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Il Cile ha un nuovo Presidente, giovane, progressista. Ha vinto, nelle recenti edizioni, contro il candidato di ultra-destra che, secondo i commentatori politici, assomigliava al Bolsonaro brasiliano. Una grande speranza di rinnovamento per il Cile, a partire dal cambiamento della Costituzione. L’attuale Costituzione, seppur con piccoli cambiamenti, risale ai tempi della dittatura di Augusto Pinochet. Il compito del nuovo Presidente, il 35enne Gabriel Boric, è davvero arduo. Potrà riuscirci se opererà “senza nostalgie di passato né fughe in avanti” ci ricorda Lucia Capuzzi, nel pezzo che segue, tratto dal quotidiano “Avvenire” del 21 dicembre 2021 (NDR)

 

Il nuovo Cile parte dal giovane Boric. «Un governo con i piedi sulla strada»

 

Sono solo coincidenze. È difficile, però, non notarle. La quota con cui l’ultraprogressista Gabriel Boric si è aggiudicato la presidenza cilena – oltre il 55 per cento, la più alta finora – è la stessa con cui le forze democratiche dissero «no» alla dittatura di Augusto Pinochet nel 1988. Un regime con cui il rivale sconfitto, l’ultra-conservatore José Antonio Kast, non ha mai tagliato i ponti. Con quel referendum, celebrato dalla letteratura e dal cinema, inoltre, sono cominciati i tre decenni della Transizione, processo incruento di ritorno alle libertà costituzionali, nel mirino del neo-eletto per «eccessiva moderazione». Corsi e ricorsi della storia nella lingua di mappamondo stretta tra le Ande e il Pacifico. Una terra abituata a fare i conti con le scosse telluriche della propria geografia e, per questo, capace – con qualche eccezione – di attutirle in politica. La vittoria di domenica di Boric, 35 anni, il primo presidente che la Transizione l’ha vissuta senza aver contribuito a costruirla, è stata una sorpresa per entità e partecipazione record. Eppure, in qualche modo, era nell’ordine delle cose. L’avvicendamento al potere tra una generazione e l’altra è un processo naturale – e sano – nelle democrazie. In Cile sarebbe, però, potuto avvenire in forma traumatica. Il malessere accumulato per l’incapacità del modello adottato di ridurre la diseguaglianza oltre alla povertà è esploso nelle proteste dell’ottobre 2019. Uno scoppio, appunto, estallido social, lo chiamano i cileni. Il sistema, però, si è dimostrato in grado di assorbire l’onda d’urto. L’accordo tra le forze politiche rivali sulla nuova Costituzione che sostituisse la Carta scritta durante il regime, seppur più volte riformata, ha dato avvio a una soluzione istituzionale alla crisi. Un percorso completato domenica.

Non a caso, Boric, l’ex leader studentesco che, nel corso dell’ultimo decennio, ha ripetutamente mobilitato la piazza, è stato tra gli artefici dell’intesa. Proprio la credibilità acquisita in quell’occasione gli ha consentito di essere scelto alle primarie alla guida di Apruebo dignidad, schieramento composto dalla sinistra del Frente amplio e dal Partito comunista. Certo, la violenza delle frange radicali dei manifestanti anti-diseguaglianza – una minoranza, ma con grande capacità distruttiva – hanno alimentato la paura di alcuni settori sociali. Questo spiega l’exploit di Kast, appartenente alla destra estrema, che con il passato dittatoriale ha sempre flirtato. Lo stesso Kast, politico in realtà più moderata del suo partito, al citato referendum del 1988, si era schierato per la continuità di Pinochet al potere. Allo stesso modo, oltre tre decenni dopo, l’avvocato 55enne era contrario alla Costituente, al lavoro dallo scorso luglio. La sua campagna, concentrata sul binomio sicurezza e ordine, ha puntato più sul ritorno a un passato «rassicurante» che sulla costruzione del futuro. La democrazia cilena, però, ha deciso di guardare avanti. Perché è pronta a farlo. Il comportamento dei due sfidanti lo conferma. Entrambi hanno moderato le proposte più radicali. Boric, in particolare, invece di “uccidere” politicamente i padri ha imparato a dialogarci.

Dal primo turno, ha smesso di sparare a zero su partiti e Transizione e ha iniziato a vederne gli indubbi meriti. Kast, da parte sua, ha subito riconosciuto la vittoria dell’avversario. E Boric gli ha teso la mano. In un’Alameda stracolma di gente si è impegnato a costruire ponti, pur rivendicato l’urgenza di «democratizzare» i servizi sociali di base, dalla scuola alla sanità alle pensioni. «Sarà un governo con i piedi piantati sulla strada non chiuso nelle stanze del potere», ha detto. La sfida è ardua. Per vincerla, il presidente eletto dovrà creare consensi ampi, tessere alleanze. Rassicurando, in primis, il mondo imprenditoriale, spaventato dal suo successo, come ha dimostrato il tonfo di quasi 7 punti delle Borse. E negoziando con un Parlamento frammentato. Senza nostalgie di passato né fughe in avanti.

 

Lucia Capuzzi (tratto da “Avvenire” del 21 dicembre 2021)