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Fabrizia Ramondino


Lucia scrisse nel 1993 il libro “Gli anni 70 e Napoli”, 17 interviste a persone che sono nate, hanno vissuto o lavorato a Napoli. Persone accumunate tutte dalla consapevolezza che la somma degli egoismi non può determinare una società di donne e uomini liberi. 
Tra le intervistate Fabrizia Ramondino. L’intervista avvenne ad Itri. Accompagnai Lucia ad Itri, il paese dove Fabrizia aveva deciso di vivere. Fui molto contento di rivedere Fabrizia, che avevo conosciuto anni prima, ai tempi della Mensa Bambini Proletari di Montesanto. Abitava  una casa semplice e molto accogliente nella parte alta di Itri, forse troppo vicina alla bellissima Gaeta dove, nel mare che la lambisce, Fabrizia è scomparsa dieci anni fa.
Di uno dei più bei libri della Ramondino “L’isola riflessa” ci siamo occupati su queste pagine. Ne abbiamo riportato piccoli pezzi protestando garbatamente, ma con determinazione, con la casa editrice, perché il libro era introvabile nella sua prima edizione del 1998 e mai più riedito. Abbiamo poi gioito alla notizia che, la casa editrice Einaudi, aveva nel 2017, deciso la ripubblicazione del libro. Era assurdo a nostro avviso, privare le persone di leggere “uno dei più belli, il più doloroso, il più luminoso” dei libri di Fabrizia, come lo ha definito Goffredo Fofi, nella quarta di copertina della prima edizione del libro che,  gelosamente conserviamo.
In questi giorni a Napoli si è svolto un incontro per ricordare la Ramondino, la sua scrittura, il suo impegno politico e civile. Il 4 novembre a Roma, nell’ambito del salone dell’editoria sociale, rassegna “i Maestri necessari” si svolgerà un evento omaggio dedicato a Fabrizia Ramondino. 
E’ quindi forse il giusto momento per riportare  una parte dell’intervista di Lucia a Fabrizia, due donne caratterizzate da esperienze di vita diverse, accumunate dal rigore del loro impegno sociale e politico,  due spiriti liberi,  coerenti, determinate nella loro diversa grandezza.
Inequivocabile il titolo dell’intervista : “L’uomo? Un apprendista stregone”. Eccone alcuni tratti
RL

Lucia : Nelle tue narrazioni, in “Althenopis”, in “Un giorno e mezzo”, il luogo dove si maturano le storie è Napoli. In “Storie di patio” come in “Taccuino tedesco” la nostra città è comunque presente. Che cosa è cambitato per te come scrittrice della Napoli che descrivi in “Un giorno e mezzo” e quella di oggi? 
Fabrizia : penso che il mutamento avvenuto riguardi non solo Napoli ma anche tanti altri luoghi. Gli anni tra la fine del sessanta ed il 75/77 sono stati sostanzialmente diversi dagli anni 80 e dagli inizi di questi anni 90. Gli anni ’60 sono stati, per me e per molti,  gli anni delle grandi speranze, di rendere più giusta, più libera, più uguale la società in polemica tanto con la destra politica, quanto con la sinistra tradizionale, compreso il Partito Comunista. Chiunque nel mondo ha partecipato a queste lotte si rende conto di che cosa è avvenuto emblematicamente dopo, con la caduta del muro di Berlino, ma già prima, dall’era di Gorbaciov qualcosa di immane è avvenuto nel mondo. Noi in quegli anni eravamo critici verso il socialismo reale, però nello stesso tempo pensavamo, come tanti, che la correzione potesse avvenire dall’interno. Adesso sappiamo che tutto ciò non si è verificato e ne possiamo solo prendere atto. Per quanto riguarda Napoli, da una parte c’era una deformazione dovuta ad un nostro modo di leggere la realtà (a volte si vede solo quello che si vuole vedere), dall’altra c’era oggettivamente maggiore solidarietà tra le persone, minore cinismo. Un mio amico sostiene che oggi non ci sono più cinici, ma post cinici; prima il cinico sapeva cosa fosse il non cinico, oggi il post cinico non si rende neanche conto di esserlo. C’erano i grossi movimenti politici, movimenti di massa, impegnati per un mutamento concreto della realtà. Oggi questo non c’è più. C’è la stessa divisione tra le classi sociali, tra ricchi e poveri, tra chi sa e chi non sa, tra chi ha potere e chi non ne ha; allora era più evidente l’antagonismo sociale da un lato, dall’altro la corsa delle classi subalterne a diventare piccola borghesia era meno percepibile; c’erano delle forze all’interno che frenavano questo processo che invece adesso appare dilagare. Oggi c’è una convivenza negli strati sociali più poveri di tutti gli emblemi della modernità: l’automobile, la televisione, i vestiti di marca o sottomarca. Nello stesso tempo i beni essenziali: la casa, la cultura, la scuola, la salute, sono trascurati. Questi bisogni primari sono più irraggiungibili di quanto sembra, è molto più facile avere una macchina, un televisore che avere una casa. È più difficile mandare i figli a scuola che comprare una sottomarca di maglietta. Questo cambiamento riguarda Napoli ma è un cambiamento che riscontriamo dovunque.
Lucia : La tensione tra essere in disparte ed essere pienamente coinvolte nella realtà è una dimensione spesso presente nel lavoro di scrittrice. Che cosa ne pensi?
Fabrizia : Per la maggior parte degli artisti penso debba essere così. La dimensione dell’essere in disparte è una condizione senza la quale non si può creare, c’è bisogno di un grande distacco, di una grande solitudine, non di quelle subite, ma di quelle scelte. Nello stesso tempo essere pienamente coinvolte nella realtà è anche indispensabile, questo però non necessariamente si significa in manifestazioni esteriori come l’impegno sociale e politico, o impegni in altri campi. Quello a cui assistiamo oggi e che trovo terribilmente grave è che nel campo degli artisti esiste un essere pienamente coinvolti  nella realtà privo di capacità critica; accade che si è pienamente coinvolti dall’immagine della realtà che danno i mass media. Questo lo potremmo definire presenzialismo. Credo che tale atteggiamento sia profondamente distruttivo per le facoltà creative.  (continua)

Lucia Mastrodomenico  (tratto da “Gli anni ‘70 e Napoli” – Magistra  ed. 1993)