di Maurizio Carucci
tratto da “Avvenire” del 16 maggio 2023
Nonostante un lieve aumento delle quote "rosa", una su cinque è fuori dal mercato del lavoro dopo la nascita di un figlio. La classifica dei migliori posti. Manifesto su vita privata e carriera.
Dopo la frenata
degli ultimi mesi del 2022, l'occupazione femminile è tornata a salire in
gennaio e febbraio. È quanto risulta dall'ultimo Rapporto
Bankitalia, ministero del Lavoro e Anpal. Tre anni fa, si ricorda,
l'emergenza sanitaria causata dalla pandemia aveva ampliato i divari di genere
che caratterizzano il mercato del lavoro italiano e nel 2020 le donne hanno
perso più di 70mila posti di lavoro, mentre l'occupazione maschile è aumentata
di oltre 60mila unità. Dalla metà del 2021 l'occupazione femminile è invece
cresciuta più velocemente, raggiungendo livelli storicamente elevati.
Nell'ultimo anno e mezzo le donne hanno contribuito per quasi il 40% alla
creazione di posti di lavoro, un valore superiore di 2,5 punti percentuali
rispetto al biennio 2018-19. Queste dinamiche sono in gran parte dovute ai
fenomeni di ricomposizione settoriale. Negli ultimi due anni le donne hanno
occupato circa la metà dei nuovi impieghi a termine, ma solo un terzo di quelli
a tempo indeterminato. Il divario, evidente anche prima della pandemia, è
riconducibile alla forte presenza femminile nelle attività di alloggio e
ristorazione. In questi comparti più della metà dei posti di lavoro creati sono
stati a tempo determinato, a fronte di un quarto nel resto dell'economia. Su
100 donne dipendenti, infatti, 75 lavorano nel terziario di mercato e 69 hanno
un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mentre per gli uomini alle
dipendenze il valore scende al 52%. Lo rileva un focus sulla partecipazione
femminile al mercato del lavoro contenuto nel Rapporto Terziario&Lavoro dell'Ufficio
studi di Confcommercio. Nonostante le ultime generazioni abbiano raggiunto
un livello di istruzione e di rendimento scolastico superiore a quello degli
uomini, e pur in presenza di una normativa tra le più avanzate in Europa, le
donne in Italia continuano a lavorare poco, a guadagnare di meno e a avere
pensioni più basse. Senza contare le minori opportunità di carriera. Nel
2021 il reddito pensionistico medio lordo mensile delle circa tre milioni di pensionate
italiane era di 1.321,14 euro, contro 1.970,19 euro dei circa cinque milioni di
pensionati. Il cosiddetto “differenziale di genere” è il 32,9%: significa che
rispetto alla media del totale delle pensioni di vecchiaia, gli uomini
percepiscono il 32,9% in più. Il tasso di occupazione femminile in Italia è il
55%, oltre i 14 punti percentuali in meno rispetto alla media europea e oltre
18 punti rispetto alle economie più avanzate d’Europa. Nonostante il cambio di
passo delle generazioni più giovani, in Italia le donne continuano a essere
impiegate soprattutto nei servizi pubblici, in particolare istruzione e sanità
e in generale nei servizi alla persona. Questo è una delle cause di redditi
medi inferiori agli uomini, unitamente alla maggiore esposizione a lavori
precari. Nel 2021 la retribuzione media lorda settimanale è stata di 603,8 euro
per gli uomini e di 468,12 euro per le donne. Rispetto alla media totale delle
retribuzioni gli uomini guadagnano quindi – al lordo - il 22,5% in più. Un peso
determinante lo ha anche la difficoltà di conciliare vita lavorativa e carichi
familiari, che influisce negativamente sulla carriera. Per comprendere il
fenomeno le relatrici del seminario Attuari-Noi Rete Donne hanno fornito un
dato che riguarda le madri di figli in età pre-scolare. Su 100 donne tra 25 e
49 anni di età, 73 hanno figli piccoli e di queste 27 non
lavorano. Secondo Elsa Fornero, docente ed ex ministra, in Italia
abbiamo un welfare sbilanciato sulle pensioni: «E un riflesso condizionato,
quando pensi al welfare, pensi alle pensioni perché, fra l’altro, è la parte di
spesa sociale ben più rilevante. In realtà il welfare riguarda tutta la vita
lavorativa, perché nella vita lavorativa si formano o si disfano le famiglie, e
si hanno figli e c’è la difficoltà per esempio di conciliare la vita di lavoro
con la vita familiare per le donne. Ma c’è anche tutto il prima: il welfare,
quindi, lo dobbiamo vedere legato al concetto di vita intera. Che colpa ha un
bambino se nasce in una famiglia che, essendo povera, non gli dà la giusta
alimentazione o che non dà importanza alla scuola? Allora il compito del
welfare dello Stato sociale è di cominciare a ridurre le disparità
dall’inizio».
