Riusciranno le regioni meridionali a colmare, almeno in parte, il divario da quelle del nord, dopo l’utilizzo delle risorse europee che perverranno in Italia post Covid 19? Si parla di 209 MLD di euro, tanti, tanti soldi. Si, secondo il governo; molto difficilmente, a nostro avviso.
In base a dati desumibili da fonti ufficiali (SOSE Società del MEF e della Banca d’Italia – ripresi dal quotidiano “il Mattino” in data 25 e 27 luglio 2020), alla regioni meridionali sono stati trasferiti dallo Stato, negli anni 2000 – 2018, 499 MlD di euro in meno rispetto alle regioni del centro nord. Ecco perché servizi sanitari, scuola, trasporti, attività sportive e ludiche sono assolutamente diversi tra nord e sud. Asili nido? 2% n Calabria, 24% in Emilia Romagna. Famiglia con disabile? Può contare su 4109 euro all’anno in Veneto, 1066 in Calabria, e si può continuare con tanti altri esempi. Di fronte a queste evidenze non ha senso parlare di sud colabrodo e sprecone. Sarà anche in parte vero, ma è immorale il comportamento di tutti i governi che hanno emanato leggi che avrebbero dovuto favorire il sud, leggi rimaste sulla carta, e hanno continuato, in pratica, ad assegnare molte più risorse alle regioni del nord. Il trasporto ferroviario è un ulteriore esempio, con l’alta velocità che si ferma a Napoli. Si sa che senza infrastrutture non si va da nessuna parte. Matera sarà anche capitale europea della cultura ma ci si arriva solo in auto o in bus. Da Napoli a Bari è un’odissea. Da Palermo a Trapani conviene quasi farsela a piedi. “Con i soldi dell’Europa colmeremo il divario” ha dichiarato recentemente un ministro (meridionale), dell’attuale governo, in un’intervista pubblicata sempre sul “Mattino”. Ci credete? Si vedrà, già a partire dal 2021, in quali aree geografiche partiranno i cantieri. Quanti interventi (ferrovie, strade, ospedali) saranno attivati al nord e quanti al sud.
Spetta ai cittadini meridionali ed alle loro organizzazioni pressare i politici affinché ascoltino anche le sirene del sud e non solo i produttori, gli imprenditori del nord. Imprenditori che, in quanto tali, si ritengono dei benefattori: non tengono proprio in conto che scambiano forza lavoro (in gran parte del sud Italia o del mondo) con il salario.
“Un figlio non può pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti, in vece sua, soltanto un genitore”. “L’assegno di mantenimento” - affermano i Giudici della Suprema Corte – Sezione Civile – sentenza n. 17183, “non è una copertura assicurativa”. Spetta al giovane dimostrare che ne ha ancora bisogno o perché sta facendo di tutto per la ricerca di lavoro o perché dimostra, con il merito nello studio, che ne ha ancora bisogno. “Se sussiste uno stile di vita volutamente sregolato o inconcludente, oppure un’inconcludente ricerca di lavoro protratta all’infinito, il figlio non avrà certo dimostrato di avere diritto al mantenimento”. La Suprema Corte ha dato ragione ad una madre che aveva negato al proprio figlio di 30 anni un assegno in danaro e l’assegnazione della ex casa familiare.
Insomma, anche in Italia, quando il figlio ha trent’anni non deve essere più mantenuto dai genitori, a meno che fattori psichici o fisici ne limitino l’autonomia. A trent’anni non devono più pensarci i genitori. Il figlio si deve trovare da campare; da solo. Eppure, in Italia, in base ai dati ISTAT 2019, il 64,3% dei giovani tra i 18 ed i 34 anni, vivono in famiglia con almeno un genitore.
Insomma la relazione padre – figlio di stampo “siamo amici” o l’affermazione “non siamo ricchi ma, finché campo, farò di tutto per mantenerti io” non va più bene. A dire il vero non è mai andata bene. Sarà banale, ma anche molto esplicativo, l’esempio isolano, di quello che facevano gli abitanti delle isole (prima che iniziassero a campare di turismo): “fin da piccolo t’insegno a mangiare il pesce; poi andiamo a pescare insieme e t’insegno come si fa; a quel punto ti regalo una canna da pesca; va per i tuoi mari a pescare e mostra a te stesso di saperlo fare. Anzi se prendi qualcosa di veramente buono, portane anche un po’ a noi”
In Francia, dove tengono molto a dare autonomia ai propri figli già in tenera età, hanno coniato un neologismo “tanguy”, ripresa dal titolo di un film del 2001, per indicare i giovani che non lasciano la propria famiglia per andare a vivere da soli.
Autonomia, uno dei principi basilari della bioetica, vale ancora di più se si è giovani.