Don Severino Dianich, uno dei più noti teologici italiani, si è interrogato in recenti riflessioni sui limiti morali della resistenza armata. Ha scritto sul sito d’informazione religiosa “Settimana news”: “Sono andato a rivedermi il Catechismo della chiesa cattolica e osservo che vi si raccomanda di considerare con rigore le strette condizioni che giustificano una legittima difesa con la forma militare. Tale decisione, per la sua gravità è sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale”
“Inviare armi è etico solo se si può vincere se no è inutile strage” Sembra questa un’affermazione Machiavellica. Di sicuro c’invita a riflettere. Stiamo assistendo ad uno scenario di guerra tra i più cruenti. Guerra tra “cugini” che sottende al solito cospicui interessi economici. Quanti morti, ucraini e russi, dovremo contare: donne, uomini, bambini, (ma i soldati non muoiono di meno), prima che i potenti governanti che decidono, decidano di far tacere le armi? (RL)
“Inviare armi è etico solo se si può vincere se no è inutile strage”, è il titolo dell’intervista a Severino Dianich, di Tommaso Rodano, pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” di domenica 13 marzo 22 che riportiamo di seguito.
Contesta la resistenza di un popolo aggredito?
Credo che l’esaltazione della patria e dell’indipendenza nazionale come valore assoluto, da difendere anche attraverso un massacro e il sacrificio di vite umane, sia una piaga del nazionalismo dell’800. Bisogna trovare un equilibrio tra il valore dell’indipendenza di un popolo, che è innegabile, e il prezzo da pagare in vite umane per rivendicare quel valore”
Chi può stabilirlo?
Credo che il passaggio dall’indipendenza nazionale a una forma di dipendenza non sia sempre uguale. Ci sono dipendenze distruttive, umilianti per il popolo che le subisce, ed altre in cui la dipendenza – negativa in linea di principio – può evitare il massacro di centinaia di vite.
Si può negare il sentimento collettivo del popolo ucraino e il suo diritto all’indipendenza?
Dal punto di vista etnico e culturale non si può negare che ci sia una vicinanza tra popolazione russa ed ucraina, io vengo da Fiume. La mia famiglia è fuggita dal regime di Tito. Quella fuga fu ispirata per qualcuno anche dal senso nazionale: volevano restare italiani. Ma la maggioranza della popolazione è venuta via per fuggire da un regime oppressivo e dalla fame.
Ritiene un artificio il nazionalismo ucraino?
Mi sembra sbagliato esaltarlo conferendogli un valore mistico. Penso che la trasformazione religiosa del sentimento patrio sia pericoloso. Mi chiedo: chi si è trovato con figli, genitori o un marito morto, pensa a loro come eroi della patria?
Sta dicendo che gli ucraini dovrebbero arrendersi?
Credo che la valutazione della durata della resistenza armata debba essere in funzione della possibilità effettiva di una vittoria. Quale prezzo, quanti morti si possono sacrificare per ottenere questo risultato? Mi torna in mente un passaggio del Vangelo: anche un re valuta se può combattere una guerra con un esercito di 1000 soldati contro un di 20000.
È contrario all’invio di armi in Ucraina?
Armare il popolo ucraino allunga la guerra. Con quale ipotesi? C’è la previsione che l’Ucraina possa vincerla? O si vuole allungarla esaltando l’eroismo degli ucraini? Penso a Bertolt Brecht : beato il popolo che non ha bisogno di eroi. Noi mandiamo le armi, ma chi ci lascia la pelle sono loro: quando questo popolo ci chiede di partecipare alla sua resistenza, la decisione ricade anche sulla nostra coscienza.