Il 5 luglio 1294, dopo un lunghissimo ed infruttuoso Conclave, viene eletto Pontefice, Pietro Angelerio da Morrone, un umile eremita frequentatore delle grotte della Maiella, che assumerà il nome di Celestino V.
La sua vicenda umana e spirituale – destinata a concludersi con le dimissioni, la prigionia e la morte – è una potente metafora, a mio avviso, del destino di tanti uomini semplici e sinceri nella loro ricerca della verità, che si trovino, ad un certo punto della propria esistenza, presi negli ingranaggi del mondo, nell’esercizio di un ministero, di un incarico o semplicemente all’interno di una situazione tale da mettere in contrasto i loro valori con il pragmatismo necessario alla sua gestione.
Ignazio Silone, ne L’avventura d’un povero cristiano(Mondadori, Milano 1968), ripercorre la storia di Celestino V e di conseguenza quella del rapporto tra la storia dell’utopia – del sogno che accompagna i grandi ideali umani – e la storia delle istituzioni e dei movimenti che concretamente ne hanno tentano la realizzazione.
Se nella propria vita ci si è sentiti almeno una volta dentro questa contraddizione, si coglierà certamente l’amarezza e la speranza che attraversano le pagine di questo libro.
La storia dell’utopia è in definitiva la contropartita della storia ufficiale della Chiesa e dei suoi compromessi col mondo. Non per nulla la Chiesa, da quando si fondò giuridicamente e si sistemò col suo apparato dogmatico ed ecclesiastico, ha considerato sempre con sospetto ogni resipiscenza del mito. Dal momento che la Chiesa presentò se stessa come il Regno, cioè da Sant’Agostino, essa ha cercato di reprimere ogni movimento con tendenza a promuovere un ritorno alla credenza primitiva. L’utopia è il suo rimorso. L’avventura di Celestino si svolse, per un lungo tratto, nell’illusione che le due diverse vie di seguire Cristo si potessero ravvicinare e unire. Ma, costretto a scegliere, non esitò.
Quella dolorosa lacerazione della cristianità ebbe origine dal fatto fondamentale che il Regno di Dio, annunziato da Cristo come imminente, non si era avverato. Nondimeno alcune sue significative parabole, un’esplicita invocazione del Pater Noster, ripetuti avvertimenti ai seguaci lo confermavano. I chiari riferimenti del Vangelo furono in seguito spiegati dai dottori della Chiesa in modo consono alla nuova situazione. Il loro senso primitivo non fu però dimenticato da tutti, ed è sopravvissuto ai margini della Chiesa e talvolta contro di essa.
In una sfera ben diversa, è capitato al marxismo qualcosa di simile. Il Manifesto del Partito comunistadel 1848 aveva annunziato come imminente la rivoluzione proletaria. Marx non aveva previsto che lo sfruttamento delle colonie, iniziato su vasta scala verso la fine del secolo scorso, avrebbe offerto ai grandi paesi industriali nuove risorse e nuovi mercati. Il movimento operaio ripiegò di conseguenza, nella sua maggior parte, sulle posizioni socialdemocratiche della II Internazionale.
Se l’utopia non si è spenta, né in religione né in politica, è perché essa risponde a un bisogno profondamente radicato nell’uomo. Vi è nella coscienza dell’uomo un’inquietudine che nessuna riforma e nessun benessere materiale potranno mai placare. La storia dell’utopia è perciò la storia di una sempre delusa speranza, ma di una speranza tenace.
Ivo Grillo