A seguire un pezzo “illuminante” sullo stato della sanità in Italia e sulle prospettive. Poche righe in cui Silvio Garattini illustra con chiarezza perché la situazione della sanità in Italia è peggiorata e cosa occorrerebbe fare per migliorarla. Semplicità che è difficile a farsi (NdR)
Riforme. La nostra salute non è un costo: è un investimento
Tratto da “Avvenire” del 8 luglio 2023
Molte autorevoli
voci e altrettante manifestazioni popolari richiedono più risorse economiche
per il Servizio sanitario nazionale (Ssn), e non vi è dubbio che molti governi
italiani abbiano ritenuto che la salute sia una spesa anziché un investimento,
ignari del fatto che senza salute non c’è sviluppo economico. Se si fanno
paragoni rispetto al Pil, l’Italia spende per la salute circa il 7,4% con una
tendenza alla diminuzione nei prossimi anni, mentre i Paesi europei più vicini
a noi dedicano alla salute fino al 10%. E in termini assoluti le differenze
aumentano.
Non vi è dubbio
che servano più risorse, ma occorre subito aggiungere che non basta. Si pensi
alla situazione dell’Inghilterra, che spende più di noi e ha un Nhs (National
Health Service) più in crisi del nostro. Chiedere più soldi è indispensabile,
ma occorre anche far sapere come si vogliono spendere i soldi, e per far cosa.
Il nostro Ssn non ha fatto molti sforzi per far vedere che chiede, ma è anche
capace di collocare le risorse nel modo migliore? Alcuni esempi a questo
proposito possono essere utili.
Molti progressi
sono stati fatti: abbiamo Il Ssn – non ripeteremo mai abbastanza che
rappresenta un bene fondamentale da mantenere per le prossime generazioni – ha
concentrato tutta la sua attenzione sulla cura. farmaci efficaci per malattie
che prima non si potevano curare, migliori interventi cardio e neurochirurgici,
più trapianti d’organo, e così via. In altre parole, le risorse disponibili
hanno rinforzato il mercato della medicina rendendolo sempre più ricco e
attraente. Ci siamo dimenticati tuttavia che curiamo malattie che si possono
evitare, ma se le evitiamo si contrae il mercato. In altre parole, abbiamo
dimenticato il termine “prevenzione”. Ripristinare questa parola per metterla
al centro dell’attenzione richiede una grande rivoluzione culturale. Occorre
pensare all’ambiente inquinato nel suolo, nell’acqua e nell’aria con grave
danno per la salute.
Abbiamo usato
male gli antibiotici, non solo per la terapia umana, ma anche per gli
allevamenti intensivi, ottenendo una antibiotico resistenza che miete solo in
Italia 10.000 morti all’anno. Occorre dare priorità alle vaccinazioni
infantili, agli screening per le malattie croniche e per i tumori al fine di
identificarli il più presto possibile. Inoltre abbiamo le cosiddette “buone
abitudini di vita” che dipendono da noi ma vanno aiutate e incentivate dal Ssn.
Abbiamo ancora 12 milioni di fumatori, ma stanno aumentando quelli con un’età
minore di 15 anni. Povertà e scarsa scolarità sono altri importanti fattori di
rischio e di malattie.
Cosa abbiamo
fatto, ma soprattutto cosa vogliamo fare con più soldi per la prevenzione?
Vogliamo continuare con l’attuale politica? Siamo orgogliosi della nostra
longevità, siamo al top dei Paesi che hanno una lunga durata di vita, ma se
analizziamo ciò che conta – la durata di vita “sana” – scendiamo rapidamente
nella classifica perché, mancando la prevenzione, abbiamo molte malattie e
tumori nella fase matura e anziana della nostra vita. Il Covid-19 ci ha
lasciato alcuni insegnamenti e moniti che stiamo già dimenticando. Cosa
facciamo per avere un “sistema” pronto per affrontare eventuali altre pandemie?
Il Ssn deve avere personale adeguato. Perdiamo medici e soprattutto infermieri,
perché sono sottopagati rispetto al resto dell’Europa. Vogliamo chiedere più
soldi per pagarli meglio. La differenza di stipendio – teniamolo presente – è
una parte significativa della differenza di spesa dell’Italia per la salute
rispetto ad altri Paesi.
Dobbiamo in
questo modo abolire l’intramoenia una situazione che permette a chi ha soldi di
avere subito le visite, mentre chi non li ha è sottoposto a lunghe liste
d’attesa. Una situazione anticostituzionale che non vede grandi rimostranze da
parte dei costituzionalisti. Non possiamo continuare ad avere una dicotomia per
cui i medici degli ospedali sono dipendenti e i medici di medicina generale
sono invece professionisti. Aumentiamo l’efficienza e la produttività avendo
solo dipendenti, per poterli far lavorare insieme nelle “case di comunità”. E
poi non parliamo di farmaci, un ricco mercato di oltre 20 miliardi di euro
all’anno, in costante aumento. Sono 30 anni ormai che non si fa una revisione
dei farmaci rimborsabili dal Ssn presenti nel Prontuario terapeutico nazionale.
Se ne possono eliminare molti, senza per nulla danneggiare gli ammalati, e in
generale una buona prevenzione e una seria informazione indipendente sarebbero
in grado di farne di-minuire i consumi. Per non parlare della ricerca
indipendente: molti poveri anziani devono usare 15 farmaci al giorno senza una
ricerca che stabilisca se 15 farmaci facciano meglio di 10. Le donne, i bambini
e gli anziani ricevono farmaci che sono stati studiati prevalentemente in
soggetti maschi e adulti.
In definitiva chiediamo più soldi, ma diciamo per cosa vogliamo utilizzarli, altrimenti non saremo credibili.
(*) Fondatore e Presidente Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri Irccs