Tra qualche giorno verrà pubblicato, con la casa editrice “ad est dell’equatore” un libro sui “senza dimora” grazie all’impegno dell’Associazione “Madrigale per Lucia” – ONLUS e il supporto del Dipartimento di Scienze Sociali Università degli Studi di Napoli, che ha accolto con piacere questa iniziativa nell’ambito della sua collana i Quaderni del Master. Come curatore del testo, insieme a Roberto Landolfi, Ivo Grillo e Daniele Tuccillo, sento l’esigenza di spendere qualche parola sulla struttura e le finalità del testo in uscita. Per quanto riguarda la struttura del libro, il fenomeno è stato approcciato a diversi livelli e dalle differenti prospettive degli autori che hanno collaborato alla stesura del volume. Sono stati evidenziati, infatti, gli aspetti quantitativi e qualitativi delle “persone senza dimora”, il supporto del volontariato, la percezione sociale di questa realtà, autorevoli visioni del problema di studiosi a livello nazionale e internazionale, le possibili risposte istituzionali, i diversi modelli di intervento e recupero dei “senza dimora”.
Ma quello che mi preme precisare, ed è uno dei motivi per cui il libro è una tappa significativa nel percorso di conoscenza dei fenomeni sociali, sanitari e socio-assistenziali, affrontati nella collana scientifica i Quaderni del Master, è che la dimensione dei “senza dimora” è un segnale del disagio sociale, economico e istituzionale, vissuto dalle società avanzate, ossia siamo dinanzi ad una nuova tipologia di homeless, non più soltanto individualizzata bensì allargata alle dinamiche sociali della distribuzione del reddito e delle opportunità occupazionali, variabili sempre più critiche nelle moderne società sviluppate. I motivi sono noti, almeno per chi ha una certa dimestichezza con l’analisi sociale o vive il problema sulla sua pelle come operatore sociale o dirige le organizzazioni non –profit che lavorano sul “campo”. A livello micro, la dissoluzione delle reti familiari tradizionali, la crisi di identità che produce autoemarginazione, l’anomia delle società industriali e fortemente urbanizzate. Mentre a livello macro, agiscono l’ineguale distribuzione delle ricchezze, la disoccupazione crescente, gli affanni degli istituti di welfare e dello stesso sistema sanitario che sembrano non più in grado di estendere le coperture sociali e del sistema salute alla domanda crescente di assistenza. in quanto la dissoluzione degli Stati nazionali, la globalizzazione dell’economia, la sua finanziarizzazione, hanno compromesso la responsabilità sociale a più livelli, dall’impresa allo Stato e allo stesso mercato, non più politicamente regolato, perché nell’epoca della competitività totale non c’è più spazio per i ceti medi, per le competenze unskilled, per la solidarietà sociale, ma piuttosto trovano spazio solo i vincitori e vinti della globalizzazione.
Se l’internazionalizzane della produzione e del commercio hanno ridotto la povertà assoluta a livello globale, negli ultimi decenni, questa (e la povertà relativa) è aumentata nell’Occidente industrializzato, cosi come accanto ai paesi in via di sviluppo crescono le aree mondiali colonizzate dalle grandi corporation industriali che estraggono e commercializzano materie prime a favore della produzione e del consumo globale. Come è evidente le cose, ad un certo punto, si intrecciano, tra aree di sviluppo e di esclusione sociale (a livello nazionale cosi come a livello mondiale). Aumento demografico dei senza dimora e rischi globali come l’immigrazione selvaggia sperimentata in questi anni, trovano una ragione nella contrazione dei diritti e la de-istituzionalizzazione del mercato del lavoro nei paesi di vecchia industrializzazione, mentre l’impatto delle periferie del mondo, che competono nei mercati globali, senza il fardello della solidarietà sociale, peggiorano la situazione. Cosi la responsabilità sociale dell’impresa e l’etica delle istituzioni pubbliche è tutta da reinterpretare, nelle nostre società, a livello politico, manageriale e sociale, per trovare un nuovo e più avanzato equilibrio delle relazioni sociali e di produzione
Antonio D’Antonio