"Nonostante previsioni favorevoli per il film della regista italiana l’Oscar per il miglior corto live action è andato a An Irish Goodbye di Tom Berkekey e Ross White (Ansa del 13 marzo 2023)"
Alice Rohrwacher racconta il suo cortometraggio
Le pupille
Ambientato in un
orfanotrofio femminile, potrebbe vincere l'Oscar e la regista ha l'unico
rimpianto di non poter portare le sue venti piccole protagoniste al Dolby
Theater
Ci
sarà una volta è il bel titolo della sua prossima serie e per Alice
Rohrwacher la favola si fa realtà: dal formato
piccolissimo all’immensità, dallo sguardo delle bambine colmo di stupore
nel cortometraggio Le
pupille,
prodotto da Alfonso Cuarón e candidato all’Oscar, ai milioni di occhi puntati sul palco del Dolby
Theater in quella grande notte del 12 marzo. Che bello sentirle dire «Avevo
voglia di fare un film con le bambine», che bello sapere che per questo ha
messo sottosopra il testo cui il film si ispira, una lettera natalizia di Elsa
Morante al critico e intellettuale Goffredo Fofi, ancora più bello è sapere che
Cuarón la considera una delle migliori registe al mondo, lei nata in Toscana e
cresciuta a Castel Giorgio, in Umbria, con mamma italiana, papà tedesco e una
sorella maggiore, Alba, attrice del cuore, che nel film candidato (e
distribuito su Disney+) è una madre superiora tanto severa da sfregare con il
sapone la lingua delle pupille ospiti dell’orfanotrofio, ree di aver cantato la
proibitissima Ba ba baciami piccina.
Alice
Rohrwacher indossa cardigan e gonna di cashmere su camicia e midi skirt di
carta tessile, tutto Prada; orecchino I Monili della Dea
Siamo
negli anni Quaranta, in tempo di guerra e privazioni, ma l’atmosfera è quella
della provincia italiana riscaldata dalle canzoni e dagli incantevoli (e
punitivi) costumi di angioletto che le bimbe indossano nel presepe vivente,
così simile a quello che affascinava Alice da piccola. Un vero coro di bimbe «e
tale deve restare», dice la regista, mamma di Anita, 16 anni «nessuna
differenza tra le venti piccole interpreti. Solo il giorno prima di girare si è
delineata una protagonista, Serafina, la bambina “cattiva”. A definirla così è
quella madre superiora che rappresenta il potere, in realtà è la più buona, per
coerenza compie un atto di disobbedienza e alla fine sarà l’unica a gustarsi
una fetta della lussuosa torta di Natale, condividendola però con le altre
orfanelle». Alice, che ha dedicato la nomination all’Oscar alle «bambine
ribelli» si racconta a Elle alla vigilia della partenza per il viaggio
americano verso l’Oscar, fatto di impegni, feste, cene e tanto lavoro di promozioni
Come nasce la collaborazione con il
premio Oscar Cuarón?
Aveva amato moltissimo Lazzaro
felice e un anno fa mi ha detto: «Voglio concedermi il lusso di essere un
produttore che fa solo i film che vorrebbe vedere. E mi piacerebbe che tu
girassi un corto sul Natale. Ho pensato subito a quella lettera augurale in cui
Elsa Morante narrava le festività in un collegio di preti e ragazzini e ho
deciso di traslare tutto in un orfanotrofio per bambine. Pupille è un piccolo
miracolo, nasce da quella "rete dorata" di relazioni di cui parlava
spesso la scrittrice Anna Maria Ortese, dall’amicizia tra me e Cuarón, dalla
mia passione per i libri di Morante, dal legame personale con Goffredo Fofi….
...e naturalmente dal rapporto intenso
fra due sorelle, lei e Alba, a cui affida quella madre superiore così aspra.
Come l’ha convinta?
Volevo a tutti i costi averla lì con me,
tra le mie pupille e in un ruolo diverso da quelli interpretati nei mei film.
C’è anche un piccolo riferimento personale, lei è la maggiore e quegli sguardi
severi con cui gela le piccole protagoniste sono sensazioni che solo le sorelle
minori possono riconoscere (ride).
Il futuro sarà delle bambine,
soprattutto disobbedienti?
Il mistero dell’infanzia per me conta
tanto e mi piaceva tradurre tutto al femminile, universo con cui ho maggior
familiarità. Avevo tanta voglia di lavorare con le bambine, per il film abbiamo
ricostruito una Natività con risvolto magico, nella mangiatoia appare a
mezzanotte il Bambin Gesù, ma si scopre che è una Gesù Bambina.
Un modo per riscrivere la storia dalla
parte delle bambine?
Per me soprattutto la possibilità di
rendere meno scontato l’avvenire. A volte può sembrare che non ci sia una via
d’uscita e invece, forse, basta solo immaginarla.
Lei ne è capace?
