Il
nonno aveva una ricca biblioteca di grandi volumi costituiti – per lo più
– da fascicoli accuratamente rilegati, i
cui argomenti spaziavano dalla storia dell’arte al turismo, dai manuali alla
storia degli uomini illustri, dalla filosofia ai testi goliardici e per
ragazzi. Questi volumi erano in gran parte custoditi in una antica libreria
chiusa anteriormente da una tenda scorrevole di panno pesante, una specie di
sipario.
Di
tanto in tanto, in occasione di qualche visita a casa sua, magari in vista di
una passeggiata in un sito archeologico o di qualche ricorrenza storica
particolare, il nonno si assentava qualche istante per poi riapparire con un
libro tra le mani - che mi consegnava come fosse una reliquia - perché mi
facessi una cultura sull’argomento. Naturalmente il prestito era sempre
rigorosamente temporaneo – a pena di squalifica – e sarà per questo che non ho
mai perso l’abitudine di restituire i libri ricevuti in prestito.
Un
giorno qualunque della mia infanzia, fu tuttavia mio padre ad accompagnarmi a
casa del nonno con una richiesta specifica: voleva che leggessi le avventure di
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.
Il
nonno, sempre sorridente in una delle sue giacche da camera verde scuro o bordeaux, aprì lentamente il sipario
della libreria, osservò con cura attraverso gli spessi occhiali i dorsi telati
dei volumi sui ripiani, poi estrasse il libro desiderato e me lo consegnò.
Credo di averlo letto rapidamente, facendomi delle solitarie e sonore risate
per le ingegnose trovate dell’astuto contadino e della sua progenie. Poi,
riaccompagnato da mio padre, restituii il libro al nonno e di quei personaggi
non rimase altro che uno sbiadito ricordo.
Finché
l’estate scorsa, a Pioppi, mentre curiosavo una bancarella di libri, giornali,
monete ed altri oggetti di età avanzata, incappai in un piccolo volume in
formato tascabile, con la copertina color crema decorata da gigli fiorentini e
dal titolo Le astuzie sottilissime di
Bertoldo e Bertoldino – G. C. Della Croce (Istituto Editoriale Italiano,
Milano). Sul risvolto, in bella grafia ad inchiostro di china, il nome di chi
aveva posseduto quel volumetto e sulla prima pagina del racconto la seguente
iscrizione: “Questo libro l’ho ricevuto
il 14 maggio 1934 XII”. Non resistetti alla tentazione ed acquistai il
volumetto per pochi spiccioli, aumentando la quantità di carta ospitata in casa
mia con molto minor ordine e cura che nelle biblioteche di famiglia.
Devo
dire che anche riletto a distanza di tanti anni, il confronto tra il senso
pratico che accompagna la vita semplice del contadino e la vanità della vita di
corte, del potere, conserva intatti sia la verve
comica che il fine didascalico, dal dialogo di esordio a corte del protagonista
principale:
«Chi
sei tu, quando nascesti, di che parte sei? Io sono uomo – rispose Bertoldo, - e
nacqui quando mia madre mi fece; il mio paese è in questo mondo».
Fino
alla sua morte, cagionata (e l’idea è di straordinaria modernità) da una dieta
inidonea, come ricordano gli ultimi due versi del suo epitaffio:
«Fu
grato al re, morì con aspri duoli
Per
non poter mangiare rape e fagiuoli”.
Ivo Grillo