L’autodeterminazione può essere intesa come espressione della libertà positiva dell’uomo e quindi della responsabilità ed imputabilità di ogni suo volere o azione.
In senso individuale: l’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria espressione. Il diritto all’autodeterminazione è il riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente dell’individuo.
In senso collettivo: principio in base al quale i popoli hanno il diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo e di essere liberi da ogni dominazione esterna. Il principio di autodeterminazione fu proposto durante la rivoluzione francese e poi riproposto, con diverse accezioni, da statisti quali Lenin o Wilson. Tale principio implica la considerazione dei diritti dei popoli in contrapposizione a quella degli Stati, intesi come apparati di governo (definizione ripresa da Enciclopedia Treccani).
Venendo all’ambito sanitario, il principio di autodeterminazione, è profondamente mutato nel corso della storia della medicina.
Il cambiamento della sede del processo decisionale, dal medico al paziente, ha segnato il passaggio da un atteggiamento “paternalistico” del medico alla cosiddetta alleanza terapeutica.
Il medico ha il dovere di fare il bene del paziente, ripristinando l’ordine della natura, sconvolto dalla malattia; il malato non può accettare che come buono ciò che il medico propone ed ha quindi il dovere di accettarlo (principio ippocratico). In tale visione etico-naturalistica, il medico era una specie di sacerdote e aveva potere sulla vita e sulla morte dei pazienti che a lui si affidavano.
Il cristianesimo ha teso ad universalizzare l’etica ippocratica e, nel corso dei secoli, si cominciò a parlare di missione del medico, medico come missionario.
Nel medioevo la medicina e la salute rimasero essenzialmente doni di Dio. La malattia era qualcosa che turbava l’ordine naturale delle cose ed il medico era l’unico abilitato ad intervenire; il paziente non aveva né le conoscenze, né l’autorità morale per contrastare il volere del medico.
L’atteggiamento paternalistico del medico sopravisse dunque per tempi lunghissimi.
Nel 1847 Thomas Percival pubblica, sulla rivista dell’American Medical Association, un articolo che divenne la base del primo codice di deontologia medica. In tale scritto venne codificato il diritto del malato all’informazione, pur persistendo il diritto del medico al cosiddetto “inganno caritatevole” in caso di prognosi sfavorevole.
Furono il processo e la sentenza di Norimberga e la dichiarazione di Ginevra del 1948 ad introdurre internazionalmente il principio del malato all’autodeterminazione, in seguito ripreso da tutti i codici di deontologia medica.
Il rapporto medico malato è quindi oggi costruito su una relazione equilibrata che pone sullo stesso piano la libertà di chi assiste e di chi viene sottoposto a cure.
Il consenso informato è divenuto quindi un fattore di espressione della libertà del singolo e si colloca tra i diritti fondamentali degli individui.
La prima condizione di validità del consenso informato è rappresentata dalla corretta informazione che deve essere fornita da parte del medico al paziente sul trattamento sanitario, sugli eventuali rischi connessi e sulle eventuali possibili alternative; il secondo elemento di validità dell’atto è costituito dall’espressione personale del consenso, da parte dell’avente diritto o del legale rappresentante se trattasi di incapace.
L’art. 13 della nostra Costituzione riconosce l’inviolabilità della libertà personale. All’art. 32 della Costituzione si legge che: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, la quale non può, in ogni caso, violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
La Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, n.833/78, stabilisce che gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari; qualora previsti, i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), come nel caso del disagio psichico, devono comunque rispettare la dignità della persona, compresi i diritti civili e politici e, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura.
Il principio di autodeterminazione, in ambito sanitario, è divenuto, nel tempo, base della libertà di scelta; tale principio va costantemente monitorato per renderlo adeguato ai cambiamenti politico-culturali, alle conquiste della scienza, all’offerta diagnostica e terapeutica, sempre più sofisticata e potenzialmente efficace.
RL