Carla Accardi
beata tra gli uomini.
L’inflessione della voce è quella della siciliana colta quando a Trapani, sua città natale, nel 1998, alla retrospettiva a lei dedicata rilascia un’intervista dove racconta il suo percorso artistico. Carla Accardi nasce nel 1924, compie studi classici per trasferirsi successivamente prima a Firenze e poi nel ’46 a Roma insieme ad Antonio Sanfilippo, siciliano come lei e suo marito nel 1949. A Roma, l’incontro con Pietro Consagra, Giulio Turcato ed altri, la porterà ad aderire al gruppo dei giovani astrattisti con i quali sarà l’unica donna firmataria del numero unico del gruppo “Forma 1” del marzo del ’47.
Nel ’54 taglia con il passato; sono gli anni del bianco e nero anzi del segno bianco che esce dalla superficie e “galleggia” sul nero luminoso dello sfondo, sono gli anni in cui inizia la sua personalissima e singolare ricerca. «L’insieme che i segni compongono intrecciandosi e inserendosi sulla superficie del quadro – dice l’artista – rappresenta con infinite varianti la vita, e indica all’osservatore un modo per riconoscersi e capirsi».
Dagli anni Sessanta Accardi affronta il colore, iniziando a lavorare quelle che lei definisce famiglie di colori, sono gli anni della scomposizione delle forme quasi come a liberarle da loro stesse (basti pensare ai suoi triangoli). Sono anche gli anni nei quali sperimenta l’uso delle plastiche trasparenti e dei colori fluorescenti; l’uso del sicofoil trasparente le consente di rendere tridimensionale la sua opera, le consente di sperimentare la bellezza come elemento della pittura radicale, aperta alla sensorialità ed all’esperienza della percezione. Il telaio del quadro diventa esso stesso opera, le plastiche trasparenti e dipinte divengono esse stesse segno che scompare nella struttura.
Le sue tende, installazioni fruibili dal pubblico che restano a mio avviso uno degli esempi più emozionanti dell’arte contemporanea. Sono anche gli anni della sua militanza femminista insieme a Carla Lonzi, con la quale contribuirà alla nascita di Rivolta Femminile. Il loro sodalizio attraversa per tutti gli anni sessanta fino alla rottura avvenuta attorno al 1973, quando l’amicizia si spezza in seguito ad una serie di conflitti e incomprensioni dovute alla difficile convivenza dell’arte con il femminismo. La posizione di Lonzi, che aveva operato una netta cesura con il mondo dell’arte e degli artisti, vanificava sempre più quel tentativo di ricerca di una creatività “non patriarcale, non più fondata sulla separazione verticale tra artista e spettatore, ma sull’orizzontalità dell’autocoscienza” che aveva caratterizzato la relazione tra le due, determinando per la Accardi un insanabile divario riguardo alla possibilità di pensare l’arte come una pratica che potesse svilupparsi all’interno di un percorso di liberazione.
Accardi scrive anche un testo nel 1980 dal titolo Tende Turche – Nomadismo. Nel testo parla della tenda come metafora del viaggio interiore e della vita vista come sogno, sostenendo l’importanza del raccoglimento, della quiete e della solitudine per poter perpetuare una crescita personale, una metamorfosi. Conclude con un messaggio che si estende a tutto il suo operato: “Dipingere è stata la mia passione, un modo per avere amore dagli altri anche o illudermi, che è lo stesso. Sono atea laica non ho illusioni ma credo in quel che faccio”.
Carla Accardi si spegne a Roma nel 2014. Le sue opere che si possono ammirare in molti musei italiani e sono state esposte nelle più importanti rassegne internazionali, costituiscono un vero e proprio avamposto artistico, una testimonianza della bellezza che sposta, dove l’arte è davvero integrazione della vita e il segno “realizza interamente la propria natura quando si pone sullo stesso piano delle cose”.
Maria Vittoria Montemurro