Io
le elementari le ho fatte in campagna. Complice la movimentata carriera di mio
padre mi sono trovato nel giro di qualche giorno in un paese campano circondato
da uno spicchio di vera e propria “campania felix”. Per me che venivo dalla
città nel pieno degli anni ’60, pensare che i fiori che le mie compagne
portavano alla maestra davvero si raccogliessero nei campi mentre si andava a
scuola e non si comprassero dal fioraio, era una cosa che, ancora adesso che ci
penso, mi emoziona. La classe, eterogenea quanto mai, gli sguardi incuriositi
da questo bambino di città con il fiocco fiammeggiante ed il grembiule stirato sotto
al quale spuntavano pantaloni all’inglese e calzettoni lunghi rigorosamente blu,
molto diversi dai calzini un po’ smollati della maggior parte di loro, un
leggero brusio di sottofondo.
Neanche
qualche giorno e subito la prova del fuoco: una piccola lucertola sul banco!
Dopo l’orrore del primo momento mi sono venuti a mente gli insegnamenti di mio
nonno che da buon veterinario mi ripeteva sempre che ogni bestia anche la più
raccapricciante è portatrice di bellezza, così, mi sono fatto coraggio, ho guardato
con occhi imploranti il maestro impassibile, e sotto gli sguardi attentissimi
di tutti i compagni, l’ho presa delicatamente in mano; mai potrò dimenticare
quella frenica pulsazione in quell’esserino di velluto! Tutto ad un tratto la tensione è svanita, e
solo allora il maestro ha rimproverato i compagni ricordando la viltà del loro
gesto. Ma tant’è, ero uno di loro.
Mai
dimenticherò lo sguardo serio del maestro, maestro che in quel momento avevo
odiato perché non mi aveva difeso, o meglio non mi aveva difeso quando avrei
voluto io.
Ho
capito il suo comportamento solo più tardi, quando le circostanze della vita mi
hanno messo dinanzi a prove impegnative, quando ho dovuto fare ricorso a tutte
le mie risorse per poterle affrontare e superare.
Quel
semplice maestro di campagna, con i suoi modi asciutti, mi aveva insegnato che
le difficoltà vanno affrontate a partire dalla forza che abbiamo in noi stessi,
che c’è un momento della vita in cui non abbiamo appoggi e che tanto vale la
pena esserci allenati.
Qualche
volta mi è capitato di passare, dopo tanti anni, a ridosso di quella campagna; mi
è tornato nel naso l’odore della terra umida e degli aranceti dell’inizio di
dicembre, o dell’intenso profumo delle fresie coltivate in barattoli di latta
delle conserve; l’ultima volta mi sono spinto fino a davanti alla scuola, ora non
più in uso e semi diroccata.
L’ho
guardata intensamente e ho pensato al tempo passato in quel luogo pieno di
desiderio di conoscenza e di relazioni, a quel luogo di impegno ma anche
gioioso; ho chiuso gli occhi, e per un attimo l’ho visto, l’aspetto dimesso
eppur fiero come al solito, lo stesso sguardo determinato di quel giorno. Una
piccola lacrima mi ha inumidito gli occhi.
Fernanda Cinque