Tratto da: Overtime - storie a spicchi
1992: Charles e Veronica Adetokunpo scappano dalla Nigeria per darsi una seconda possibilità in Europa, lasciando il loro unico figlio, Francis, a Lagos. Finiscono in Grecia, ad Atene, dove pochi mesi dopo nasce il secondogenito Thanasis.
1994: gli Antetokounmpo, ai quali nel frattempo è stato cambiato il cognome “traducendolo” in lingua greca, danno alla luce Giannis.
2002: Thanasis e Giannis, 10 e 8 anni, passano giornate intere nei vicoli di Sepolia, uno dei quartieri più poveri della città, vendendo borse, occhiali, scarpe, orologi di marche famose taroccate. Quando riescono a vendere qualcosa, portano subito i soldi a casa per aiutare la famiglia. Sono sere di festa, perché con il ricavato del giorno riusciranno a mangiare.
2004: Thanasis, Giannis e l’ultimo arrivato Kostas, 7 anni, ogni giorno, sono presi di mira dalla gente del posto. Di ritorno a casa, mamma e papà suggeriscono di dare meno nell’occhio, di non farsi notare, di non reagire. Se la polizia arrivasse a uno qualsiasi di loro, non ci sarebbero alternativa al rientro in Nigeria. Una terra che nessuno di loro avverte come propria: i ragazzi si sentono greci a tutti gli effetti. Sono nati in Grecia, parlano greco, studiano greco, vanno a scuola in Grecia, ma per la legge non sono niente, nemmeno nigeriani. Sono clandestini senza cittadinanza, neri, in un momento storico in cui la crisi economica del Paese sta facendo emergere pericolose istanze estremiste che identificano nel diverso il nemico da estirpare.
2008: un allenatore di alcuni ragazzini del quartiere invita Thanasis e Giannis nella palestra di Sepolia, per giocare a pallacanestro. I 2 si alternano perché hanno un solo paio di scarpe a disposizione, e vanno avanti così per mesi.
2009: Thanasis e Giannis sono ormai proiettati verso il basket, sognano di diventare giocatori, raccontano a mamma e papà di ogni singolo allenamento. Per arrivare alla palestra il percorso è lungo, circa 8 chilometri, ma tutto viene ripagato dalla possibilità di correre per tutto il campo e inchiodare la palla nel canestro. Spesso, stremati dai due allenamenti di giornata, finiscono col dormire in palestra su materassi e brandine di fortuna. Dovendosi allenare la mattina seguente, tornare non ha senso.
2010: Thanasis e Giannis sono fisicamente cresciuti a dismisura. Il primo sfiora i 2.10, il secondo ha superato di molto i 2 metri. Un collaboratore dell’agente greco Alex Seratis ha la fortuna di entrare nella palestra di Sepolia e si innamora del più piccolo dei fratelli, del quale inizia a raccogliere video e testimonianze di ogni tipo. Sono entrambi finiti nelle giovanili del Filathlitikos, in seconda divisione greca.
2011: il collaboratore di Seratis avvicina Giannis per offrirgli la possibilità di diventare un giocatore, un giocatore vero. Gli suggerisce una dieta, gli garantisce più pasti al giorno che ritiene necessari per far crescere il ragazzo. Lui accetta, ma a patto che quei pasti siano offerti anche al resto della sua famiglia, sennò non se ne fa nulla. Per la prima volta dal 1992, un piatto a tavola per tutta la famiglia Antetokounmpo non è un miraggio, è realtà.
Febbraio 2013: Giannis non sta nella pelle. Dopo 3 anni di duri allenamenti e un corpo che ha risposto benissimo alla nuova alimentazione ha la possibilità di partecipare a un torneo internazionale, con scout di tutto il mondo. Tra questi c’è Jonathan Givony, la mente dietro DraftExpress, analista di ESPN. Jonathan è estasiato dal ragazzo con cui decide di fare due chiacchiere alla fine di una partitella. Che sogni di diventare da grande? Gli chiede. “Voglio diventare un giocatore NBA” è la risposta. L’altra domanda di rito è se ci sia un giocatore a cui si ispira. Un ragazzo di nemmeno 18 anni, di 2 metri e 5 e con un fisico ancora tutto da costruire risponde, convinto: “Allen Iverson”.