Lavoratrici
penalizzate dopo la nascita di un figlio
Dopo la nascita
di un figlio quasi una donna su cinque (18%) tra i 18 e i 49 anni non lavora
più e solo il 43,6% permane nell’occupazione (il 29% nel Sud e Isole).
Motivazione prevalente la conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal
mancato rinnovo del contratto o licenziamento (29%) e da valutazioni di
opportunità e convenienza economica (19%). La quota di quante non lavoravano né
prima, né dopo la maternità è del 31,8% e del 6,6% quella di quante hanno
trovato lavoro dopo la nascita del figlio. È quanto emerge dal Rapporto
Plus 2022. Comprendere la complessità del lavoro che raccoglie i
risultati dell’indagine Inapp-Plus condotta su un campione di 45mila
individui dai 18 ai 74 anni. «Si tratta di un fenomeno che ha pesanti effetti
demografici ed economici - osserva Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp
-. L’Italia è l’ultimo Paese per tasso di fecondità in Europa, e proprio nel
2022 è stato toccato il minimo storico di 400mila nuovi nati; peraltro, la
maternità continua a rappresentare una causa strutturale di caduta della
partecipazione femminile. Il Paese non può più sopportare, oltre alla “fuga di
cervelli”, anche questa altra forma di dispersione del capitale umano legata
alla mancata valorizzazione e sostegno dell’occupazione femminile». Sul calo
della partecipazione femminile dopo la maternità, infatti, pesano condizione
familiare, servizi di welfare e istruzione. Nei nuclei familiari composti da un
solo genitore sono più elevate le quote di uscita dall’occupazione dopo la
maternità: 23% contro 18% tra le coppie. Nelle coppie invece è maggiore la
permanenza nella non occupazione: 32% contro il 20% tra i monogenitori. Resta
il nodo della poca disponibilità e accessibilità, anche economica, degli asili
nido. Inoltre il titolo di studio protegge dalla perdita del lavoro, ma solo in
parte. Restano nel mercato del lavoro le più istruite (il 65% delle laureate),
ma smette di lavorare oltre il 16% (sia di laureate, che di diplomate) contro
il 21% delle madri con la licenza media. Per conciliare lavoro e cura dei
figli, circa un quarto degli intervistati ritiene fondamentale un orario di
lavoro più flessibile, mentre un 10% indica la possibilità di lavorare in
telelavoro o smart working. Il part-time è più frequentemente
indicato dalle donne (12,4% rispetto al 7,9% degli uomini). Quest’ultimo dato,
unito a quello relativo all’utilizzo dei congedi parentali (68,6% per le donne
contro il 26,9% degli uomini) ribadisce un modello familiare che relega la
componente femminile nel ruolo di caregiver principale, con evidenti ripercussioni
occupazionali e retributive sia nel breve e che nel lungo
periodo. Attraverso People at work 2022: a global workforce
view, redatta annualmente dall’Adp Research Institute, è stato
possibile tracciare una panoramica di quale sia il sentiment odierno
tra i lavoratori con figli in Italia. L’indagine si è svolta su circa 33mila
lavoratori in 17 Paesi, di cui circa 2mila in Italia, 1.000 circa
genitori. Innanzitutto, l’80% dei genitori lavoratori italiani ha
dichiarato di essere soddisfatto dell’attuale posto di lavoro (più dei non
genitori, con il 75%). Del 20% che si è dichiarato insoddisfatto, il 46% è
perché non vede prospettive di crescita, mentre il 40% lamenta di non avere
avuto nessuno aumento in busta paga a fronte del maggiore carico di lavoro subito,
percentuale che sale al 50% per chi ha figli 0-5 anni. Il 41% dei genitori
lavoratori si aspetta un aumento in busta paga nel prossimo anno, anche perché
una percentuale del 46% ha dichiarato di lavorare in straordinario non
retribuito almeno 6-10 ore a settimana. Ciò nonostante, il 28% sarebbe disposto
ad accettare una riduzione della paga in favore di maggiore flessibilità di
