È noto il particolare rapporto che i napoletani
conservano con i propri cari defunti e con i luoghi che li ospitano. Io faccio
un po’ eccezione: li accompagno nel loro ultimo viaggio, ma non sono un
frequentatore abituale di cimiteri. Solo occasionalmente – e soprattutto quando
sono politicamente molto preoccupato – faccio visita a qualche sacrario
militare, per ricordarmi di quante persone hanno dato la propria vita perché il
Paese potesse vivere e vivere liberamente.
Nonostante questa mia ritrosia, un giorno di
primavera dell’anno scorso mi trovai a visitare il Cimitero di Frattamaggiore
(che in realtà è gestito attraverso un consorzio intercomunale e serve tre
Comuni: Frattamaggiore, Grumo Nevano e Frattaminore) ed in quella occasione
decisi di rendere omaggio alla memoria di Federico Del Prete, di cui avevo
conosciuto la vicenda e qualche familiare.
Mi recai, dunque, dal Direttore della struttura
per farmi indicare la tomba, ed egli con grande gentilezza e disponibilità –
vedendomi, tra l’altro, poco pratico del luogo – mi accompagnò fino alla
sepoltura di Federico Del Prete e lì mi lasciò solo. Nei pochi minuti che mi
trattenni dinanzi a quella lapide, lontano da ogni retorica, non riuscivo a
pensare ad altro che al coraggio ostinato e alla solitudine che aveva dovuto
provare Federico nel condurre la sua lotta. E fu proprio il pensiero di quella solitudine a farmi tornare in mente il
libro di Raffaele Cantone, Solo per
giustizia (Milano, Mondadori) e le pagine in esso dedicate all’uomo che
avevo di fronte ed al suo assassinio.
«Il rilievo che la notizia ebbe sulla stampa fu
demoralizzante. Comparve solo sui quotidiani casertani o negli inserti di
quelli napoletani dedicati alla provincia di Caserta. E si trattava, in ogni
caso, di pezzi molto piccoli, del genere che viene riservato ai comuni omicidi
di stampo camorristico.
Evidentemente in terra di camorra prima di
stabilire se il morto è una vittima innocente o parte del gioco – come se
questo rendesse più accettabile togliergli la vita – ci si muove con grande
circospezione. […]
E Federico Del Prete non aveva certo il physique
du rôle dell’eroe antimafia. Vestito come gli altri venditori ambulanti,
con sì e no la licenza della scuola dell’obbligo, capo di un sindacato non
aderente a nessuna organizzazione nazionale, visto che era una creazione sua,
chi gli dava credito in un contesto dove si era riusciti a far dubitare anche
di un sacerdote?
Questa circospezione – chiamiamola così, per
essere buoni – si manifestò con la massima evidenza ai suoi funerali. Non c’era
l’ombra di un’autorità. La moglie e i suoi cinque figli rimasero soli a
domandarsi il perché della morte di un povero cristo che si era illuso di poter
diventare il Masaniello degli ambulanti di Caserta».
Nel 2009 veniva poi conferita a Federico Del
Prete la Medaglia d’Oro al Merito Civile, quando il suo esempio era già molto
meno solo. Io non sono mai più tornato
in quei luoghi.
Ivo Grillo