Maggio 2013: su Giannis Antetokounmpo hanno messo gli occhi più franchigie NBA. Seratis, che negli anni aveva solo sentito parlare di lui curandone sempre il percorso con i suoi collaboratori sceglie di volare fino ad Atene. Appena vede il ragazzo, resta a bocca aperta e capisce di avere davanti qualcosa di unico. Il 9 maggio, in previsione di quello che sta per accadere, a Giannis viene riconosciuta la cittadinanza greca per meriti sportivi. Dalla politica alla gente comune parte un moto di indignazione di puro stampo razzista. Non la merita, non è greco, non è un nostro figlio, dicono i cavernicoli del Paese.
25 giugno 2013: per il New York Times la possibile scelta del primo giro Giannis Antetokounmpo farebbe bene a passare un paio di stagioni in Europa per farsi le ossa, troppo azzardato lanciarsi tra i pro americani.
27 giugno 2013: Seratis ha convinto Giannis a volare con lui per il draft NBA di New York. Ha ottime sensazioni, è convinto che il nome del greco possa essere tra quelli chiamati al primo giro. Fa carte false per portarlo negli States, regolarizzare la sua posizione, ottenere un passaporto e un visto, ma la prima risposta che Giannis gli da è che senza genitori non farà quel viaggio. Con la promessa che prendere quel volo potrebbe però cambiargli la vita, sia lui che Thanasis quella sera del 27 giugno stanno ascoltando David Stern chiamare un nome dopo l’altro. E alla numero 15, quando tocca ai Milwaukee Bucks, il nome che Stern fa tra mille difficoltà di pronuncia è proprio quello di Giannis. Un sogno. Che da 18enne alla prima esperienza assoluta in uno stato diverso vive con indosso la bandiera della Grecia, la sua casa.
3 luglio 2013: Giannis chiede per l’ennesima volta a Seratis quando arriveranno i suoi genitori. Ogni giorno li sente per avere aggiornamenti, al draft e all’NBA nemmeno ci pensa. Resta però il problema del passaporto e della cittadinanza. Respinti la prima, respinti la seconda, alla terza volta viene accettato il visto e dato il passaporto a mamma e papà Antetokounmpo, che abbracciano il figlio a Milwaukee.
Settembre 2013: arriva il primo stipendio dai Bucks. Non è tutto quello che pensava di avere però, così Giannis chiede al veterano del roster Zaza Pachulia se ci fosse un modo per non pagare le tasse che tanto avevano inciso.
Ottobre 2013: quando capisce che nell’area di “ristoro” della squadra può praticamente prendere ciò che vuole, un giorno riempié 3 buste portando scorte in casa per risparmiare soldi e poter girare per intero lo stipendio alla famiglia.
Novembre 2013, 3 ore a una partita casalinga dei Milwaukee Bucks. Giannis è stato in un punto Western Union per trasferire dei soldi alla famiglia nel frattempo rientrata ad Atene. Ha dato tutto, persino gli spiccioli che aveva in tasca. Al punto che non ha niente per prendere il taxi. Alla gara mancano 2 ore e 45 e per non fare tardi non avendo altro modo di arrivare all’arena, inizia a correre. Ad aiutarlo, dopo averlo riconosciuto, sono una coppia di amici che lo accompagnano in auto.
4 dicembre 2013: il veterano Caron Butler, alla fine di un allenamento, sta gettando un paio di scarpe usate nel cestino. Giannis gliele scippa da mano urlando che quelle sono scarpe nuove e non si possono buttare.
6 dicembre 2013: per il suo 19esimo compleanno Giannis riceve un paio di Gucci da Larry Sanders. Sono simili alle scarpe che vendeva a Sepolia, contraffatte, ma sa esattamente quale sia il valore di quelle originali. Si rammarica, non può pensare che un amico abbia speso così tanto per lui e gli promette di tenerle sempre in un posto riservato usandole solo per occasioni speciali.
6-7 dicembre 2013: Giannis si fa un regalo, la Playstation 4. Solo che costa così tanto che sceglie di rivenderla il giorno dopo al vice allenatore della squadra Nick Van Exel.