orari e spazi, mentre Il 43% cercherebbe un altro lavoro se costretto al
ritorno al tempo pieno (il 55% di chi ha figli fino a un anno e il 53% di chi
ha figli da 1-5 anni). È quindi chiaro che la flessibilità è fondamentale per
chi è genitore: il 42% ha dichiarato che la combinazione perfetta è lavorare
sia da casa sia da ufficio, il 34% solo da ufficio mentre il 17% solo da casa. Alla
domanda “Pensi che lavorare da casa abbia reso più facile o più difficile il
lavoro per chi è genitore?” ha risposto più facile il 38% degli intervistati
(la percentuale sale al 48% per chi ha figli neonati di età inferiore
all’anno), più difficile per il 31% mentre per il 17% non è cambiato
nulla. Infine, il 36% ha dichiarato che essere genitore è ancora un
ostacolo alla carriera (lo afferma il 45% di chi ha figli inferiori all’anno e
il 42% di chi ha figli 1-5 anni). Solo il 25% di chi ha figli dopo i 18 anni lo
pensa.
La classifica
dei migliori posti "rosa"
Equità,
rispetto, orgoglio, credibilità e coesione: sono queste le qualità che rendono
un’azienda il luogo ideale per ogni collaboratrice. Great Place to Work Italia ha stilato la classifica
dei Best Workplaces for Women 2023: si tratta
delle 20 migliori aziende italiane per cui le donne sono più felici di
lavorare, scelte dalle lavoratrici delle 115 imprese del Bel
Paese che, tra le 303 analizzate nel 2022, hanno soddisfatto i
criteri di eleggibilità. La ricerca completa è consultabile al
seguente link: www.greatplacetowork.it/classifica-best-workplaces/italia-women/2023. Ma da quali realtà è composto il podio dei Best
Workplaces for Women 2023? Il miglior luogo di lavoro in Italia secondo le
donne è Biogen Italia Srl, azienda farmaceutica leader
nel campo delle biotecnologie, seguita da Teleperformance Italia,
impresa consociata del gruppo Teleperformance, leader mondiale
nell’offerta di servizi di contact center, e da Reverse Spa, che
offre alle aziende servizi di headhunting e consulenza HR. Società
virtuose in cui la presenza femminile è rilevante e superiore alla
media: il 57% della popolazione è composta
da donne rispetto al 39% delle altre imprese analizzate e
il 43% del top management è femminile contro
il 27% registrato nelle altre organizzazioni oggetto di studio. Tra i
settori di riferimento più rappresentati nella classifica Best
Workplaces for Women 2023 spiccano il pharma e
i servizi professionali, con sei aziende a testa; seguiti
da manifatturiero, servizi finanziari e
assicurativi e health care e alberghiero. Un ulteriore
indicatore preso in considerazione nell’analisi è il Trust Index e
qui i Best Workplaces for Women 2023 hanno mostrato, nel
confronto con le altre aziende analizzate, una differenza di +14
punti percentuali rispetto ai temi legati all’equità,
di +13% riguardo rispetto e orgoglio, +12% riguardo credibilità e coesione.
Altri temi cruciali nel mondo del lavoro femminile analizzati nella ricerca riguardano l’opportunità
d’innovazione, attraverso lo sviluppo di nuove e migliori modalità di
lavoro, un aspetto rispetto al quale c’è uno scarto di 12 punti
percentuali (87% vs 75%) tra le Best Workplaces for
Women 2023 e la media delle altre organizzazioni analizzate e
la fiducia nei confronti della leadership
aziendale (97% vs 91%, +6%). Analizzando i dati delle aziende in
classifica si evince come l’86% dei collaboratori valuti la sua azienda
come eccellente e nel contempo percepisca l’importanza del suo contributo
per il successo aziendale, questo innesca un circolo virtuoso che rende questi
collaborator disposti a dare di più per l’azienda. Le persone delle
aziende premiate nel ranking Best Workplaces for Women 2023 sono
sensibilmente più positive, rispetto alle altre aziende analizzate, riguardo
a equità, imparzialità, benefit, work-life balance.
