L’arte di essere felici
Il
piccolo Charlie Brown ha paura di essere felice «perché ogni volta che si
diventa troppo felici, accade sempre qualcosa di brutto». Una deduzione più che ragionevole per un sognatore
disilluso come il minuto protagonista de I
Peanuts e qualche ingenuo in un eccesso di leggerezza potrebbe anche
arrischiarsi a dargli ragione. Perché in fondo cos’è la felicità se non una
semplice meteora? Fuggevole e vaga, questa incantevole chimera strega l’uomo e
lo rende impotente, fragile anima assorbita solo dal desiderio di agguantarne
una manciata e allo stesso tempo annichilita dal terrore di lasciarsela
sfuggire. Eppure che tipo di persone saremmo se lasciassimo alla paura la
facoltà di governare le nostre azioni e aspirazioni? Come sostiene infatti
Holbrook Jackson: «la felicità è una forma di coraggio». Mai affermazione fu più
saggia. La felicità è un bene di cui tutti hanno sentito parlare almeno una
volta nella vita, pochi giurano di averla vista e ancor di meno sono gli
intrepidi che affermano di averla assaporata. Che sia un mero inganno o una
consapevole utopia, poco importa, la razza umana ci crede e tanto basta per
renderla reale. Veniamo al mondo come anime nude e sconsolate e nonostante ci
troviamo sguarniti dinanzi a un fato imprevedibile e mutevole, abbiamo
abbastanza coraggio da essere capaci di rischiare di conoscere il dolore più
profondo per meglio apprezzare la pura felicità. Essa va ricercata nel calore
dell’abbraccio di una madre, nel pianto di un bimbo appena nato o nella lettura
di un buon libro. Ma felicità è anche sollievo, è quel «piacer figlio
d’affanno» tanto caro a Leopardi. Felicità è anche fare ritorno in un porto
sicuro al termine di una tempesta, sopravvivere a un terremoto e finire una
guerra. Perché «la felicità», come scrive sapientemente Paulo Coelho, «è quella
cosa che si moltiplica nel momento in cui viene condivisa».
Aristotele
nella sua Politica aveva definito
l’uomo un «animale sociale» e oggi, a distanza di secoli, questa definizione è
ancora calzante. Nel corso della storia l’uomo si è rassegnato alla sua
impotenza e solitudine nei confronti di un futuro ignoto, ma è stato abbastanza
acuto da comprendere che il miglior modo di essere soli, è esserlo insieme.
Quando gli uomini soffrono cercano disperatamente qualcuno con cui spartire il
peso del dolore e quando invece riescono a trovare anche il più piccolo
scampolo di felicità non possono fare a meno di condividerla. Nella sua fredda
imparzialità la dea bendata non concede favoritismi e non scade nel garantismo
e non aveva quindi torto Renard nel sostenere che se provassimo a disegnare la
felicità ci apparirebbe come una casa vuota con un’immensa e affollatissima
sala d’attesa. E dunque forse è vero che l’amore non è un diritto e che la
felicità lo è ancora di meno, ma a tutti è concesso di perseguirli e questo è
l’unico diritto che conti davvero. Come talvolta il viaggio conta più della
destinazione così anche la ricerca della felicità è quasi sempre più importante
della felicità stessa perché in fondo, come scrive Antoine de Saint-Exupéry: «è
il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha reso la tua rosa così
importante».
Paolina Palmisciano (Liceo
Vico)
Motivazioni della
Commissione Esaminatrice
Nel
racconto si legge, tra l’altro : “che
tipo di persone saremmo se lasciassimo alla paura le nostre azioni e
aspirazioni?.... Come talvolta il viaggio conta più della destinazione così
anche la ricerca della felicità è quasi sempre più importante della felicità
stessa”. L’autrice è riuscita a descrivere, con frasi semplici, ma efficaci,
il “senso” della felicità individuale e collettiva.
la
vincitrice del Primo Premio “Lucia Mastrodomenico”2018 Paolina Palmisciano
con la
presidente di “Madrigale per Lucia ONLUS” Maria Vittoria Montemurro