Aprile 2014: Giannis chiude il suo primo anno di NBA a 6.8 punti a partita. Nessuno ci fa caso, ma un paio di mesi dopo in off-season twitta “Non lascerò mai la squadra e la città di Milwaukee fin quando non costruiremo una squadra da titolo”.
Aprile 2015: i punti diventano 12.7 a notte.
Aprile 2016: si sale ancora, 16.9 a gara.
Aprile 2017: si scollina oltre i venti, a 22.9 a partita. Il suo nome è nei 5 del secondo miglior quintetto dell’anno. Vince il premio di giocatore più migliorato.
Aprile 2018: a quasi 27.0 di media, il nome di Giannis è a pieno titolo tra i migliori giocatori NBA, ancora nel secondo quintetto della stagione.
Aprile 2019: Giannis riceve il primo MVP e entra nel primo quintetto NBA. A giugno Kobe Bryant, che aveva previsto il premio, fissa il suo prossimo obiettivo: vincere il titolo.
Luglio 2020: Giannis riceve il secondo MVP, il premio Difensore dell’anno ed è di nuovo nel primo quintetto NBA. Fa registrare il PER più alto della storia per una singola stagione, superando persino quello di Wilt Chamberlain.
Febbraio 2021: Giannis è l’MVP dell’All Star Game
21 luglio 2021: Giannis è campione NBA, ha portato i Bucks al primo titolo dopo 50 anni ed è stato nominato MVP delle Finals. Con lui c’è Thanasis, lo scorso anno coi Lakers a mettere l’anello seppur con un ruolo marginale è stato Kostas. 3 fratelli, storie uguali, stesso lieto fine.
Il cognome originale degli Antetokounmpo era Adetokunbo. Ancora oggi, quando lo si legge, si pensa sia un errore di battitura. In nigeriano ADE vuol dire RE, un segno del destino.
Oggi, quel ragazzo che per 18 anni non ha avuto una cittadinanza, il ragazzo che ha superato razzismo, fame, povertà, il ragazzo cresciuto da ambulante nei vicoli di Sepolia all’alba di uno dei più complicati periodi storici in cui anziché integrare il diverso si è preferito puntare il dito contro il diverso, il ragazzo che con il fratello maggiore ha diviso equamente l’unico paia di scarpe per allenarsi, oggi, rende onore a quel cognome: Campione NBA, Miglior giocatore delle Finals.
Se tutto questo vi sembra un sogno non siete tanto lontani dalla realtà. La vita di Giannis sarà una di quelle favole da raccontare per anni e anni, sarà di ispirazione per tanti ragazzini, darà loro speranza, forze, entusiasmo per andare avanti inseguendo un sogno.
Fino ad aver vinto tutto ciò che un giocatore NBA può vincere, ma ad appena 26 anni. Senza scappare dalla sua Milwaukee, preferendo vincere come nessuno ha fatto prima nel basket moderno. A modo suo, a casa sua, tra la sua gente, senza dimenticare i suoi valori, la famiglia, quella che cerca immediatamente dopo la sirena finale mentre tutti fanno festa.
Ci sarebbe ancora tanto, troppo da dire per un ragazzo che ha avuto l’umiltà di imparare, lavorare, cadere, rialzarsi, crederci sempre. Senza mai considerare alcun traguardo come punto di arrivo ma continuando la sua scalata al vertice, imbarazzandosi ancora oggi per la presenza a bordo campo di chi anni fa vedeva giocare solo in tv senza rendersi conto che oggi, il campione che tutti guardano in tv, è lui. Vivendo con serenità il ruolo di volto della lega, della Grecia, di un basket globale, di giocatore spesso derubricato a fenomeno atletico e privo di tecnica prima di tutto da colleghi e avversari, poi da amanti e tifosi che non hanno realmente colto il viaggio che in soli 8 anni ha portato chi sognava di diventare giocatore NBA a diventare il campione tra i campioni.
Goditi ogni momento di questa giornata, Giannis. Se c’è qualcuno che merita di vivere tutto questo, sei esattamente tu. La dimostrazione più grande che il basket non fa sognare: il basket è un sogno.
Segnalato da Rocco Maria Landolfi