Da
ragazzo mi è capitato spesso di vedere nelle stanze degli amici, e
immancabilmente durante ogni manifestazione di protesta, una qualche bandiera
con l’immagine di Ernesto Che Guevara ricavata dalla celebre foto scattatagli
il 5 marzo 1960 all’Avana dal fotografo Alberto Díaz Gutiérrez.
Quella
immagine era la sintesi iconica delle qualità eroiche e romantiche che ogni
contestatore sognava di possedere, sebbene le opinioni su quello che – anche
allora – era diventata la rivoluzione cubana fossero già contrastanti. Un fatto
è certo: tutto ciò che c’era di giovane, eroico e puro in quella rivolta era
rappresentato dalla bella faccia del Che. Il comandante in capo, Fidel – almeno
dalle nostre parti – non riscuoteva lo stesso successo. Meno romantico, più
pragmatico e non destinato alla bella
morte, la sua immagine sembrava destinata a non diventare mai popolare
fuori da Cuba. Ma il tempo fa il suo corso: il 25 novembre 2016, a L’Avana,
Fidel Castro muore. Con la sua morte si chiude probabilmente il ciclo storico
del socialismo reale, a poco meno di un anno dal centenario della Rivoluzione
d’ottobre in Russia.
Di
bandiere con il faccione di Ernesto Che Guevara già da tempo se ne vedono meno
in giro, ma ecco che a Via Mezzocannone, sul muro che cinge l’Ateneo
Federiciano, spunta un doppio ritratto di Fidel Castro con l’aspetto che doveva
avere quando entrò vittorioso a L’Avana nel gennaio del 1959. La
morte ha riportato indietro le lancette e restituito il pragmatico leader
cubano al sogno della rivoluzione.
Ivo Grillo