Riportiamo di seguito un pezzo tratto dal quotidiano Avvenire del 17 dicembre 2021, a firma di Nello Scavo. Continuiamo a pubblicare scritti ripresi dal quotidiano “Avvenire”, fonte, per noi della redazione e, ci auguriamo, per i nostri lettori, di buona e corretta informazione, nonché, in non pochi casi, d’ispirazione.
Non siamo i soli ad apprezzare il quotidiano “Avvenire”.
Recentemente al Direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, è stato assegnato uno dei premi “Gli Asini” 2021. Il Premio, organizzato dalla rivista “Gli Asini” diretta da Goffredo Fofi, si è svolto a Copertino (Lecce) il 31 ottobre ed è stato destinato a gruppi, artisti ed operatori che si sono distinti, nel corso dell’anno, per la loro attività.
Riportiamo la motivazione del Premio a Marco Tarquinio (tratto dal numero 93-94 della rivista “Gli Asini”) : “Erede di una grande tradizione e direttore di una grande testata, ha fatto del suo giornale il più importante quotidiano italiano, tutt’altro che “confessionale” anche se è l’organo della Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Grazie ad “Avvenire”, la grande storia del giornalismo italiano non si è fermata, nonostante le complicità e la sudditanza all’economia e ai suoi gestori e padroni che l’ha così pesantemente affossata. Oggi più che mai, nonostante la crisi della stampa quotidiana, “Avvenire” offre uno strumento di conoscenza della realtà e sulle idee dei nostri connazionali” (NdR)
Migranti. Cassazione: assolti profughi “ribelli”. Condannati i respingimenti in Libia
Due stranieri erano accusati di essersi opposti alla riconsegna a Tripoli. La Corte, sconfessando gli accordi Italia-Libia, ha ribadito il “diritto al non respingimento” verso “un Paese non sicuro”.
Una parola è bastata alla Corte di Cassazione per assolvere due migranti accusati di resistenza per essersi opposti al respingimento in Libia. Una parola per sconfessare anni di accordi tra Roma e Tripoli stipulati sulla pelle dei profughi prigionieri dei campi di detenzione libici.
“Affermativa”. Così la Sesta sezione penale ha risposto alla domanda posta nel ricorso dei legali dei due stranieri che erano riusciti a convincere l’equipaggio del rimorchiatore Vos Thalassa a non puntare la prua verso Sud, dove sarebbero stati consegnati alla cosiddetta guardia costiera libica, per dirigersi invece in direzione di Trapani.
La domanda riportata nel dispositivo della suprema corte riguarda la legittimità della “condotta di resistenza al pubblico ufficiale da parte del migrante che, soccorso in alto mare e facendo valere il diritto al non respingimento verso un Paese non sicuro, si opponga alla riconsegna alla Stato Libico”.
La corte (presidente Mogini, estensore Silvestri) ha risposto senza girarci intorno: “Soluzione: affermativa”. Motivazione fondata, come si legge nel dispositivo, sul codice penale italiano e corroborata dai pronunciamenti della Corte europea dei diritti dell’uomo e di tutte le Convenzioni internazionali sugli interventi di soccorso in mare.
La “notizia di decisione”, per quanto motivata in sole nove righe, contiene affermazioni dirompenti che, da oggi, sono giurisprudenza. Viene ribadito il “diritto al non respingimento” per quei migranti che in caso contrario verrebbero riportati “verso un Paese non sicuro”. Perciò giustificando l’opposizione “alla riconsegna allo Stato Libico”.
L’intera politica di trattative, molti delle quali riservate e dai contenuti tuttora sconosciuti, viene quindi sconfessata, poiché proprio l’Italia è stata e resta il principale Paese artefice della messa in opera dei meccanismi di cattura dei migranti in mare che vengono poi consegnati alle milizie libiche.
“Il giudice per le Indagini Preliminari di Trapani aveva ritenuto la condotta scriminata dalla legittima difesa poiché - spiegano gli avvocati Fabio Lanfranca e Serena Romano - i due giovani, fuggiti dall’inferno libico, avevano agito al fine di salvare sé e gli altri naufraghi dal rischio di patire nuove, gravissime lesioni dei diritti alla vita, alla integrità fisica e sessuale, a tutela della loro prerogativa di essere portati in un place of safety (luogo sicuro di sbarco, ndr) e di ottenere protezione internazionale”.
Il principio indicato dalla Cassazione va ben al di là delle aule giudiziarie. La vicenda, peraltro, era contornata da una serie di menzogne di Stato smascherate pochi giorni dopo.
Era il 10 luglio 2018 quando i migranti vennero accusati di avere “dirottato”, per usare le parole dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini (Lega), il rimorchiatore Vos Thalassa. Danilo Toninelli (M5s), allora ministro dei Trasporti parlò di "facinorosi". Una ricostruzione smentita pochi giorni dopo anche da fonti dello Stato Maggiore della Marina Militare. Un elicottero della Marina, infatti, aveva imbarcato un team di incursori che avrebbe dovuto compiere un blitz per ristabilire l’ordine e prendere il timone del rimorchiatore che aveva preso a bordo i 67 "facinorosi". «Eravamo pronti a saltare sulla nave per prenderne il controllo», avevano spiegato dall'ammiragliato ad Avvenire. Non ce ne fu bisogno. «La situazione era sotto controllo, l’allarme non era giustificato, nessun pericolo né per l’equipaggio né per i migranti». Il velivolo con la squadra speciale si era tenuto a distanza, senza farsi notare, ma aveva osservato e registrato tutti i movimenti sul vascello. Nelle stesse ore in cui il ministro dell’Interno parlava di «dirottamento», gli specialisti tornavano alla base non prima di avere comunicato l’annullamento della missione proprio alle autorità di Roma, assicurando che non vi era stato alcun ammutinamento dei migranti, poi trasbordati sull’ammiraglia della Guardia Costiera “Diciotti” e infine sbarcati a Trapani.
Dopo tre anni la Cassazione mette la parola fine a questa vicenda. Con un giudizio che la politica difficilmente potrà trascurare e che apre la strada a numerosi ricorsi a causa della cooperazione tra Roma e Tripoli proprio per operare, a spese del bilancio italiano, i respingimenti che la suprema corte ha confermato essere in violazione delle norme italiane e internazionali.
Nello Scavo “Avvenire” venerdì 17 dicembre 2021