Con il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà sì, ci riesco, benché consapevole del mondo difficile in cui stiamo vivendo. Il tema delle bambine è però cruciale, ce n’è una in tutte noi, brilla in fondo ad ogni pupilla, ad ogni sguardo. Ho dedicato questa candidatura alle bambine cattive che spesso non lo sono affatto: lo dimostra l’attualità, in Iran come in Afghanistan la rivoluzione e il cambiamento girano attorno al corpo delle ragazzine, alla loro libertà di esistere, mostrarsi, disubbidire, al fatto di poter cantare Bella ciao o anche Ba ba baciami piccina come nel mio film. Pensi all’idea di scandalo, ciò che lo provocava cinquanta anni fa oggi ci pare assurdo, eppure metterlo in scena fa riflettere sul presente. Le mie piccole protagoniste non sono autorizzate a cantare un’innocua canzoncina d’amore, ma nel notiziario radio devono ascoltare in silenzio parole violentissime di guerra, di corpi straziati, nemici e bombe.
Che cosa fa davvero scandalo oggi?
La bontà. Lazzaro felice raccontava
proprio questo. La bontà è sempre scandalosa, in una società basata sulla
competizione, è sovversiva, manda a gambe all’aria le certezze che rassicurano.
Lei ha vinto tantissimi premi, acclamata
internazionalmente con film calorosi e di fibra italiana, ma che nulla
concedono al commerciale (tutti prodotti con Tempesta di Carlo Cresto-Dina, vera
famiglia produttiva). Qual è il suo segreto, Alice?
Non lo so, certo il mio Lazzaro ha
parlato a popoli lontanissimi, in Cina, ad esempio, la risposta è stata
incredibile. Forse i miei lavori contengono figure arcaiche, archetipi della
nostra memoria d’infanzia, che appartiene a tutti. I miei film li considero
come case in cui uno può entrare, dormire, prendere il tè, il caffè, fermarsi a
mangiare e dove si nascondono però dei cassetti segreti, anche chi non ha
memoria di quel posto li può scovare, ci si può riconoscere. È come se con le
mie collaboratrici abituali, la scenografa Emita Frigato, la costumista
Loredana Buscemi, la sound editor Daniela Bassani e tante altre, si producesse
ogni volta la rielaborazione di una maniera antica di fare, sepolta in noi
dall’infanzia. Penso ci sia qualcosa di molto femminile, insondabile, in
questo.
A proposito di memorie d’infanzia
com’erano i Natali delle sorelline Rohrwacher?
Passavamo le feste con la famiglia di
mio padre, in Germania, dove il Natale è molto partecipato, molto decorato,
giorni e giorni di festoni, disegni sui vetri e alberi da addobbare. Ricordo
che venivano tolte le tende alle finestre perché si intravvedesse tutto lo
splendore degli interni, ho memoria di tante vetrine illuminate, tanti piccoli
schermi di cinema accesi nelle strade. Poi si tornava a casa, in Umbria, alla
nostra vita alternativa dove la mamma inventava un presepe povero, e
bellissimo, vestendo mandarini, noci e rami spezzati. Quel tempo natalizio era
il momento in cui più riflettevo sulle due culture in cui ero immersa, di cui
sono impregnata.
I titoli dei suoi film, evocativi,
mescolano sempre nostalgia e presente, Corpo celeste, tratto da Ortese, Le
meraviglie premiato a Cannes, Lazzaro felice. Mondo contadino, sentore umbro e
sempre l’adolescenza. Anche il prossimo La Chimera lascia intendere un vento di
utopia…
Il nuovo film nasce in realtà da
un’esigenza interiore e molto molto personale, con protagonisti importanti,
Alba, Isabella Rossellini, Josh O’Connor. Posso solo dire che racconta le
sconsiderate avventure di una banda di tombaroli degli anni '80, ma in realtà è
un viaggio attraverso il nostro territorio, la nostra ricchezza archeologica e
nascosta, il tempo dilatato delle stagioni. Come avrà capito, voglio mantenere
il mistero...
Resta però altro da svelare, perché
dalle bambine alle fiabe il suo sembra un viaggio in continuità. Ci racconta la
prossima avventura, la sua prima serie tv Ci sarà una volta?
Io non la chiamo serie, preferisco
"antologia". Si comporrà di otto fiabe tratte dalla tradizione
italiana antica, dalle novelle di Gianfrancesco Straparola alla Novellaja
fiorentina, otto racconti in otto luoghi diversi del nostro Paese. Scrivo e
dirigo, un lavoro impegnativo che un po’ mi spaventa, ma che considero
importante perché la fiaba è un modello di racconto specifico della nostra
identità. E ho voglia di concentrarmi sempre più sull’infanzia, di creare
qualcosa destinato a tutti ma specialmente ai bambini, sento la necessità di
trasportarli verso un altro livello narrativo, c’è troppa disattenzione in
questo momento nei confronti di ciò che si produce per loro. L’infanzia, da
noi, in Italia è un po’ dimenticata.
Ha già pensato al suo speech, in caso di
vittoria, sul palco dell’Oscar?