Perché il 20 settembre, data della Breccia di Porta Pia, della presa di Roma da parte dell’esercito italiano, non è festa nazionale? Lo Stato della Chiesa durò molto a lungo, più di un millennio. Lo stato pontificio infatti durò dal 750 al 1870. Una teocrazia con a capo il Papa, come guida religiosa, politica e militare. L’arrivo dei soldati di Vittorio Emanuele II, ne determinò la capitolazione. Quindi non c’è di meravigliarsi quando si parla di potere terreno della Chiesa. Più di mille anni Roma è stata capitale dello Stato Pontificio. Sono invece “solo” 150 gli anni che ci separano dalla caduta dello Stato Papale con l’annessione di Roma e di tutto il territorio dello stato pontificio all’Italia. Occorre ricordarsene quando si riflette sul potere temporale della Chiesa che, attualmente, governa un piccolo stato, il Vaticano, ma ha influenza religiosa su miliardi di persone in tutto il mondo, ed ha governato per un lungo periodo, parte dell’attuale Italia Centrale (Lazio, Umbria, Romagna).
Anche nel 1870 Roma viveva grandi contraddizioni. Era una città sporca, strade che si allagavano dopo un po’ di pioggia, alto tasso di criminalità. Eppure Roma, durante il risorgimento, era città amata da tutti gli intellettuali che, appena vi mettevano piede, non volevano più andarsene.
Sembra proprio che le cose non siano molto differenti dall’oggi.
Nel 1871, dopo il plebiscito del referendum (tra gli aventi diritto al voto solo lo 0,1% votò no all’annessione), Vittorio Emanuele II decise di trasferirsi (si dice a malavoglia) a Roma. La capitale d’Italia fu trasferita da Firenze a Roma ed il 20 settembre divenne festa nazionale.
Nel 1930 con i Patti Lateranensi, accordi sottoscritti tra Regno d’Italia e Santa Sede, si decise l’abolizione della festa nazionale del 20 settembre. I Patti, revisionati nel 1984, regolano ancora i rapporti tra Italia e Vaticano; non hanno ripristinato la festa nazionale del 20 settembre, data della Breccia di Porta Pia, della presa di Roma. La festività sarebbe stata utile a ricordarci un evento fondante dello stato italiano. Invece sembra quasi che la guerra che portò alla Breccia di Porta Pia, sia un fatto, se non di cui vergognarsi, quasi da relegare nell’oblio. Se ne parla un po’ di più nel 2020, forse solo perché ricorrono i 150 anni.
Un’interpretazione, molto vicina al vero, mette in evidenza una inconfessa subalternità al clericalismo, quasi ci si dovesse vergognare di aver fatto guerra al Papato. Ne deriva una visione mai positiva di Roma. La qual cosa ha contribuito a comportare speculazioni politiche di tipo pseudo-federaliste, dagli spropositi del nord secessionismo, al disegno autonomistico del bossismo e leghismo (Roma ladrona) da spinte autonomistiche portate all’estremo, per liberarsi dal potere di Roma.
Forse se noi Italiani amassimo Roma, come i Francesi amano Parigi, contribuiremmo al successo di quella coesione nazionale, ritenuta fondamentale per il buon andamento dello Stato Italiano e invocata da tutti i politici di buon senso.
Sull’autonomia differenziata si è discusso tanto nei mesi anti Covid e gli interessati possono trovare anche qualche nostra riflessione nella sezione sanità di questo periodico. In buona sostanza si tratta della richiesta avanzata al governo, da parte di Veneto Lombardia ed Emilia Romagna di avere più autonomia decisionale in 23 materie, dalla sanità all’istruzione, dai trasporti al commercio estero, dalla protezione civile allo sport etc. Secondo alcuni la coesione nazionale se ne andrebbe a farsi benedire e si amplierebbe, ancor più, il divario nord sud. Anche la Campania ha avanzato una richiesta di maggiore autonomia, nel rispetto dei principi di coesione nazionale, chiedendo che vengano prima applicati i LEP, livelli essenziali delle prestazioni, previsti dall’art. 117 della Costituzione. L’applicazione dei LEP comporterebbe un riequilibrio dei servizi (ad esempio ospedali e asili nido) tra regioni più ricche del nord e regioni meno ricche, del sud.
La discussione sull’autonomia differenziata era stata molto accesa, prima del Covid, ma non aveva portato a modifiche sostanziali dell’assetto regionale. Nell’attuale fase, non certo definibile post Covid, in quanto siamo alle prese con una recrudescenza dell’epidemia, la discussione, sul tema autonomia, si è fatta meno intensa. Ma, a nostro avviso, le regioni richiedenti, in particolare Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, torneranno alla carica. Non gli basta aver avuto, da quando è stata istituita, la Presidenza della Conferenza Stato Regioni, mai andata ad una regione del sud. Volevano e vogliono più autonomia decisionale, più risorse, più soldi,
Sul tema autonomia bisogna continuare a prestare la massima attenzione e non abbassare la guardia. Se vogliamo che, a partire dalla Campania, le regioni del sud, fino ad ora divise e incapaci di formulare proposte vincenti, contino di più. Anche in vista dell’utilizzo della gran quantità di risorse europee che giungeranno in Italia dal 2021.Insomma bisogna stare sul pezzo, non distrarsi e formulare progetti vincenti su sanità, istruzione, trasporti, digitalizzazione, sport, per citare solo alcuni dei settori più importanti.
RL