Manifesto su
vita privata e carriera
Riccarda Zezza,
ceo e fondatrice di Lifeed, premiata da Fortune Italia,
torna in libreria con Cuore business. Per una nuova storia d'amore tra
persone e lavoro - dopo il successo straordinario di Maam, La
maternità è un master - per offrire ancora una volta una riflessione,
quanto mai tempestiva, sulla ricchezza identitaria di ognuno di noi e su come
influenzi il nostro lavoro. «È in corso una crisi nella relazione tra persone e
lavoro. Ne vediamo i sintomi nel fenomeno del quiet quitting, nelle
numerose e impreviste dimissioni, ma anche nel basso tasso di occupazione
femminile e nella mancanza di motivazione dei giovani. Che cosa è successo? È
successo che gli esseri umani sono diventati grandi e complessi, e nelle
scatole delle vecchie definizioni di lavoro non ci stanno più. Ci entrano
"per forza" e ci passano la vita (115.704 ore, 13 anni), ma lasciando
fuori qualcosa di importante: quel talento unico che ognuno ha e che, emergendo
dal profondo del cuore, farebbe del lavoro un modo di prendersi cura del mondo.
Si tratta di una crisi epocale: la crisi di un intero sistema di regole e
definizioni, e non basterà la tecnologia a ripristinare la relazione tra
persone e lavoro. Il cambiamento dovrà essere culturale e profondamente umano»,
dichiara l'autrice del libro. Si tratta di un manifesto per ridefinire la
relazione tra vita privata e lavoro e le conseguenze su carriere, leadership,
società. «Una lettura che combina una capacità unica di portare in vita le
scienze comportamentali e sociali, distillate in suggerimenti pratici, basati
sui dati, per persone interessate a migliorare i loro team, le organizzazioni e
il lavoro», spiega Tomas Chamorro-Premuzic, professore di psicologia
aziendale alla Columbia University e all'Ucl-University College London, nella
prefazione a sua firma. Dai dati dell'Osservatorio Vita Lavoro di Lifeed e
dalle ricerche scientifiche in corso dal 2012 e validate a livello nazionale e
internazionale, nasce la riflessione del libro, che in quattro capitoli
affronta gli stereotipi legati ai nostri ruoli; le emozioni e come essere
(umani) nel lavoro ibrido; le dinamiche sociali che riguardano le donne e il
potere; il ruolo dei leader per le aziende e la società. «Essere madre ha
cambiato il mio modo di lavorare, avere un lavoro ha cambiato il mio modo di
essere figlia, la mia fragilità di figlia ha cambiato il modo in cui faccio la
manager e tutta la mia vita è fatta di pezzi che si tengono e compongono
insieme. E tutti abbiamo questo problema. Tutti abbiamo questa possibilità.
Prima del lavoro che facciamo, prima di come lavoriamo, prima, viene chi
siamo», conclude Zezza. Abbattere le barriere di genere richiederà quindi
un cambiamento sostanziale a livello internazionale nell'ideologia e nel modo
di affrontare la diversità e l'inclusione concentrandosi non solo sul
rafforzamento delle capacità di leadership femminile, ma anche e soprattutto
sui cambiamenti sistemici dell'ambiente di lavoro e delle pratiche
aziendali. Ridurre il divario di genere, favorire l'inclusione e l'accesso
delle donne alle posizioni di responsabilità all'interno dell'organizzazione
aziendale e nei consigli d'amministrazione di imprese pubbliche e private,
oltre a incoraggiare l'occupazione femminile. Sono questi alcuni degli
obiettivi di Women on board, il progetto ideato nel 2022
da Manageritalia e Federmanager insieme con Aidp, Hub del
Territorio ER e da quest'anno con la consigliera di parità Regione
Emilia-Romagna e la partnership degli Ordini degli avvocati, dei
commercialisti e dei consulenti del lavoro dell'Emilia Romagna. «Iniziative
come Women on board - afferma Emma Petitti, presidente assemblea
legislativa Regione Emilia-Romagna - sono assolutamente fondamentali per poter
aspirare al vero raggiungimento di una parità di genere, abbattendo i numerosi
ostacoli tuttora presenti a vari livelli in ambito lavorativo. La condizione
femminile misura la qualità democratica di un Paese e, quando favorevole, lo
arricchisce, perché investire sul lavoro delle donne significa investire
nell'economia e nella crescita di un territorio. Va supportato e favorito il
cambio di un modello culturale ancora molto radicato in Italia e grazie anche
al contributo di attività virtuose come questa si potranno vedere i risultati
per fare la differenza e ambire a una maggiore consapevolezza collettiva».
