I tanti possibili percorsi terapeutici non si possono ridurre a un semplice schema d’interpretazione che, da una parte, vede come buona medicina quella che nella relazione ascolta i pazienti e dall’altra, contrapposta, una cattiva medicina che annulla la relazione e applica ciecamente i protocolli. Non è così semplice, le implicazioni sono tante e di varia natura. È essenziale mettere in luce il difficile lavoro delle persone che hanno il compito della cura. Figure come l’infermiere che per la vicinanza ai pazienti hanno un ruolo essenziale cui necessita una grande competenza professionale. Sono loro infatti, insieme ai medici di famiglia, le figure essenziali per efficaci relazioni con i pazienti.
Nella relazione si apre, appunto, un percorso di cura, uno spazio di ricerca. Contano l’ascolto, gli affetti con i quali il paziente ha maturato la propria malattia.
La relazione terapeutica produce un sapere nuovo, avvertito da chi, per un caso della vita, è il malato e chi è invece un curatore. Un sapere che può circolare perché parla di quei corpi in carne ed ossa, dei percorsi di guarigione, mettendo a nudo, attraverso la narrazione dell’esperienza vissuta e dei suoi passaggi, la pratica disincarnata in cui si esprime la medicina scientifica.
“In conclusione penso che sia necessario cambiare l’idea della malattia prima che la malattia cambi noi. La malattia non ha a che fare con la colpa. È semplicemente un cambio di stato, ma oggi deve ancora scontare il pregiudizio morale che noi mettiamo su malattia e malato, di qualsiasi malattia si parli” (Raffaella Pomposelli “La malattia fa parte della vita” Quaderni di via Dogana 1997)
La malattia deve essere letta come nodo di passaggi. La responsabilità di chi si occupa della cura del malato comporta l’avere davanti una persona che dobbiamo predisporci a conoscere. La malattia fa parte della vita, questo vale per tutti. Anche per chi cura la malattia, il disagio in generale. Venirsi incontro diventa imprescindibile. Nessuno ha un corpo per niente. Il corpo ascoltato ci fa capire di più e meglio. Curare viene dopo. Dobbiamo imparare tutti a considerare, a vivere la malattia come qualcosa di dinamico, un modo attraverso il quale una persona sta tentando di dire qualcosa, una comunicazione preziosa non una sciagura da cui prendere le distanze o da demonizzare, di cui non parlare. La malattia fa parte della vita e farà sempre parte della vita. “Io vorrei pesare dieci chili in meno: questa è la mia malattia. Vorrà dire qualcosa che vorrei dimagrire di dieci chili e invece mangio. È un punto di scissione tra quello che desidero e quello che faccio che si traduce nel sintomo dei miei dieci chili in più”.
Fa parte della vita umana la sventura di una malattia più o meno grave che sia. Nella nostra vita siamo attraversati da ansie, fragilità psichiche o fisiche. Quando stiamo male ci troviamo a raccogliere frammenti di emozioni, più che di saperi, ed è la paura a farla da padrona, la paura che si fa avanti, ci invade, ci spiazza. Una paura vera, grande, perché non sappiamo prevedere l’unica cosa che conta:”quando si muore si muore soli”e si muore per caso, per una causalità non circoscrivibile.
Nella capacità di stabilire delle relazioni e nel cambiamento che queste comportano, anche quando parliamo di salute e malattia, le donne sono maestre. Da sempre custodi della cura hanno “sanato” meglio di chiunque altro le malattie, in famiglia, in guerra, in preghiera. Destino di un amore che restituisce amore? Antiche maestre del dolore ne conoscono il travaglio e, dalla nascita alla sepoltura, segnalano con la loro ritualità, nel bene e nel male, nella felicità e nel lutto, per tutti, uomini e donne, l’umana presenza….
La ricerca di una maggiore armonia tra corpo e mente può farci sperare in nuove pratiche cliniche nelle quali il paziente sia in una continua e vera costruzione di relazione con chi lo ha in cura. Più che di una speranza si tratta di credere che quella che va curata, confortata, è anche l’anima, assieme al cuore, con o senza l’inevitabile disfacimento del corpo.
Lucia Mastrodomenico (tratto da “Solo l’Amore Salva” – Liguori ed. 2012)