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Salute per tutti.

La recente pandemia da COVID ancora non sconfitta, è attualmente in fase di remissione. Grazie ai vaccini, alla conoscenza diffusa delle misure di prevenzione (mascherine, distanziamento, lavaggio frequente delle mani), al lavoro dei medici che stanno imparando a trattare efficacemente la malattia. Nel primo periodo, febbraio marzo 2020, ormai un’epoca fa, si sono contati, anche in Italia, talmente tanti morti, da far paragonare la pandemia ad un evento bellico. Tanti morti in ospedale, tanti morti al di fuori dell’ospedale. La pandemia ci ha insegnato che occorre ricoverare in ospedale il minor numero di malati possibile. Le persone affette da Covid vanno curate prima, anche nelle proprie case, da parte di coloro che si occupano di medicina territoriale.

Mentre è a tutti chiaro il ruolo dell’ospedale, meno chiaro è il ruolo della medicina territoriale. Chi deve curare le persone sul “territorio”? Distretti, medici di medicina generale (MMG), pediatri di libera scelta, specialisti ambulatoriali, medici di continuità assistenziale, medici del 118 (emergenze territoriale), strutture private accreditate (laboratori, radiologie, cliniche private) etc. Che caos. Troppe competenze e nessuno che riesca a coordinarle. Il cittadino va in confusione, non trova risposte appropriate e ….si rivolge al pronto soccorso dell’ospedale. Occorre dunque riorganizzare la medicina del territorio per far sì che si realizzi una risposta adeguata che eviti il ricorso all’ospedale. Rendere più accessibili ai malati i servizi sanitari territoriali. Ma come?

Da circa 20 anni si sperimentano modelli di riorganizzazione della medicina territoriale con alterne fortune; in alcune regioni italiane (poche) va meglio; in altre (la maggioranza) le persone, colpite da una patologia grave, continuano ad affidarsi all’ospedale e non trovare risposte da parte della medicina territoriale. Se non risposte amministrative e, molto difficilmente, una reale presa in carico dei problemi di salute dei malati.

Altra considerazione: dopo 20 anni di tagli, negli ultimi due anni, grazie al COVID sono aumentati i soldi destinati alla sanità, si sono clamorosamente sbloccate le assunzioni di medici, infermieri ed altro personale sanitario, tecnico ed amministrativo. Il Covid ha rappresentato una vera boccata d’ossigeno per il martoriato servizio sanitario nazionale (SSN); è ipocrita negarlo.

Oltre al potenziamento delle risorse correnti per il SSN, stanno per arrivare “risorse (soldi) freschi” per ospedali e medicina territoriale, in base a quanto previsto da missione 6 del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza (PNRR). E’ chiaro come verranno spesi questi soldi per l’ospedale: primo, ristrutturazioni edilizie; secondo: informatizzazione e potenziamento tecnologico. Molto meno chiaro cosa, il governo dei presunti super esperti, voglia fare per potenziare la medicina del territorio. Ovvero le proposte di modelli organizzativi ci sono (Case di Comunità, Ospedali di Comunità, Assistenza Domiciliare) ma non si vede come potranno essere realizzate, tranne nelle poche regioni dove questi servizi già ci sono e funzionano. Per quale motivo? Semplice: i MMG, o medici di famiglia, chiamateli come più vi piace, non hanno intenzione di andare a lavorare nelle Case di Comunità e negli Ospedali di Comunità. Dovrebbero rinunciare al loro status attuale di liberi professionisti (come amano definirsi) e passare alla dipendenza (come i medici ospedalieri, per intenderci) o medici convenzionati (come i medici delle strutture private accreditate). Cosa che la maggioranza di loro non è assolutamente intenzionata a fare. Lo rappresentano continuamente i sindacati più rappresentativi dei MMG (FIMMG, SMI etc.). I soli favorevoli, al passaggio alla dipendenza dei MMG, sono i sindacati confederali (CGIL CISL UIL) anche con cospicue differenze tra di loro.  Peccato che i sindacati confederali contino davvero molto poco tra i MMG.

Dunque, ricapitolando, con i soldi del PNRR forse si cambierà faccia agli ospedali; poco o nulla si potrà fare, in pratica, per la medicina del territorio. Se non si coinvolgono i MMG (i veri primari della medicina territoriale, secondo alcuni), nulla cambierà. Se non si migliora il funzionamento della medicina del territorio siamo punto a capo. L’ospedale rimarrà il centro, se non l’unico in grado di fornire una risposta appropriata alla domanda di salute. La gente continuerà a rivolgersi ai pronto soccorso ospedalieri, perché non trova risposta efficace altrove.

Il miglioramento della medicina territoriale è un argomento “politico” che riguarda tutti. Non solo gli addetti ai lavori. Come la recente pandemia ha dimostrato se peggiora lo stato di salute di intere comunità, non solo piangiamo più lutti, ma si ferma la produzione, si bloccano le imprese, soccombe l’economia, crollano le borse e si fermano le attività culturali e sportive. Allora un concetto deve essere chiaro: il “Pensa alla Salute” è un messaggio politico prioritario.

Per contribuire alla discussione su come migliorare la medicina territoriale ospiteremo una serie di contributi per cercare di fare chiarezza sul tema. Ripetiamo: discussione “per tutti”, non solo per gli addetti ai lavori. Va posto al centro della discussione politica e culturale, la piena applicazione dell’art.32 della nostra meravigliosa Costituzione, la difesa e l’attualizzazione della legge di riforma sanitaria del 1978, un reale e visibile miglioramento della medicina territoriale. Vedremo come.

 

RL