Elegia dell’Assenza (Pablo Neruda – 1974)
Cosa si portò via La Casa?
Benefica ironia, rettitudine
di nascita e di conoscenza:
la sua precedente compagnia di Madrid,
il segreto eroismo
del suo cuore stanco!
Ahi! compagno morto!
Camminando di nuovo
spuntano l'inverno e l'asprezza
del campo, spine, sterpi, cordigliere,
nella mia patria spinosa,
ricordo Alberto e il suo volto di condor
lo scultore dalle mani di metallo
che fece delle sostanze disprezzate,
sparto, ferri rotti, legni morti,
un possente Regno.
Lì a Mosca, sotto la neve,
giace il duro scheletro toledano
del mio buon compagno. Compagno!
II
Che persi, che perdemmo
quando Nazim cadde come una torre,
come una torre azzurra che si abbatte?
E talvolta mi sembra
che il sole sia andato con lui perché era il giorno,
Nazim era un gran giorno dorato,
e fece il suo dovere di albeggiare
malgrado le catene e i castighi:
Addio, splendente compagno!
Savic dolcissimo fra San Basilio
e le dimore dell'Aeroport,
o nel quartiere di Arbat, ancora misterioso,
travasando il mio vino cileno
nella pelle di tamburo del suo linguaggio.
Savic, si è perduta con te l'ape
d'oro,
che fondò lì il miele del mio alveare!
Mio dolce amico, compagno puro!
N.B. Sono riportati i primi due di trenta paragrafi
(segnalato da Maria Colaizzo)