Da circa quarant’anni mi curo omeopaticamente, non rinunziando, come ogni persona di buon senso, alla medicina e chirurgia tradizionali. Sono un’addetta ai lavori, prima infermiera psichiatrica poi laureata in Medicina. I medici in maggioranza, sono contrari all’omeopatia, mentre tra gli psichiatri c’è più tolleranza.
Il mese scorso ero a Firenze, a casa di amici, ed andai in farmacia a comprare un rimedio omeopatico. Si chiamano infatti rimedi e non farmaci.
Chiesi al farmacista: “quando scade il prodotto?” e lui con un sorrisino un po’ sarcastico mi rispose: “Che le interessa. Tanto dentro non c’è nulla. Quindi il nulla non scade mai”.
Banale la risposta del farmacista che era evidentemente poco convinto dei benefici del curarsi omeopaticamente. Un’eccezione. Di solito i farmacisti sono ben disposti nei confronti dell’omeopatia. Non fosse altro per il fatto che, sulla vendita dei rimedi omeopatici, i ricavi sono alti e la gente paga sempre cash.
Se nei rimedi omeopatici le sostanze attive sono diluite e dinamizzate oltre il numero di Avogadro (10 alla meno 24) che rappresenta il limite tra presenza ed assenza di molecole, cosa rimane di attivo ed efficace? I rimedi omeopatici sono talmente diluiti che, nella grande maggioranza dei casi, non c’è più materia. Non essendoci materia, non hanno scadenza. Vuoi vedere che ha ragione il farmacista fiorentino? Quindi i milioni di italiani che si curano omeopaticamente sono tutti illusi?
I detrattori dell’omeopatia hanno da sempre affermato che, alla fine del 1700 o all’inizio del 1800, epoca nella quale Hahnemann scoprì l’omeopatia, chi si curava omeopaticamente, stava meglio in quanto evitava i trattamenti della medicina tradizionale di allora : “salassi, sanguisughe, forti purganti che portavano a disidratazione se non alla morte del paziente”. Quindi meglio un rimedio dove non c’è nulla, rispetto ai trattamenti devastanti di fine settecento, come hanno più volte affermato eminenti farmacologi. Questo poteva valere secoli fa.
Ma ora? Nel XXI secolo i progressi della medicina hanno consentito di debellare malattie che erano veri e propri flagelli, nei confronti dei quali, in tanti casi, esistono farmaci efficaci. Perché tuttora milioni di cittadini europei e non solo, continuano a curarsi omeopaticamente?
L’Omeopatia, secondo i sostenitori, è efficace perché potenzia la vis medicatrix naturae, la forza guaritrice della natura. Non va contro la malattia ma potenzia le difese organiche dell’organismo, appunto la forza guaritrice della natura. Anche nel caso delle malattie croniche che ormai costituiscono la stragrande maggioranza delle patologie che ci affliggono. Con i farmaci tradizionali, vi è guarigione, intesa come mantenimento dell’assenza di sintomi e prevenzione delle complicanze. Non è certo poco. L’omeopatia invece si basa su una presunzione diversa: il rimedio omeopatico, preso nel rispetto delle regole dettate da Hanhemann, diluizione, dinamizzazione, individualità medicamentosa, solo per citarne alcune, serve a guarire le malattie non a sopprimere i sintomi. Questo dice l’omeopatia. L’omeopatia si basa però su congetture mai dimostrate in base a criteri scientifici, mentre i farmaci tradizionali, prima di entrare in commercio sono sottoposti a controlli rigorosi, ripetuti ed anche molto costosi.
Questo è l’aspetto più critico della vicenda. A me, quando sto male e non trovo sufficiente sollievo nella medicina tradizionale, interessa sapere se rivolgendomi all’omeopatia posso star meglio. La medicina tradizionale non sempre mi risolve i problemi. L’omeopatia mi aiuta. Sarà il rimedio omeopatico, il caso, o l’ormai noto “effetto placebo”? Non lo sappiamo e l’assenza di ricerca scientifica nel settore omeopatico di certo non aiuta. La dottrina hahnemaniana è ferma a sperimentazioni, datate secoli fa.
Eppure i numeri dell’omeopatia sono ragguardevoli. Quasi 9 milioni di persone in Italia utilizzano, almeno una volta all’anno, prodotti omeopatici. Il 4% degli italiani si cura stabilmente con l’omeopatia. L’omeopatia è praticata da 20000 medici, solo alcuni dei quali hanno seguito corsi triennali svolti dalle varie scuole di formazione (tutte private of course). Altri operano senza aver fatto un’adeguata formazione. 300 milioni l’anno il fatturato dell’industria omeopatica. Sono briciole se paragonati al fatturato della farmaceutica tradizionale (circa 25 miliardi di euro) ma sono pur sempre 300 milioni all’anno.
Quanto sono disposte, le varie industrie che producono rimedi omeopatici, ad investire in ricerca per innovare l’omeopatia e metterla al passo dei tempi? Alle varie industrie produttrici di rimedi omeopatici, presenti non solo in Italia, ma in tutto il mondo (con fatturati che cominciano a diventare realmente significativi) interessa che l’omeopatia, nel rispetto dei principi dottrinari, produca ricerca, si metta al passo dei tempi? Se si vuole, si può fare. La metodologia di ricerca si può individuare. Ci sono Università disposte a collaborare.
A fronte di ciò la ricerca omeopatica resta ferma, tranne poche e scarsamente significative sperimentazioni.
Lucia Rosa Mari