Sia che tu venga dalla sempre affollata via Toledo, o che arrivi ancora abbagliato dalla grandiosità di piazza del Plebiscito, certo è che non puoi non andare con lo sguardo al Gran Caffè Gambrinus, più che un bar un topos nella vita dei napoletani e non solo. Da napoletana infatti non sono solita consumare un caffè al banco perché Gambrinus è luogo di incontro piuttosto che bar per un frettoloso ristoro. È anche luogo di osservazione e riflessione: il movimento che circonda gli avventori ai tavolini è continuo e mai deludente, non a caso luogo preferito da artisti che, soprattutto nel passato, ne hanno tratto felici ispirazioni per le loro opere. Troneggia davanti ai tavolini dei dehors sulla piazza Trieste e Trento, Gambrinus stesso, leggendario re delle Fiandre, a cavalcioni sul barilotto della sua felicissima invenzione: la birra! Nel tentativo di conciliazione tra la bionda bevanda ed il nero caffè si è andata delineando dalla fine dell’ottocento dello scorso millennio, una peculiare forma di accoglienza e di offerta sia ai napoletani sia a tutti quei “forestieri” che trascorrevano nella città il loro tempo di svago.
Il momento di massimo fulgore ed espansione il Gambrinus lo ha visto infatti nel periodo della Belle Epoque; è il periodo della luce elettrica, del telefono, dei primi voli. E’ la volta della sciantosa, versione napoletana della chanteuse parigina, che con le sue canzoni, spesso scritte dagli stessi avventori, incanta habitués ed occasionali frequentatori. Scrittori, intellettuali, artisti popolano dunque le storiche sale, abbellendole con dipinti che ancora oggi possono essere ammirati dagli avventori.
Mi piace d’altra parte ricordare come questo luogo negli anni del fascismo sia stato identificato dai napoletani non allineati al Regime come una sorta di zona franca di incontro, tant’è che nel 1938 il locale verrà chiuso perché considerato antifascista. Non a caso il protagonista della fortunatissima serie letteraria di Maurizio De Giovanni, il commissario Ricciardi, ne è un frequentatore, concedendosi, nel tratteggio doloroso della sua esistenza, con il suo amico medico, feroce e neanche larvato oppositore del Regime, il piccolo piacere di una sfogliatella.
Dobbiamo attendere gli anni ’70 del secolo passato, per rivedere il Gambrinus nell’antico splendore in cui tutt’oggi lo possiamo ammirare. Il locale va al passo con i tempi, migliaia di avventori lo popolano, anche solo per un caffè o per un selfie da postare agli amici rimasti in chissà quale parte di mondo; si producono quintali di dolci tipici, qualcuno anche da Guinness e il caffè spesso non è all’altezza della fama.
Tuttavia quando ti siedi al tavolino, l’antica atmosfera del luogo ti avvolge, sei nel mondo, tra la gente, sei la gente, sei parte di quell’incanto nel vivere partenopeo sempre unito al sottinteso che il vivere ha di doloroso. Sei pronto a meravigliarti di fronte al via vai di tanta umanità che guardi come se fossi sconosciuto a te stesso, come se, da quello sconosciuto che sei, potessero scaturire le più straordinarie sorprese.
Maria Vittoria Montemurro