La fiducia verso ricerca e istituzioni recupera terreno. Ma, tra terrapiattisti e no-vax, resta una base di ostilità che affonda le radici nella crisi delle relazioni e nella fragilità economica
La situazione sociale del Paese sembra essere caratterizzata da un trend di “tecno-fobia” e sfiducia, frammisto a convinzioni di tipo cospirazionista. L’ultimo rapporto del Censis, ad esempio, ha messo in luce che il 6% di italiani ritiene che il Covid non esista, l’11% che il vaccino sia inutile e inefficace, il 31% che si tratti di un farmaco sperimentale cui i cittadini vengono sottoposti come cavie, mentre il 13% pensa che la scienza produca più danni che benefici. Secondo il 40% degli intervistati si sta andando verso «una sostituzione etnica» guidata da «opache élite globaliste», per il 6% la terra è piatta, per il 20% il 5G è uno strumento inventato per controllare le persone ed il 46% giudica negativamente il ruolo degli esperti nella comunicazione pubblica. Un mix di sentimenti anti-scientifici che ha indotto il Censis a parlare di un’ondata di irrazionalità e di ripresa di «superstizioni premoderne», una sorta di sonno della ragione e di «fuga nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico».
Questa lettura trova riscontro in altri dati e ricerche, anche precedenti al Covid e poco noti ai più, da cui risultano analoghe tendenze di ripresa dell’irrazionale rispetto al razionale. Ad esempio il recente studio della Accademia delle Scienze statunitense, secondo il quale il linguaggio dei libri pubblicati in lingua inglese e spagnola tra il 1850 ed il 2019 registra fino al 1980 un aumento costante dei termini associati alla razionalità, e da quel decennio in poi una inversione di tendenza ed un aumento di vocaboli legati alla sfera dei sentimenti e delle credenze irrazionali. Distinguendo i testi analizzati tra fiction e nonfiction, l’irrazionale mostra di essere più presente nella pubblicistica fiction, la quale a sua volta cresce di peso nel complesso dei volumi pubblicati (dal 5% al 35% dal 1975 in poi). Gli analisti dello studio collegano questo trend allo stallo della crescita economica dopo la ricostruzione post bellica a fine anni 70, allo sviluppo dei social media ed alla crisi economica del 2008.
Il collegamento tra sfiducia nella scienza e tendenza ad abbracciare teorie antiscientifiche e magiche, da un lato, e comunicazione social, dall’altro, ricorre sempre più frequentemente nelle analisi anche italiane. Ad esempio lo studio promosso da due università romane assieme alla Fondazione Mesit, e pubblicato a gennaio 2022, segnala il raddoppio del numero degli utenti ostili al vaccino anti Covid presenti sui social nella seconda metà del 2021. E sono numerosi i testi di filosofia della comunicazione e della scienza e di bioetica apparsi negli ultimi anni che indicano le colpe della comunicazione pubblica, sia quella degli scienziati che quella dei politici e della stampa, sostenendo che l’informazione, anche quella scientificamente fondata, non sempre produce una reale comprensione e una reale condivisione di idee, opinioni e dati scientifici, contribuendo così facendo a minare la “fiducia epistemica” in chi è deputato a ricercare le soluzioni migliori per la vita collettiva dal punto di vista scientifico. Molto inferiore è invece l’attenzione dedicata agli altri due elementi dello stallo e delle crisi economiche.
Rispetto a questo complesso di questioni, non va innanzitutto dimenticato che molte ricerche certificano la presenza di livelli di apprezzamento generale verso la scienza diffusi ed elevati. Per citare una delle ricerche italiane più recenti, quella condotta dal Cnr tra il 9 ed il 14 marzo 2020 segnala livelli di fiducia negli scienziati molto alti, visti come la fonte più affidabile dal 93% degli intervistati (più o meno quanti coloro che hanno aderito alla campagna vaccinale nell’ultimo anno), seguiti dai siti internet ufficiali (89,6%). Ed anche la fiducia nelle istituzioni rispetto alle misure di contrasto contro la diffusione del virus risulta nello studio Cnr particolarmente alta (75%), così come quella nelle autorità pubbliche competenti. L’indagine rileva addirittura la previsione di un incremento della fiducia nella scienza, secondo il 72,8% degli intervistati, della solidarietà tra cittadini per il 57% e della fiducia nelle istituzioni per il 54,4%.
Ma sarebbe sciocco sottovalutare il fenomeno, sia pur limitato numericamente, del distacco di una parte della popolazione dalla razionalità scientifica, perché in crescita secondo i dati citati, ed anche perché, come abbiamo potuto verificare in epoca di pandemia, è alla base di comportamenti che hanno contribuito a provocare morti e contagi evitabili – con grande danno per la collettività – oltre che tensioni sociali particolarmente aspre. Occorre piuttosto interrogarsi sulle cause profonde di questa ondata di sfiducia nella scienza, andando al di là delle troppo facili colpevolizzazioni nei confronti di istituzioni, scienziati o giornalisti – la cui autoreferenzialità, di cui li si accusa, è costitutiva rispetto al loro ruolo –, e soprattutto cercando di distinguere tra tendenze anti-scientifiche e forme di ribellione anti-statalista e anti- sistema, che in molti casi vi si aggregano con obiettivi di tipo strumentale.
Rispetto alla cosiddetta anti-scienza, va ricordato che la fiducia, anche quella nella scienza, si forma nella relazione tra sé e gli altri e nei processi di integrazione sociale. I nostri sentimenti e comportamenti dipendono in sostanza dal contesto in cui siamo immersi e dal modello di sviluppo di riferimento. I dati sulla crescita delle disuguaglianze e della povertà relativa ed assoluta, nonché quelli del malcontento rispetto alla situazione lavorativa e sociale, sono una spia da non sottovalutare come agenti di insicurezza, ansia e sfiducia. Più in generale l’incertezza che caratterizza la vita oggi, la precarietà sociale e occupazionale e, non ultima, l’intensità, la frequenza e la durata delle crisi economiche e sociali che si susseguono e che producono effetti negativi importanti per fasce ampie di popolazione, alimentano la paura del futuro, la ricerca di capri espiatori, l’odio per chi governa, e l’assenteismo elettorale, tutti fattori cui andrebbe dedicata maggiore attenzione.
In questo senso il fenomeno cosiddetto dei “No Vax” e dei “No Green Pass”, più che con la magia e l’irrazionalità, sembrano avere a che fare con il ciclo socio-economico e con il distacco tra società e istituzioni. Il che spiega anche il significato di altre evidenze recenti sul tema dell’“anti-politica”. Il tema della giustizia sociale e quello dello sviluppo sostenibile socialmente, economicamente ed ambientalmente acquistano allora una più corposa e profonda centralità, e non solo con riferimento alla lotta al virus.
Carla Collicelli (tratto dal quotidiano “Avvenire” del 25.1.22)