Una nuova proposta in campo al posto delle altre, sinora ferme al palo (ius soli, ius culturae). Il relatore Brescia ha affermato: “è una scelta di fiducia per chi si vuole integrare”. La nazionalità sarebbe concessa a chi, minore straniero nato in Italia o che vi abbia fatto ingresso prima dei 12 anni, abbia effettuato un ciclo scolastico di 5 anni. La proposta è presentata dai 5 Stelle e vede favorevole il PD. Contraria la Lega. Importante che si ritorni a parlare del tema; importante che si capisca finalmente quanto è necessario integrare i minori stranieri, che abbiano studiato in Italia. Anche per gli italiani e per il futuro di tutti. (NdR)
Nazionalità concessa dopo un ciclo scolastico di 5 anni: presentato in commissione Affari costituzionali alla Camera il testo unificato di Brescia (M5s)
Dallo ius soli allo ius scholae, che è poi una versione “aggiornata” dello ius culturae, provvedimento sostenuto (anche da questo giornale) con un’intensa campagna stampa fin dal 2017. L’ultima proposta arriva dal deputato 5 Stelle Giuseppe Brescia, che ieri l’ha presentata come testo base unificato in commissione Affari costituzionali a Montecitorio. In buona sostanza, la norma vincola il riconoscimento della cittadinanza per i minori di origine straniera nati in Italia a un percorso scolastico di almeno 5 anni. Ma la platea si allarga anche ai ragazzi che hanno fatto ingresso nel nostro Paese prima del compimento dei 12 anni. Un tentativo di conciliare l’esigenza, ormai ineludibile, di riconoscere i nuovi italiani senza introdurre automatismi che incontrerebbero forti resistenze in Parlamento. A spiegarlo è lo stesso Brescia: «Nel testo non c’è lo ius soli», chiarisce il presidente della commissione Affari costituzionali, ma si introduce «una nuova fattispecie», che rappresenta «una scelta di fiducia non solo negli stranieri che vogliono integrare i loro figli, ma nel lavoro della comunità didattica, nella dedizione dei dirigenti scolastici e degli insegnanti che in classe costruiscono la nostra Repubblica e insegnano i valori della nostra Costituzione».
Più precisamente lo ius scholae «prevede che possa acquistare la cittadinanza il minore straniero nato in Italia che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni» nel Paese, come si legge nel testo, «e abbia frequentato nel territorio nazionale, per almeno 5 anni, uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione». Finora in commissione erano stati presentati tre testi sul tema, a firma Laura Boldrini (uno ius soli secco), Matteo Orfini e Renata Polverini. In tutti e tre i casi, però, l’iter parlamentare ha proceduto a singhiozzi fino ad arenarsi definitivamente, in gran parte per la contrarietà del centrodestra, ma anche per qualche mal di pancia nel fronte opposto. Assieme ai contenuti, merita attenzione anche la genesi di questa nuova proposta, radicata nella consapevolezza che «a trent’anni di distanza dalla legge 91/1992, il legislatore deve prendere atto delle profonde trasformazioni avvenute nella società italiana», come scrive lo stesso Brescia nella relazione introduttiva, e nel fatto che finora «si è intervenuti sulla materia con decretazione d’urgenza all’interno di provvedimenti legati alla sicurezza e all’immigrazione ». Mentre invece «è proprio da questi temi che va sganciato un dibattito razionale su una nuova legge», mettendo al centro «il ruolo della scuola come potente fattore di integrazione» e lasciando da parte «strumentalizzazioni politiche e distorsioni mediatiche».
Un cambio di paradigma, insomma, che però sembra incontrare già molte resistenze. Ieri è stato il capogruppo della Lega nella commissione interessata, Igor Iezzi, a criticare il testo, parlando di «uno ius soli mascherato» e del «solito cavallo di Troia per allargare le maglie del riconoscimento della cittadinanza italiana ». Appoggio totale invece dal Pd, che per bocca della responsabile scuola, Manuela Ghizzoni, ha evidenziato che «legare la concessione della cittadinanza italiana al percorso scolastico è una scelta giusta, è una norma di civiltà»
Matteo Marcelli
(tratto dal quotidiano “Avvenire” di venerdì 4 marzo 2022)