altra istantanea», conclude Gianni Vattimo. «È la sorpresa di sentire suonare alla mia porta don Arturo Paoli, anch’egli dimissionario dall’Azione cattolica in polemica con Gedda. “Passavo da Torino, mi ricordavo il tuo indirizzo, ho voglia di salutarti e di fare due chiacchiere con te. Posso entrare?”. È stato un periodo fecondo per la Chiesa. Oggi vedo coltivati con più attenzione gli aspetti spirituali e mistici, ma noto con dispiacere che la gerarchia ha come confiscato ai laici il diritto-dovere di impegnarsi in prima persona nel campo sociale e in quello politico. So di essere additato da molti come l’alfiere del pensiero debole, nichilista e anti-cristiano. Mi ritengo un credente, professo la mia fede nel Dio della Bibbia e nel Gesù del Vangelo. Mi scandalizza il fatto che faccia scandalo il mio essere dichiaratamente omosessuale, per giunta di sinistra, e perciò io sia tenuto fuori “dal tempio”, ma questo è un altro discorso. Piuttosto mi chiedo: dove sono i Carlo Carretto nel laicato impegnato, oggi?».