Lo scritto che segue, a firma di Francesco Attena, Professione Ordinario di Igiene presso l’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” è tratto dal volume “Il Sistema Salute tra Diritti e Sostenibilità.” a cura di Gianfranca Ranisio, Beatrice Fiore, Antonio D’Antonio, collana “I Quaderni del Master” edito da “Ad Est dell’Equatore” 2020.
La collana “I Quaderni del Master”, giunta ormai al
quinto volume (il sesto, “Storie di Covid” è in corso di stampa), curata in
particolare da Antonio D’Antonio, è una interessante rassegna di pubblicazioni,
sui servizi sociali e sanitari italiani, nata all’interno dei Master in
“Management dei servizi Socio-Sanitari” del Dipartimento Scienze Sociali
dell’Università Federico II di Napoli.
Lo scritto di Francesco Attena, post fazione del
volume, ci aiuta a riflettere sulla sostenibilità dei servizi sanitari, in
alcuni paesi d’Europa, ai tempi del coronavirus. Buona Lettura (RL):
Nel corso degli
innumerevoli dibattiti sul COVID-19 sono emerse svariate considerazioni circa
la risposta che ha fornito il nostro SSN nel suo impatto con la pandemia. Da un
lato, ci sono stati i doverosi elogi al personale impegnato nell’assistenza (i
famosi “eroi” della retorica nazionale). Dall’altro lato sono piovute numerose critiche
relative alle carenze organizzative, la conflittualità fra Stato e Regioni, la
insufficiente quantità di medici, infermieri, posti letto, etc., in sintesi sembra
essere emersa la scarsa efficienza e sostenibilità del nostro SSN in corso di crisi
epidemiche. In alcuni casi effettuando anche confronti con altre nazioni
maggiormente capaci di gestire tale emergenza, tipicamente la Germania.
Per sintetizzare
la questione della nostra sostenibilità in generale e rispetto ad altre nazioni,
prenderò come caso emblematico proprio il confronto con la Germania,
rispondendo a questa apparente contraddizione: se la Germania è tanto
efficiente, come mai in molte classifiche internazionali dei SSN risulta molto
più indietro rispetto all’Italia, per esempio: OMS 2000: Italia 2°, Germania
25°; Bloomberg 2018: Italia 4°, Germania 23°?
Cercherò, quindi,
di risolvere questa apparente contraddizione, partendo dal concetto di
efficienza e restituendo all’Italia qualche merito ingiustamente ignorato in
queste critiche.
Come è noto una
delle svariate definizioni del concetto di efficienza è quella riconducibile al
rapporto outcome (esito sanitario)/input (risorse impiegate), ovvero quante risorse
sono necessarie per ottenere un certo risultato in termini di (miglioramento
della) salute. Pertanto l’efficienza di un sistema si può aumentare in due
modi: o diminuendo l’input a parità di outcome, o aumentando l’outcome a parità
di input, pertanto quanto minore è l’input (la spesa) e quanto maggiore è
l’outcome (la salute) tanto più efficiente risulta un sistema. A livello più
macro possibile di SSN (e semplificando non poco) il rapporto outcome/input potremmo
farlo corrispondere al rapporto fra la sopravvivenza media della popolazione
(outcome) e i costi complessivi di un SSN (input) (con tutti i limiti di questa
relazione,in quanto la sopravvivenza non dipende solo dalle qualità dei SSN!).
Orbene, in base a
questa macro-relazione l’Italia risulta uno dei Paesi più efficienti dell’occidente
perché ha costi complessivi più bassi della media e sopravvivenza più elevata
della media sia europea che OCSE (OCSE, 2019) e anche da questa relazione scaturiscono
le ottime posizione nelle classifiche internazionali. La Germania, invece,
risulta avere una spesa pro-capite assai elevata, e inferiore solo a Stati
Uniti (notoriamente fuori scala e fuori controllo) e Norvegia. Un esempio è
quello del numero di posti letto per mille abitanti che è più del doppio di
quello italiano, comportando, in termini economici, un spreco di risorse a
causa di una bassa occupazione (o di una elevata inappropriatezza) degli stessi
che ne pregiudica, almeno teoricamente, anche la qualità delle prestazioni,
soprattutto delle più complesse, secondo il noto rapporto fra i volumi di
attività e la qualità degli esiti. Lo stesso dicasi dei posti letto nelle
terapie intensive, 4 volte quelle italiane, e praticamente in gran parte vuote
in condizioni di normalità sanitaria. Quindi, la bassa efficienza del sistema
tedesco in condizioni di normalità diventa improvvisamente la sua qualità
maggiore in corso di epidemia, ovvero la Germania, grazie alla macro-inefficienza del suo sistema
sanitario, è riuscita a rispondere meglio alla pandemia.
Perché l’Italia
riesce ad avere costi così bassi e a soddisfare tutto sommato in maniera più
che accettabile la domanda di salute pur avendo, ad esempio, un parametro di
posti letto fra i più bassi del mondo? Soprattutto per la incisiva razionalizzazione
e riduzione dell’assistenza ospedaliera (vedi decreto 70/2015), la costruzione
di numerose strutture assistenziali intermedie per dare alternative alla
riduzione dei posti-letto ospedalieri (ospedali di comunità, case della salute,
hospice, etc.), la definizione e controllo sulla corretta applicazione dei LEA (DPCM 12 gennaio 2017 e DM 12 marzo 2019), la costruzione
di indicatori di qualità (Decreto 21 giugno 2016), il Piano Nazionale Esiti, il Piano
Nazionale Cronicità, il monitoraggio degli eventi avversi, etc. (Ovviamente,
per ragioni di spazio, e perché la discussione è centrata solo su grandi
numeri, stiamo semplificando al massimo la situazione italiana. Se infatti
passiamo da una analisi grossolana ad una più approfondita e multidimensionale
il nostro SSN presenta grandi sacche di disorganizzazione e micro-inefficienze.
L’ Euro Health Consumer Index 2017 è infatti più impietoso di altri organismi
internazionali e classifica l’Italia al 20° posto su 35 nazioni, con la
Germania al 7°; come al solito tutto dipende da quali indicatori vengono utilizzati).
Tutta questa
macro-efficienza ha però un prezzo, quando irrompe improvvisamente una
pandemia. Sembrerebbe, quindi, che la morale della favola sia avere una
sufficiente riserva di posti-letto, terapie intensive, personale, etc., per
trovarsi preparati, anche a costo di consumare, per un tempo indefinito,
inutili risorse. Ma non è questa la vera soluzione.
Pertanto, se una
delle parole chiave per un SSN sostenibile è, in condizioni di normalità
sanitaria, “efficienza”, in corso di pandemia la parola chiave diventa
“flessibilità”, ovvero la capacità di un sistema di adattarsi al mutare delle
condizioni ambientali, nel caso specifico al mutare delle condizioni
epidemiologiche.
E qui casca
l’asino per l’Italia! Flessibilità significava avere un Piano Pandemico
Nazionale aggiornato che consentisse al SSN di rispondere adeguatamente, e in
tempi rapidi, a tutte, o alla maggior parte, delle emergenti esigenze in corso
di pandemia.
E qui mi fermo
perché il tema è stato ampiamente dibattuto sia in ambito istituzionale che
giornalistico.
Francesco Attena