Gli otto
pregiudizi nei confronti delle donne
In Italia sono
ancora poche le donne che siedono nei Consigli di amministrazione. Siamo ancora
lontani dalla media internazionale: per esempio solo due donne su dieci siedono
nei Cda delle aziende di moda. In Francia la quota femminile presente nei Cda è
pari a circa il 50%, in Germania al 29%, negli Stati Uniti al 38%. La media
globale/europea è del 33%. Nel Tessile-Abbigliamento, se si incentra l’analisi
sul solo segmento femminile (donne su totale donne), si rileva come quasi sette
donne su dieci (69,2%) siano operaie, a fronte di un 26,9% di impiegate, uno
0,9% di quadri e di uno 0,3% di dirigenti. Per Mazars, gruppo
internazionale specializzato in servizi di audit, tax e advisory, la diversità
e l’inclusione femminile rappresentano un valore guida, nonché un fattore di
successo per la strategia aziendale. Il gruppo, infatti, è costantemente
impegnato a promuovere in tutte le sue sedi nel mondo una cultura e un ambiente
dove l’uguaglianza di genere sia un must. Un approccio che rappresenta un
valore distintivo e un contributo per l’evoluzione del mondo del lavoro
soprattutto nel settore economico finanziario, dove le donne sono ancora
sottorappresentate. In Italia, in particolare, le donne rappresentano il 46%
del personale, il 37% dei manager e il 25% del leadership team. Mazars in
Italia ha aderito al programma D&I del Gruppo e nel 2022 ha dato vita al
Team D&I Italia, che vede attualmente coinvolti 16 professionisti, con
l’obiettivo di guidare il cambiamento soprattutto da un punto di vista culturale
e di mindset. L’impegno di Mazars nella promozione della gender equality ha
condotto alla collaborazione con il Gender Balance Observatory e alla
pubblicazione del Report “Myths and barriers preventing the progression of
women”. Basato sull’analisi della situazione attuale di occupazione
femminile nel top management delle aziende europee, il report è stato redatto a
partire da interviste a manager e figure apicali di vari settori e mette a
fuoco otto stereotipi e pregiudizi che ostacolano la realizzazione della parità
di genere nelle organizzazioni. Nonostante i risultati conseguiti, anche
nel mondo occidentale le pari opportunità per il genere femminile sono di là da
venire. Dopo aver raccolto spunti di riflessione e idee di esperti e leader
aziendali, il report individua otto pregiudizi che ancora oggi, nelle
organizzazioni, rallentano gli sforzi per promuovere la diversità di genere:
Mito n°1: "Le
donne non hanno o hanno meno ambizioni";
Mito n°2: "La
maternità non è compatibile con una posizione di leadership";
Mito n°3: "La
donna invisibile" o "Non riusciamo a trovare candidate donne
competenti nel pool di talenti";
Mito n°4: "Le
donne sono avverse al rischio";
Mito n°5: "Il
lavoro part-time non è compatibile con i ruoli di leadership";
Mito n°6: "Le
disuguaglianze di genere si riscontrano soprattutto ai vertici aziendali";
Mito n°7: "Esistono
lavori da uomini";
Mito n°8: "Le
quote non sono basate sul merito, sono ingiuste nei confronti degli uomini e
rischiano di spingere le donne incompetenti in posizioni chiave".