Il governo ha varato nel 2015 una riforma del
sistema nazionale di istruzione e formazione che ha destato un notevole
dibattito tra detrattori e sostenitori del provvedimento. Tanto si discute e se
ne continuerà a discutere su la cosiddetta “Buona Scuola”
Nella nostra proposta di “Storie di scuola”
vogliamo presentare racconti e suggerire riflessioni a partire da esempi utili e concreti di come si realizza, nella
quotidianità una buona scuola.
Siamo partiti riportando alcuni brani del
discorso di Papa Francesco, in visita alla tomba di don Lorenzo Milani, nel
giugno di quest’anno. Su alcune
riflessioni di Don Lorenzo torniamo, in quanto, a nostro avviso, al di là dei
modelli organizzativi che si stanno o si vorranno adottare, è sui principi
educativi, sul ruolo del/della maestro/a, sull’analisi delle differenze, che
occorre continuare a riflettere, per
fare una scuola che serva ai ragazzi ed
alle ragazze, che si relazioni con loro.
I brani
che seguono sono ripresi dallo scritto di Lorenzo Milani “Esperienze Pastorali”
– Liberia Editrice Fiorentina – Firenze 1958 e riportati nel libro di Francesco
Milanese “Don Milani quel Priore seppellito a Barbiana” Liberia editrice
Fiorentina – Firenze 1987 (NdR).
La scuola : un dialogo con il mondo e con la
storia:
“La vita
moderna richiede al cittadino un crescendo di prestazioni “intellettuali”
(politica, sindacato, burocrazia etc.) che non erano richieste al bracciante
nel secolo scorso….Non è dunque un’esagerazione sostenere che l’operaio di oggi
col suo diploma di quinta elementare è in stato di maggior minoranza sociale
che non il bracciante analfabeta nel 1841”
“Devo
tutto quello che so ai giovani operai e contadini con cui ho fatto scuola.
Quello che
loro credevano di stare imparando da me io l’ho imparato da loro.
Io ho
insegnato loro ad esprimersi mentre loro mi hanno insegnato a vivere.
Sono loro
che mi hanno avviate a pensare le cose che sono scritte in questo libro. Sui
libri delle scuole io non le avevo trovate. Le ho imparate mentre le scrivevo e
le ho scritte perché loro me le avevano messe nel cuore…io non ero così e
perciò non potrò mai dimenticare quello che ho avuto da loro”
“Nell’anno
1951 – 1952 non ci fu vera scuola perché stetti malato. Quando ripresi la
scuola nel 1952 – 1953, avevo ormai superato ogni interiore esitazione: la
scuola era il bene della classe operaia, la ricreazione era la rovina della
classe operaia. Con le buone o con le cattive bisognava dunque che tutti i
giovani operai capissero questo contrasto e si schierassero dalla parte giusta”
“A noi non
interessa tanto di colmare l’abisso di ignoranza quanto l’abisso di differenza.
Se aprissimo la nostra scuola conferenza biblioteche anche ai borghesi verrebbe
dunque a cadere lo scopo stesso del nostro lavoro. Si accettano forse i ricchi
alle nostre distribuzioni gratuite di minestra? Il classismo in questo senso
non è una novità per la Chiesa”
“A noi non
interessa tanto di colmare l’abisso di ignoranza quanto l’abisso di differenza.
All’apparenza questa azione classista del prete acuirà il muro di diffidenza e
l’odio di classe. Ma nella sostanza e per le generazioni future tutt’altro. Se
un giorno la nostra scuola classista riuscirà a colmare il dislivello avremo
tolto all’odio di classe gran parte della sua ragion d’essere….A una parità
culturale così intesa si può ben portare i poveri senza che per questo si
avveri la catastrofe prevista nell’infame apologo di Mennenio Agrippa. Non si
tratta infatti di fare di ogni operaio un ingegnere e di ogni ingegnere un
operaio, ma solo di far sì che l’essere ingegnere non implichi automaticamente
anche essere più uomo”
“Non
vedremo sbocciare i santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che
vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale, a qualcosa cioè
che sia al centro del momento storico che attraversiamo, al di fuori
dell’angustia dell’io al di fuori delle stupidaggini che vanno di moda….Eppure
io non splendo di santità e neanche sono un prete simpatico. Ho anzi tutto quello
che occorre per allontanare la gente. Anche nel fare scuola sono pignolo,
intollerante, spietato.
Non ho
retto i giovani con speciali doni di attrazione. Sono stato solo furbo. Ho
saputo toccare il tasto che ha fatto scattare i loro più intimi doni. Io
ricchezze non ne avevo, erano loro che ne traboccavano e nessuno lo sapeva. Ho
toccato il loro amor proprio la loro naturale generosità, l’ansia sociale che è
nell’aria nel nostro secolo e quindi nel fondo del cuore loro, l’istinto di ribellione all’uomo,
di affermazione della sua dignità di servo di Dio e di nessun altro”