di A. Gramsci
Non vedo più: come te, come Edipo,
ora non vedo più.
Consapevolmente,
l'ho voluto...
E non m'importa, non soffro,
non piango, non è rimasto
alcun sapore amaro sullemia labbra
e in un cuore ingenuamente bambino.
E ancora: nessuna sottile nostalgia
renderà le mie ore
più malinconiche, né farà, della mia,
una vita più aspra di quanto già sia.
Non mi dispera
non poter più soffermare lo sguardo sui visi amati.
Non ho mai subìto appieno il fascino di un volto, di belle
membra, idoli precari, mistificanti feticci. Di una mano, invece,
non riesco a narrare con sufficiente efficacia il fascino
indiscreto, al quale non mi è concesso resistere. Mano
dell'amico che stringe la mia come fosse la prima o l'ultima volta.
Ora che non vedo più, è la mia mano che esplora in una sola
carezza, delicatamente, il tuo viso e tutti i piccoli o grandi
volti sorridenti corrucciati morbidi rugosi di coloro che amo.
Ciò che mi circonda, d'improvviso, lo vedo con altri occhi, quelli
delicati di un animo fanciullo come il tuo. Vedere è "sentire", ora lo so:
finalmente il fiore del tuo insegnamento ha donato il rosso frutto
prezioso. Sento il cielo, sopra noi tutti: ci contiene e ci protegge,
gli astri, d'oro puro, trasmettono all'animo un'energia insperata,
il blu intenso narra misteri d'insonni notti in attesa di "non-si-sa-che...".
L'alba ci rende i colori di una resurrezione, li sento vibrare
nei miei pensieri, con le mie emozioni, gialli girasoli impazziti.
S'incendia il cielo, lo sento. Brucia, là in fondo all'anonima pianura
o dietro colli armoniosi, il tramonto dell'immensa stella, metafora
di ogni amore, di ogni speranza, di ogni respiro, generosa
dispensatrice di calore, di vita, di colori, di ideali. E sento anche
il calore di un fuoco che sostiene e indica una strada, l'unica,
insostituibile strada: è rosso, il calore; si sprigiona come sovrumano
incantamento dallo straccetto avvolto al collo delle donne dell'8 marzo,
bellezze d'ogni età, gialle come la mimosa, che tengono alta in una mano,
insieme all'altissimo vessillo da noi sempre amato, rosso simbolo
di una passione, di una lotta che sconvolge poteri e libera l'intera umanità.
Sento, vivo, il profumo del verde prato vicino alla tua casa, Maestro:
infonde serenità, pace. Ho l'intatta sensazione di una balsamica freschezza,
nuova, mai sperimentata, neppure immaginata. Maestoso il platano diffonde
un'ombra, che sento e mi fa rabbrividire solo un poco. Violette, primule
fucsia gialle rosse, lì presso, annunciano che quanto c'è di meglio, negli
umani, non decade mai. Rinasce primavera così come si rinnova
ad ogni stagione un'amicizia vera e profonda. Scorre, trasparente,
rapida, cantando, l'acqua nella roggia vicino alla tua casa, Maestro;
limpida, come l'animo che da sempre tu hai forte, temprato, non
indifferente alle sofferenze dei tuoi simili. La sento zampillare, tintinnare.
E' lo specchio dei miei pensieri, dell'ansia di conoscere che mi divora da
sempre, del piacere intenso che dà a te, a me, pensare, amare, vivere –
semplicemente vivere – una vita, necessaria a qualcuno, utile a noi stessi, incalcolabilmente ricca.
Tratto da: Maria Colaizzo “La Scuola Marginale” Edizioni Millerighe 2015